I verbi all’infinito

Disegno di Zita Giraudo

Disegno di Zita Giraudo

EVA MAIO

Preferisco dire amare piuttosto che chiudere tutto in un nome aulico perfetto.
Pertanto alla parola amore preferisco il verbo.
Il verbo all’infinito ci dà tempo: da claudicanti ci camminiamo dentro, da apprendisti artigiani lo prendiamo in mano.
E magari alla fine qualcosa impariamo senza che il cuore sia schiavo di quel nome aulico e perfetto.
Senza il bisogno di nominarlo. Di corrergli dietro. Di farne un trofeo.
Ogni verbo all’infinito accoglie il nostro fare parziale.
Ogni verbo all’infinito è paziente.
Ci attende.

Vivere
nei verbi all’infinito
con cura
redimere i pensieri
cancellare l’aura
d’onnipotenza
ovunque s’insinui.
Viverli
i verbi in un’infinità
di slarghi quotidiani
al confluire preciso
d’ ogni fragile vero
che incontriamo
in cose o sguardi.
Che i verbi all’infinito
sono aperti
pazienti come un vecchio
seduto in attesa
del suo amico
per dirsi ciao
stai bene.
Che i verbi all’infinito
sono gravidi
hanno inseminate
cellule vive pronte
a crescere trasformarsi
venire alla luce
ora o domani.

Che forse
alcuni verbi all’infinito
ci adottano
ci tengono per mano
s’installano silenziosi
in sangue carne occhi
ci fanno nomadi
e di finitudine in finitudine
ci fanno tessitori
del possibile
senza pretese
di tutto sapere
per fare ogni cosa
stupiti.
Con levità
camminare dentro
il fare e rifare
ci fa veri
che il fare e rifare
ci ammaestra
a inaugurare
la trasformazione dei mondi
a tendere ogni gesto
alla delizia
di un tutto appena intravisto.
E che il tutto
sia solo intravisto
poco importa.
Destati a protezione
del vivo che c’è
in quello spazio-tempo
che ci è dato
ci svegliamo il mattino
pronti a toccare
in ogni diverso fare
la consistente grazia
della cura
da imperfetti che siamo
fino all’infinito
ci proviamo.
Se pure l’infinito
è un sogno.

(Disegno di Zita Giraudo)