Tra paradossi e ossimori. L’ultimo giallo di Stefano Sicardi

22-7-sicardi-copertinaSTEFANO CASARINO

Ha mantenuto la promessa, il nostro Stefano Sicardi. Dopo l’esordio come giallista con La scomparsa di Ludovica (2020, Araba Fenice Ed.), aveva pubblicamente assicurato che avremmo incontrato di nuovo l’avvocato-detective Gregorio Pasquero: all’inizio di quest’estate, difatti, a tenerci compagnia sotto l’ombrellone, assieme ad un ormai rodato gruppo di sodali investigatori, rieccolo con Onore all’antiquario, seconda sua “fatica”. Ma “sua” di chi?
Dell’avvocato protagonista che afferma scorato: Caro maresciallo, pare che da qualche tempo io debba finire in mezzo ai delitti…Sarei grato se la sequenza si interrompesse.? O del giurista autore, che invece questa sequenza ha tutta l’intenzione di proseguirla?
Sospetto che in entrambi i casi – e ho già avuto modo di suggerire la sovrimpressione dei due! – non di fatica, ma di piacere si tratti: piacere che facilmente contagia anche il lettore.
Solo a p. 45, alla metà dell’opera, abbiamo il cadavere e quindi il delitto e quindi il caso da investigare e risolvere.
Prima c’è una lenta, azzeccata fase di preparazione, che consiste nella presentazione di personaggi molto particolari e nella creazione di un’ambientazione originale: si intrecciano un’eredità del tutto inaspettata e una azienda di allevamento (non dirò di cosa); ma si intrecciano anche figure aristocratiche (addirittura un conte dal cognome arduo da pronunciare e dal nome improponibile: en passant, noto che Sicardi si diverte a giocare con l’onomastica e con la fonetica, con esiti godibili: ma attenzione, che non solo di gioco si tratta e più non dico!) e plebee; caratteri positivamente simpatici e caratteri irritantemente antipatici.
Ma gli aristocratici sono spiantati e candidi e i plebei sono furbi e avidi: le cose non sono quasi mai come appaiono, come la filosofia greca e Agatha Christie non si stancano di ricordarci.
Il paradosso, ciò che va contro la doxa (la prima impressione, l’apparenza), è la vera cifra distintiva del romanzo giallo.
Qui, poi, si passa con disinvoltura dall’allevamento e dalla gestione d’impresa alla storia dell’arte e all’antiquariato, in una combinazione davvero ossimorica. Ma anche qui, le cose stanno in modo diverso, certamente spiazzante: dietro e dentro l’impresa si cela altro, e dall’antiquariato si arriva alle aste in televisione!
La contaminazione di alto/basso, nobile/triviale è una costante dell’opera ed è carattere fondante di quell’ossimoro di cui il nostro Autore è cultore: lo mette in evidenza a p. 64, quando ci propone l’espressione in quel luogo ad un tempo aspro e leggiadro, che commenta: poteva sembrare un ossimoro e pure dava l’idea. Subito dopo troviamo l’espressione raccoglimento abbagliante, su cui elucubra: può apparire un ossimoro, il termine con la sua vicina di opposti (ma lo erano davvero?) ritornava. E ne elabora di suoi, come il compiaciuto una soave minestra di lenticchie, prontamente da lui stesso chiosato nell’inciso: a prima vista può sembrare impossibile ed invece una minestra di lenticchie può essere soave.
Ritroviamo qui un tratto già presente nel libro precedente, La scomparsa di Ludovica: da gourmet, Sicardi ci delizia con l’elenco di cibi semplici ma saporosi, quali un grandioso piatto di rane saltate in un fritto asciutto e croccante; un verace pollo alla cacciatora, innaffiato da un giovane e scanzonato dolcetto d’Alba; un’omelette ai porcini di rara delicatezza e la piccola pasticceria di dessert con un bicchierino di barolo chinato.
Un altro tratto inconfondibile e per me decisamente gradevole è il sagace uso che l’Autore fa della sua formazione culturale: cita con rapido garbo Metastasio, Aristotele e Rossini, in un simpatico amalgama letterario-musicale.
Un’ultima osservazione voglio farla sulle figure femminili che qui compaiono: direi che l’Autore è affascinato dall’ eterno femminino per dirla col Carducci e ciò lo induce ad indugiare sulla complessità psicologica delle Signore che qui compaiono, a cominciare dalle due donne del fortunato Pasquero (non che sia bigamo, ma…!) e per finire con Ersilia Goldoni (si noti il cognome!).
Del plot giallistico non dico nulla, perché ritengo che nulla debba essere detto, se non: “Leggetelo e divertitevi”.