Vivere dall’altra parte della Cortina di Ferro

Stranieri nell'Albania rossa

GABRIELLA MONGARDI

Chi oggi è giovane come il nuovo millennio o poco più, fatica a credere che fino a una trentina d’anni fa, come conseguenza della Seconda Guerra Mondiale, ci fossero due Europe separate dalla cosiddetta “Cortina di Ferro”, che correva dal mare Adriatico al mar Baltico lungo il confine orientale dell’Italia, dell’Austria, della Germania Ovest: nell’Europa Occidentale dominava il capitalismo, il libero mercato, la democrazia; in quella Orientale il comunismo, l’economia pianificata dal Partito Unico marxista-leninista, il controllo capillare sulle “vite degli altri”. Materializzazione concreta ne era il muro di Berlino, che separava il settore occidentale della capitale tedesca dal resto della Germania Est: il crollo di quel muro, il 9 novembre 1989, fu l’inizio dello sgretolamento di quella cortina, a cui gradualmente seguì la riunificazione della Germania (1990) e l’ampliamento a est dell’Unione Europea (2004, 2007).

Il libro Stranieri nell’Albania rossa di Michele Brondino e Yvonne Fracassetti, con prefazione di Sergio Romano (Besa Editrice, Lecce 2020), è una preziosa testimonianza, allo stesso tempo dal di dentro e dal di fuori, di come si vivesse oltre quella barriera che la Storia aveva calato tra gli abitanti di uno stesso, piccolo, continente. Michele Brondino è stato per due anni, dal 1982 al 1984, addetto culturale presso l’ambasciata d’Italia a Tirana e insieme con la moglie Yvonne Fracassetti e i due figli in età scolare ha vissuto dall’interno “il travaglio di una società repressa fino all’inverosimile”, anche se è rimasto al di fuori di quella società essendo uno straniero, senza libertà di movimento né di contatti con gli albanesi, in quanto considerato un potenziale nemico per il regime nazional-comunista del dittatore Enver Hoxha.

È stata per loro un’esperienza traumatica, e ci sono voluti anni prima che l’angoscia sedimentata in loro si allentasse e i ricordi prendessero la forma scritta di questo libro, a metà tra il saggio storico e il resoconto autobiografico: «Da questa esperienza siamo usciti attoniti, sconvolti, come ammutoliti davanti all’inconcepibile tragedia di un popolo calpestato, soffocato per cinquant’anni, come se l’offesa fatta all’uomo e alla quale avevamo assistito impotenti ci avesse inibiti, come se il divieto di parlare avesse contagiato anche noi». Quello che li ha “salvati” è stato il desiderio di conoscenza, di conoscere per capire e per “amare” un popolo schiavizzato ma non domato, da un lato, e la ricerca della bellezza, naturale e artistica, dall’altro – in una parola, è stata la loro “cultura”: perché una persona veramente “colta” è umile, aperta, curiosa ma non invadente, capace di imparare da tutto e di mettere a disposizione degli altri quello che ha imparato.

Così, in uno stile chiaro e scorrevole, ci fanno conoscere la storia di un paese europeo così vicino all’Italia (non solo geograficamente) eppure così ignorato – quasi rimosso, direi, dalla nostra coscienza collettiva.
Nella prima parte del libro il prof. Brondino, in cinque capitoli snelli e avvincenti, tratteggia dapprima brevemente la storia dell’Albania (dopo cinque secoli di dominazione turca, dal 1478 al 1912,  aveva conosciuto l’occupazione fascista e dal 1944, riconquistata l’indipendenza, era diventata una roccaforte comunista guidata da Enver Hoxha, “che presentava l’Albania continuamente assediata da nemici, sia del mondo capitalista sia di quello comunista revisionista”), per poi soffermarsi più approfonditamente sul presente, sulla “fiducia cieca del popolo albanese nel suo leader”, sulla vita culturale albanese di quegli anni e sulle sue condizioni di lavoro “sotto l’occhio del Grande Fratello”.

Nella seconda parte, la penna della prof.ssa Fracassetti completa il quadro con uno spaccato della vita quotidiana di una famiglia costantemente sotto sorveglianza, per cui era una festa, una liberazione poter andare in vacanza fuori dall’Albania, in altri paesi dell’Est come la Jugoslavia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia, dove il clima era meno oppressivo (per lo meno nei confronti dei turisti). Ma anche se tenuti sotto controllo e pesantemente limitati negli spostamenti, i Brondino sanno trovare elementi positivi in quella situazione, grazie alla loro capacità di dialogo e di autocritica, e ci fanno scoprire la ricchezza della storia albanese, testimoniata dai reperti archeologici illirici, romani, greci, veneziani, la sensibilità degli artisti che si esprime anche attraverso le pieghe della retorica imposta dalla propaganda ufficiale, il valore dell’apertura, della mescolanza, della contaminazione e l’assurdità dell’isolamento e della chiusura in se stessi, a tutti i livelli. Il libro è dedicato al popolo albanese, un popolo che dopo il 1990, dopo la caduta della dittatura comunista,  si è riappropriato con “straordinaria vitalità” del proprio destino, dimostrando di essersi “sottomesso ma non rassegnato” (Victor Hugo) durante gli anni bui del “realismo socialista albanese”.