Risvegli e sguardi

baroni

GIANCARLO BARONI

A volte si svegliava a nord, altre a sud, altre volte ancora a est o ad ovest, mai comunque al centro di se stesso. Così avrebbe potuto cominciare il racconto della sua vita, ma quella mattina non aveva nessuna voglia di imbarcarsi in una estenuante indagine interiore. Stringendosi sotto la coperta poteva però immaginare scenari da brivido: un uomo si svegliò e, mentre si alzava, si accorse che il sole era scomparso. Non era inconcepibile che un cataclisma cosmico potesse provocare un disastro tale da comprimere il cuore di un’umanità allibita. Ma l’evento rimaneva talmente spropositato e inverosimile che si limitò ad aprire una palpebra; la poca luce filtrata dalle tapparelle bastò a tranquillizzarlo. Tutto filava alla perfezione quella mattina, niente impegni, fastidi, preoccupazioni. La realtà delle cose era là fuori che l’aspettava; uscì.

Mentre si guardava intorno camminando si accorse che riusciva a distinguere tre tipi di sguardo: orizzontale, verticale e obliquo. Il primo è diretto, fendente, e osserva di fronte a sé procedendo ad altezza d’occhio con lievi scarti verso il basso e l’alto. Coglie gente che va e che viene, insegne variopinte e segnali stradali, le vetrine illuminate e le file dei lampioni lungo i viali. È la visione della concretezza e del movimento, del mondo che preme e coinvolge, dell’istante che continuamente si trasforma, ma è anche un punto di vista affrettato che penetra tutto quanto e l’abbandona puntando senza tentennamenti verso l’orizzonte più prossimo, quello che converge idealmente verso un punto.

Poi c’è il modo di guardare verticale. Tipico di chi cammina a testa bassa, di chi passeggia come se esplorasse il terreno. Trova macchie, buche, cicche di sigarette, foglie, cartacce, sassi, pozzanghere, sterpaglie: una geografia sgangherata. Ma verticale è anche lo sguardo dall’alto. Tegole, comignoli, lucernari, antenne come rami, cupole e torri, terrazze, orti; la vista si perde, si aggira, si estende, tuttavia resta uno sguardo attratto, come per gravità, verso il basso.

L’ultimo è uno sguardo obliquo che parte da ciò che gli sta di fronte e sfiora quanto incontra lungo il suo cammino. Finestre accese, angoli di parete rubati all’intimità delle case, qualche curioso che da dietro le tendine carpisce a sua volta i segreti delle strade, gli stucchi degli edifici più eleganti. Lo sguardo si arrampica sulle grondaie, salta sopra i balconi, si aggrappa ai cornicioni e scavalca i tetti puntando in diagonale verso il cielo.

(Foto dell’autore)