Il potere dell’interpretazione

angeli musicanti

Santuario di Vicoforte, particolare della cupola

GABRIELLA MONGARDI.

È la notte più lunga dell’anno. Nella chiesa barocca della Missione, a Mondovì Piazza, un buon numero di monregalesi attende l’inizio del tradizionale concerto di Natale: un “concerto di concerti” il cui programma è un omaggio al genere del concerto solistico italiano, una delle creazioni più alte del barocco musicale; Bach e Vivaldi gli autori, forse un po’ scontati – a garanzia di una serata gradevolmente tradizionale e rassicurante.

Invece, quando i musicisti dell’Academia Montis Regalis, sotto la trascinante guida di un solista di fama mondiale, il violinista Giuliano Carmignola, attaccano il primo tempo del Concerto in la minore BWV 1041 di Bach, le aspettative degli ascoltatori saltano una dopo l’altra, esposti come sono alla vertigine del Sublime. Il tema iniziale, verticale e grandioso come una cattedrale, passa dal tutti al solista in un vortice di spirali ritmiche e armoniche di lancinante intensità. L’andante centrale cerca, con la sua indicibile dolcezza, di consolare dell’inconsolabile, ma invano  il singhiozzo del violino si smorza cullato dalla sontuosa melodia dei bassi. Il movimento finale si slancia in una giga ipnotica, vorticosa – un’ebbrezza a stento frenata dalla severa geometria del contrappunto, dalle leggi dell’armonia.

La pressione della musica aumenta ancora con il secondo concerto di Bach, il BWV 1042 in mi maggiore, ma per fortuna la chiesa, con il suo illusionismo prospettico e la perfetta acustica, regge bene alle impetuose ondate della marea sonora che fluisce, si ritira, rifluisce. Le note dell’accordo fondamentale della tonalità aprono imperiosamente e scandiscono a ritornello l’allegro iniziale, che ha la struttura di un’aria col da capo; nell’adagio centrale la melodia malinconica  del solista è sorretta dal ritmo calmo dell’accompagnamento dell’orchestra; quando l’amarezza si fa insostenibile il secondo allegro ridona slancio e brio con le volute incalzanti del suo rondò.

Giunti a questo punto, gli ascoltatori si illudevano che le rarefatte atmosfere metafisiche, la spossante alternanza di irrigidimenti e abbandoni, la compresenza ossimorica di dolcezza e durezza fossero finite; si aspettavano di trovare in Vivaldi cantabilità e leggerezza, sorrisi e fruscii. Manco a parlarne! Non con questi interpreti, che sanno scavare nelle partiture barocche ricavandone tensioni e armonie quasi romantiche nella loro palpitante inquietudine, arrivando addirittura ad affacciarsi ad uno sperimentalismo prenovecentesco: più che ad un concerto, sembra di assistere ad un duello tra compositori ed esecutori – i colpi d’archetto come stoccate e affondi, gli sguardi come sfide  in cui la più rigorosa filologia interpretativa approda ad una lettura radicalmente nuova, moderna ma non forzata, dell’autore classico.

Il primo movimento del concerto RV 187 in do maggiore è solcato, scardinato quasi, da profonde pause; nel largo si intreccia un dialogo cupamente appassionato, quasi rabbioso, tra il solista e l’orchestra; il terzo movimento solo in apparenza è più piano: l’impegno del solista è sempre più arduo, nell’acrobatico dialogo tra il violino e il tutti, come in un’argomentazione serrata, si accavallano sempre nuovi spunti melodici, a stento tenuti insieme da un tema-cornice.

L’attacco del secondo concerto vivaldiano, RV 283 in fa maggiore, è sgranato, vibrante, incontenibile; agli interrogativi che si affastellano nel largo risponde in modo davvero inquietante la gragnuola di suoni  del terzo movimento. L’ultimo concerto, RV 281 in mi minore, è abissale e terribile: di fronte alle sonorità cupe, tempestose, apocalittiche dei bassi la voce del violino sembra quella della ragione di fronte agli istinti, dell’uomo davanti alla Natura – patetica nella sua ostinata, inutile resistenza, eppure nobile per la dolorosa consapevolezza dell’ineluttabile scacco, del trionfo finale del Silenzio.

Questo ed altro raccontava a Mondovì Piazza, nella notte più lunga dell’anno, il violino del maestro Carmignola con il suo virtuosismo profondamente espressivo; questo ed altro, grazie a lui, dicevano i sommi compositori interpretati – ma nulla scalfiva il mistero della musica, l’ “arte delle muse” per eccellenza: da quale sorgente sgorga? che cosa le dà un potere così sconvolgente sulle nostre menti?

L'Academia Montis Regalis

L’Academia Montis Regalis

(foto di Gabriella Mongardi)

pubblicato originariamente il 24 dicembre 2013