La zona rossa della pandemia

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RAFFAELE CASTELLI CORNACCHIA

Prima della peste

Fossi femmina spruzzerei latte
nessun rito, ma spazio alla routine
la sopravvalutazione dei baci
quelli di prima che ora non mi dai
talvolta siccità oppure pioggia
un vespaio d’insetti nel cilindro
dell’ospedale della mia casa
del ricordo del brulicare sordo
giù nella strada prima della peste.

Sto con me stesso, o senza me stesso
solo un fiore, la calma la muove
nell’attesa di chi mi sta cercando
nella distanza perfetta mi trovo
morto o vivo non fa differenza
se perdo il tempo ad attendere
che tutto cambi per farsi uguale
che un tratto lieve tracci il nuovo
con solo una luce al mio fianco.

Allora se proprio devo vivere
lasciatemi vocali stalattiti
e le consonanti acuminate
rivoli verdi sui suoi seni
e il ventre, sì, un poco stracciato
e tutte le debolezze intatte
e le perle, della nostra apnea
fatta di polmoni indeboliti
e cieli sotto sforzo. Inquinati.

*

Esser fatti di pietra

Era meglio esser fatti di pietra
con i suoi suoni, e il non sentire
il dolore, e il tempo che passa
con tutta la forza, della terra.

Bruneggiava, come tutte le sere
pigro, ordinario e quieto
ad ascoltarsi l’ulteriore giorno
nella conta, per chi sa indugiare.

Se comparvero sembianze, sembrava
come pareva guerra, a parole
e una mantiglia ci ricopriva
come a ripararci da qualcosa.

Equidistanti, l’eden e l’averno
ci restavan i conti di noi stessi
scarpe senza piedi, portoni chiusi
e, come un viatico, la bestemmia.

Ormai certe le colpe sconosciute
e di quei versi solo la bocca
con il distacco, e la diffidenza
a dire dei sani e dei malsani.

Esseri viventi e non viventi
la groppa china e mani, gli occhi
savi di una bestia indulgente
che ronza, striscia. Punge per paura.

Era meglio esser partiti prima
con i suoi suoni, e il sentir bene
il piacere, e il tempo che passa
con tutta la forza, della terra.

Raffaele Castelli Cornacchia, La zona rossa, Transeuropa 2020

Zona rossa parla della pandemia che sta sconvolgendo buona parte del mondo e che, in qualche modo, cambierà la vita di molti. Non si sa in quali termini. Siamo nel momento dell’incertezza, della paura e delle supposizioni. Di certo, molto di ciò che era prima non sarà più tale. Cambieranno l’approccio, le motivazioni e la sensibilità degli individui verso le cose, così come verso le persone. Per controllare un cambiamento epocale di tale portata, servirà il contributo di tutti i saperi. Non ultimo stavolta, sui cadaveri di quello scientifico, politico ed economico, quello della poesia. Cosa che Zona rossa fa da subito, immergendosi nei fondali delle sicurezze precedenti per riemergere, senza moralismo alcuno, tenendo per i capelli il bello e il brutto da cui ripartire. Da cui riprendere con maggiore consapevolezza e conoscenza delle cose. Di alcune cose, e di se stessi.

In questo percorso di revisione e di ravvedimento, di analisi, di distrazione dagli stereotipi l’autore, la voce narrante, accompagna il protagonista con durezza e insieme con comprensione. Come i bravi maestri di una volta. Non si nasconde mai al lettore dietro nessuna foglia di fico, palesandosi senza pudore d’essere il poeta. Che riflette, inveisce e rimugina su quelli che sono i temi del proprio lavoro e della propria vita e lo fa, nel pieno della malattia causata dalla pandemia, senza compiangersi e senza mai nominare esplicitamente il virus che lo sta segnando. Senza palesare mai quello che però drammaticamente è il filo conduttore di tutte le liriche. In una tensione che sembra presagire il peggio in ogni momento, quando invece non accade manifestamente nulla. Come in una sorta di thriller. Anche perché stranamente, da un momento così difficile e sventurato, le liriche traggono forza e ispirazione. Succhiando tutta la linfa poetica fino all’ultima goccia per travasarla in ogni singolo passo delle poesie.

In definitiva, si può dire che La zona rossa prenda le mosse di slancio e spicchi il volo sulle ali della poesia intesa come parola contemporanea alta, anche se non elitaria, ma lo fa soltanto come pretesto, come presa alla larga per subito precipitarsi a capofitto nel pantano della vita reale. Che è in fondo da dove viene e dove vuole ritornare. E da lì, si risolve a non farsi altro che un piccolo contributo al non far cadere nell’oblio quel momento, quell’attimo in cui tutto poteva cambiare per poi, probabilmente, non cambiare nulla. Quando invece sarà necessario ricordarsi, rivedere le immagini e riviverli quei sentimenti, quelle angosce e quel terrore che ha interessato tanta gente, e che non deve essere dimenticato.

Poesie inedite di Raffaele Castelli Cornacchia su Margutte.