“E luce fu” … di nuovo

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FULVIA GIACOSA

La mostra “E luce fu” in San Francesco a Cuneo (prorogata fino a giugno) si può nuovamente visitare in settimana dopo la passata sospensione per via della pandemia.
Nata dalla collaborazione tra Fondazione CRC e Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea, curata da Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria del museo torinese, la mostra presenta quattro installazioni di Giacomo Balla, Lucio Fontana, Olafur Eliasson e Renato Leotta, un allestimento quest’ultimo realizzato  con la consulenza di Marianna Vecellio.
Sono lavori che segnano momenti storico-artistici lontani tra loro ma accomunati dal rapporto luce/spazio,  stimolanti per lo spettatore invitato a lasciarsi guidare dalla dinamica della luce, immateriale materia che pervade i monumentali spazi della chiesa sapientemente individuati in relazione alle quattro opere: lungo l’asse della navata centrale si fronteggiano Feu d’artifice (1917) di Giacomo Balla nella controfacciata e “The sun has no money” (2008) di Olafur Eliasson nell’abside, mentre a metà navata è installato un piccolo Ambiente Spaziale (1967) di Lucio Fontana;  il “Sole” (2020) di Renato Leotta è invece una installazione di fari d’auto che focalizzano alcuni particolari architettonici ed affreschi della chiesa.  Se le prime due opere citate sono scenograficamente coinvolgenti pur nella diversità dei linguaggi e delle tecniche, peraltro giustificate da quasi un secolo che le separa, l’ambiente di Fontana ha un carattere più freddo e concettuale e il lavoro di Leotta, proprio perché diffuso nel grande ambiente, è quasi una caccia al tesoro.

Partiamo da questi ultimi. Renato Leotta, torinese classe 1982, aveva già ideato un lavoro simile per il castello di Rivoli nel 2019, quasi un riallestimento museale: tutto si gioca infatti sulle direzioni inconsuete della luce che rivelano, come un improvviso raggio di sole, particolari dell’architettura e degli affreschi dell’edificio; la luce però non viene prodotta da spot raffinati ma da vecchi fari di macchine Fiat, oggetti an-artistici e poveri: non è casuale un richiamo al poverismo che ha visto il Piemonte protagonista dell’arte a fine anni Sessanta così come è palese  una riflessione sulla trasformazione socioeconomica del territorio da centro dell’industria automobilistica a luogo di produzione culturale che, riqualificando spazi storico-artistici, sa coniugare passato e contemporaneità. L’ambiente di Lucio Fontana fa parte di una serie di lavori che iniziarono già nel 1949 con “Ambiente nero” quando il fondatore dello Spazialismo oltrepassò i limiti del quadro e della scultura per costruire una spazialità luminosa totalmente immersiva. Nello stesso anno un altro grande sperimentatore, Pablo Picasso, “disegnava con la luce” nello spazio utilizzando una torcia, mentre Gjion Mili ne fotografava le tracce con una tecnica innovativa. Nel decennio Sessanta, cui appartiene l’“Ambiente spaziale” qui esposto, molti artisti d’avanguardia hanno fatto della luce il medium privilegiato, dal minimalista Dan Flavin alle sperimentazioni cinetico-visive di Gianni Colombo. Nell’opera ricostruita in San Francesco, il visitatore entra in una claustrofobica stanza buia sulle cui pareti stanno piccoli punti a colori fosforescenti che, illuminati dalla luce nera di Wood, creano tracce-gesto da percorrere verso un indeterminato altrove.

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Come accennavo, sono tuttavia i due grandi lavori di Balla e Eliasson a catturare in modo irresistibile il visitatore. L’allestimento del futurista Giacomo Balla prende il titolo da un brano musicale di Stravinskij del 1908 composto in occasione del matrimonio di un musicista russo. Sergej Djagilev, fondatore della compagnia dei “Balletti russi” cui collaboravano artisti delle avanguardie, aveva chiesto a Balla la realizzazione di una scenografia come trasposizione visiva del brano. Lo spettacolo era poi stato presentato a Roma nel 1917 e in quell’occasione Margherita Sarfatti parlò di “una proiezione scenica senza precedenti” per la sostituzione di figure d’attori con forme geometriche in legno dipinto e stoffe contenenti al loro interno luci elettriche. L’attuale ricostruzione in mostra, basata su documenti originali, è un’esplosione di suoni, luci e colori che rispondono perfettamente al ritmo mutevole e ai timbri scintillanti della musica, esplodono al suono degli ottoni coincidente nel finale con l’accensione fulminea di tutte le luci e rendono bene lo scoppiettio pirotecnico o, come disse Balla, “rappresentano gli stati d’animo dei fuochi artificiali”. Ricordo che sono di soli due anni prima i manifesti “Ricostruzione futurista dell’universo” (Balla, Depero) e Il Teatro Futurista Sintetico” (Marinetti) nei quali si celebrava l’aspetto ludico dell’arte come della vita.

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Se in Balla tutto è rapidità, nel lavoro di Olafur Eliasson domina un movimento lento. L’artista danese ma di origini islandesi (nato nel 1967), ha fondato uno studio a Berlino cui collaborano scienziati, architetti, artisti ed è autore di installazioni coinvolgenti sia sul piano concettuale che percettivo che uniscono fisica, tecnologia ed estetica. Il titolo del lavoro “The sun has no money” fa riferimento alla  crisi finanziaria del 2008, anno dell’opera, ma la qualità del lavoro oltrepassa di gran lunga il riferimento sociologico. Si tratta di alcuni anelli di varie dimensioni, in acrilico con filtri colorati, appesi al soffitto tramite aste sottili che contengono un motorino generante il loro quieto ruotare nell’aria; illuminati da due potenti proiettori creano sui muri dell’abside, illuminato a giorno, ombre colorate che si rincorrono in cerchi concentrici luminosi via via estesi allo spazio della chiesa. Oltre a stimolare l’osservatore ad interrogarsi sui meccanismi che creano l’estensione dinamica spazio-temporale delle ombre portate, quasi materia cosmica per quanto impalpabile, credo vi si possa leggere anche un dato biografico: i colori ricordano quelli delle aurore boreali e il dono prezioso della luce in una terra, l’Islanda, che ne è così avara (non a caso utilizza anche altre materiali tipici come ghiaccio, acqua, nebbia). La danza silente delle forme, tutto l’opposto di quella incalzante di Balla, ha il ritmo meditativo della poesia per cui, dopo queste poche note informative, vi lascio con alcuni versi di Gabriella Mongardi.

La natura della luce
non la conoscono i Fisici
ma i Poeti, che ignorano
corpuscoli e onde,
quanti e particelle…
Dal gesto dei Poeti
scaturisce
la Luce –
una luce raccolta
e quieta, bianca
ma non fredda,
una luce vitale

[]                                                                                                         

Fiat lux, 2014 (poesia inedita)

NOTA: le fotografie delle opere sono di Francesco Doglio, g.c. I versi sono riportati per gentile concessione dell’autrice.

INFO.E luce fu” (Complesso Monumentale San Francesco, Cuneo, via Santa Maria 10) è visitabile gratuitamente fino al 20 giugno, dal martedì al venerdì – ore 10.30-13.30 e 15.30-18.30. Ingressi contingentati. Per informazioni: tel. 0171/452711 e sito www.fondazionecrc.it.