In mongolfiera, alla verticale di Mondovì

(foto di John Aimo)

(foto di John Aimo)

 

SILVANO GREGOLI

Cronaca di un non-volo, mai-effettuato da John Aimo con i membri della redazione della non-rivista online Margutte. Testo inventato del non-discorso tenuto dal Capitano ai passeggeri.

 

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Carissimi membri della redazione di Margutte, vorrei offrirvi oggi un volo speciale con sorpresa. Nessun rischio di rimaner delusi. L’ho già sperimentato diverse volte questo marchingegno che tengo nelle mie mani. È affidabile come un orologio svizzero. Ma, attenzione: saranno emozioni forti, non crederete ai vostri occhi. Dai, venite su con me, la navicella è grande, staremo comodi. Voglio proprio farvi vedere.

Mentre prendiamo quota, permettetemi di dire che in una giornata serena come questa, salire in alto, alla verticale di Mondovì e da lassù, indisturbati, puntare questa “moviola del tempo” verso il basso e farla girare all’indietro, è una sensazione da capogiro. Non temete: non vi porto all’indietro nel tempo. Purtroppo noi rimarremo sempre legati, ahimé, a questo sciagurato 2020. Sarà soltanto Mondovì a tornare indietro di sessanta-settant’anni. Ma unicamente per i nostri occhi e fino a quando lo vorremo noi.

Eccoci arrivati. Le condizioni meteorologiche sono perfette, siamo praticamente immobili. Siete pronti? Bene. Le batterie della moviola sono cariche; le lucine verdi, accese. Non ci rimane più che schiacciare sul pulsante “ON”.

Pronti? ON!

Guardate dalla parte della collina di San Lorenzo. Vedete laggiù quelle casette sparpagliate e tutte fiorite di primavera? Osservate attentamente: la macchina del tempo sta per mettersi a lavorare…

Ecco: guardate come la maggior parte di quelle casette si disintegrano e scompaiono! Come le vie d’accesso si coprono d’erba e di rovi!

E laggiù, sulle pendici della collina di Piazza, osservate quell’edificio semi-lunare, spropositato, e tutte le casette intorno. Svaniti! Al loro posto un prato con filari di gelsi.

Guardate ora verso le dolcissime colline di Fiamenga e di Vicoforte, lungo la balza che da Piazza scende a Carassone, verso l’altipiano di Sant’Anna, affacciato sulle montagne. Vedete come dappertutto si diradano i tetti di tegole nuove, come svaniscono i cortili, i garage, le strade e le piazze? Vedete come tutto si rinverdisce, come l’aria si fa più fine, come gli inverni più nevosi, come l’Ellero si gonfia di acque montane e primaverili, come le campane suonano forte la mattina, come nitide in cielo brillano le stelle?

E le strade della periferia: guardate come si rimpiccioliscono e si coprono di polvere! Come dappertutto le auto diventan rare, come i cavalli battono forte il selciato! Come pulsa la funicolare! Come martella, il Moro, la sua campana!

Ecco, quella che vedete qua sotto è la Mondovì com’era[1]: con i suoi tetti di tegole senza antenne, con le sue vecchie case e le sue vecchie strade, le sue piazze e piazzette, i vicoli tetri, gli androni bui, i muri scrostati, i pochi negozietti, le chiese e le cappelle, i ciottoli lucidi, le mani livide, le scarpe infangate, la vita giorno dopo giorno. E il cielo, nero e stellato, sopra Mondovì.

Vedete laggiù, proprio sotto di noi? È mattina. Una mattina qualunque di tanti anni fa. Non seguite i dettagli, non muovete gli occhi. Osservate i flussi.

Chi risale via delle Ripe? Nessuno. Scendono tutti: una fiumana.

E un po’ più in là, in piazza San Pietro, in via delle Acciughe, in via Meridiana, in piazza Cesare Battisti: guardate come i flussi si incrociano, si fronteggiano, si scontrano! Come i tamagnòn[2] manovrano pesantemente! Come i carretti degli alpini, colmi di pane, tirati da muli abituati a peggio, si fanno largo nella calca di biciclette, di foulard spessi, di cappotti rugosi!

E via Cigna? Chi sale da via Cigna? Nessuno. Chi scende? Nessuno. Povera stradina deserta.

Aspettate, aspettate! Voglio mostrarvi qualcosa, ma l’immagine è troppo confusa. Per fortuna questo apparecchio possiede un filtro che trasmette solo le onde emesse dai bambini. Tutto diventa ora più semplice. Agevolmente si possono seguire i loro flussi, le migrazioni quotidiane, i punti di convergenza e quelli di divergenza.

Vedete? È finita la scuola, è l’una passata. I bambini di Mondovì, sazi, fremono nelle cucine delle vecchie case, indugiano ancora qualche minuto, poi ripartono al galoppo. Dove andranno? Guardateli percorrere veloci, strade e vicoli. Sembrano confluire verso una zona di Mondovì Breo.

Sembra proprio che convergano tutti in Via Cigna.

Vittoria grande di una delle più umili vie di Mondovì! A ondate successive, i bambini di Mondovì  sciamano verso Via Cigna e vanno a infrattarsi per ore e ore, diverse volte al giorno, dentro una porticina da cui fuoriescono grida, vocii e sbuffi di polvere.

Che ci sarà mai in via Cigna? «A ij è-lo l’amé?[3]» chiedevano sovente le madri dei bambini. Venite, mettiamo il teleobiettivo, andiamo a scandagliare via Cigna nelle pieghe del tempo. Ciò che voglio mostrarvi è proprio lì.

A quei tempi in via Cigna c’era il rimedio contro tutti i mali. I mali del corpo erano guariti dalla spessa nuvola di polvere che stagnava sul cortile sterrato e creava sulla pelle dei bambini uno schermo impenetrabile ai germi. I mali dell’anima erano invece esorcizzati, al calar della sera, da uno o due uomini in lunga sottana nera. Il rito consisteva nella ripetizione incantatoria di avemarie e litanie varie che salivano al cielo filtrando attraverso la polvere del cortile. È per questo motivo che i locali di via Cigna venivano chiamati l’Oratorio, anche se i più li chiamavano, per antonomasia, la Sede.

Ma tutto ciò non spiegava ancora il “miele” di via Cigna.

La presenza del miele si avvertiva soprattutto in cortile, nelle vicinanze del muretto alto più di due metri, opaco, inespugnabile. Per noi ragazzi, il miele di via Cigna era sicuramente dall’altra parte del muretto. Vederlo non si poteva: peccato! Ma lo si capiva da mille indizi e talvolta, nel corso di una vigorosa azione a pallavolo, i ragazzi più grandi, quelli che saltavano più in alto per meglio “schiacciare” potevano intravedere, al di là del muretto, l’albero del bene e del male, la tentazione suprema:  il cortiletto delle ragazze, con ingresso dalla stessa via Cigna ma da un’altra porticina. Povere ragazze! Attratte anch’esse dal miele di via Cigna che per loro, vedi un po’ tu, si trovava dalla nostra parte del muretto.

Potenza diabolica dello yin e dello yang [4] ! Ciò che doveva separare, univa; e quel muretto, tristemente programmato per segregare lo yin dallo yang, diventava invece l’interfaccia magnetica di due mondi irresistibilmente attratti e destinati, prima o poi, a diventare uno, in un grande scompiglio.

Lo so bene, io. Io che in quel cortile ci andavo di rado. Non ci andavo perché abitavo su un balcone al secondo piano affacciato sul cortile stesso. Vedevo tutto quello che succedeva e meglio ancora perché lo vedevo dall’alto. Forse risale a quei tempi la mia passione per la prospettiva “a volo di mongolfiera”.

E poi, scusatemi, ma dalla mia postazione privilegiata io vedevo tutto anche dall’altra parte del muretto.Vedevo il cortile dei ragazzi e il cortile delle ragazze. Scorgevo, ogni tanto, qualche ragazzo saltare in alto, aggrapparsi al bordo superiore del muretto, tirarsi su a forza di braccia e sbirciare dall’altra parte. E delle “bambine”, chiamiamole così, trasportare una panchina ai piedi del muretto, salirci sopra, mettersi sulla punta dei piedi e sbirciare dalla parte dei maschi. Ho perfin visto, un giorno, una di queste bambine sporgere una manina dalla parte del muretto che le era proibita. E un maschietto avvicinarsi al muretto, defilato, carponi, solo per toccare quella manina pendula e darle una leggera carezzina. E la manina ritrarsi, sì, ma non subito. Ritrarsi languidamente, quasi contro voglia, come se quel giorno avesse toccato una cosa straordinaria, annunciatrice di un futuro pieno di brividi.    

Ne ho viste che potrei parlarvene per delle ore. Ma non è per questo che vi ho invitato a volare con me, oggi. L’ho fatto perché ricordo che in mezzo a quei bambini ce n’era uno che raccontava spesso delle storie. Ne raccontava tante, e talmente diverse, da far pensare che tutte le storie degne di essere raccontate fossero successe a lui. Col tempo, qualcuna l’ha anche scritta. Un giorno qualcuno gliele ha pubblicate. Ma non tutte, e poi sono passati troppi anni e il volumetto dalla copertina grigio e arancione è diventato introvabile. Peccato. Se vi interessa, potremmo provare con la mia moviola a seguire le tracce di quel bambino nello spazio e nel tempo.

Dai, venite, spegniamo l’apparecchio, scendiamo a terra in questo 2020 disgraziato. Se è ancora vivo deve essere vecchissimo. Magari sarà mezzo cieco e ci lascerà frugare nei cassetti, tra le pagine dei suoi quaderni ingialliti. Magari qualche inedito bizzarro? Una storia strampalata? Un fatterello curioso? Un brandello di memoria?

Con i mezzi di adesso la redazione di Margutte ci metterà poco a digitalizzarli. E a farne poi quello che vorrà.

Dai, andiamo.


[1] E. Billò, A. Morandini e R. Bertone, Mondovì com’era, Cooperativa Editrice Monregalese (CEM), 2001

[2] Pesante carro senza sponde

[3] C’è il miele?

[4] Nella filosofia dualistica cinese, lo «yin» rappresenta il principio cosmico femminile, lo «yang» quello maschile.

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