Guardando Genova dal mare

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GIANCARLO BARONI

Genova non è solo la città delle potenti famiglie oligarchiche (ritratte mirabilmente da van Dyck) e degli avventurosi esploratori del mare (ora sventurati come i fratelli Vivaldi ora favoriti dalla sorte e dal coraggio come Cristoforo Colombo), ma è anche la città di san Giorgio che, assieme a Giovanni Battista, le fa da patrono. Le ceneri del Battista sono custodite nella Cattedrale, iniziata nel 1099 e dedicata a San Lorenzo; nel Museo del Duomo sono conservati il piatto su cui si dice fu posata la testa decapitata del Battista e la maestosa e raffinata Arca processionale delle ceneri. San Giorgio, raffigurato nel gesto culminante dello scontro mentre sul cavallo bianco sta per trafiggere il drago, campeggia sulla facciata dell’omonimo Palazzo: un’ampia superficie affrescata che fa da sfondo ideale al porto vecchio. Guardando Genova dal mare, quella del santo combattente è la prima immagine che si impone. Si racconta che proprio qui, in questa sede storica delle finanze e degli affari Marco Polo, prigioniero dei genovesi dopo la battaglia nel 1298 di Curzola, abbia raccontato a Rustichello da Pisa, suo compagno di cella, le meraviglie dell’avventuroso viaggio in Oriente.

La città, stretta fra la distesa d’acqua che si estende davanti e i monti che premono alle spalle, si srotola lungo la costa come una lunga striscia sottile; la barriera montuosa che incombe dietro la spinge verso il mare (“Chi guarda Genova sappia che Genova / si vede solo dal mare”, canta Ivano Fossati). Le case, addossate, cercano luce e spazio innalzandosi verso l’alto (“Genova verticale, / vertigine, aria, scale” recitano i versi di Giorgio Caproni). Avara di spazi, li riempie e li congestiona, è spinta necessariamente verso orizzonti lontani. Come Venezia, Genova deve tutto al mare e come la grande rivale non nasce con Roma antica; libero comune dalla fine del Mille comincia la propria ascesa con la prima Crociata. Nel 1284 sconfigge i rivali pisani nello scontro navale attorno all’isolotto della Meloria. Mentre Venezia fagocita il vicino Oriente bizantino spodestando, spogliando e sostituendo Costantinopoli, Genova insidia il primato mediterraneo alla Serenissima e poi, mentre quest’ultima si attarda in un levante sempre più controllato dai Turchi, si rivolge verso occidente mettendo al servizio della Spagna la propria perizia nella navigazione. Al contrario di Venezia Genova non può investire i proventi dei traffici marittimi in un entroterra fertile e pianeggiante come quello veneto; la città è il suo porto, le sue navi, il suo mare. Il Museo marittimo “Galata”, dedicato alla storia della navigazione, riserva una delle sue numerose sale al genovese più famoso, Cristoforo Colombo. L’incanto delle profondità marine si rende visibile nel visitatissimo Acquario: pesci mediterranei e tropicali, squali, delfini, meduse, foche, pinguini…

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Via Garibaldi (chiamata così da fine Ottocento e prima Strada Nuova, per buona parte edificata nella seconda metà del Cinquecento) e via Balbi (iniziata nel Seicento e terminata circa sessant’anni dopo), sono, assieme ad altre Strade, emblemi della ricchezza, del prestigio e della potenza delle famiglie aristocratiche genovesi. Vi sorgono numerose dimore signorili dalle facciate a volte colorate e decorate; all’interno quadri, statue, affreschi, stucchi, saloni, gallerie, marmi, logge, scaloni, fontane, statue. Alcuni edifici sono stati trasformati in sedi museali come Palazzo Bianco, Palazzo Rosso e Palazzo Spinola; i primi due lasciati in eredità verso fine Ottocento al Comune di Genova da Maria Brignole–Sale, l’ultimo donato nel 1958 allo Stato italiano dagli Spinola. Scrigni di opere d’arte: l’”Ecce Homo” di Antonello da Messina, il “San Sebastiano” di Guido Reni, il “Ritratto di Gio. Carlo Doria” di Rubens e il “Ritratto di Anton Giulio Brignole-Sale” di van Dyck raffigurati entrambi a cavallo…Pieter Paul Rubens pubblicò ad Anversa nel 1622 Palazzi di Genova, illustrando e celebrando le facciate delle dimore aristocratiche. La fierezza e l’alterigia a volte presenti sui visi, nelle espressioni e nelle pose dei nobili genovesi ritratti da van Dyck sono riassunte in modo esemplare da un fatto storico.  Il Doge della “Superba” è costretto nel 1685 a presentarsi al cospetto del re Sole in atto di sottomissione dopo che la città era stata bombardata dalla flotta francese. La costituzione genovese prevedeva che il Doge non potesse abbandonare in nessun caso la città. Si racconta che Luigi XIV domandò al Doge che cosa lo avesse colpito di Versailles e Francesco Maria Imperiale-Lercari rispose, con un orgoglio non inferiore a quello del re Sole: “Mi chi” (“Io qui”).

Il cosiddetto secolo d’oro dei genovesi inizia nel 1528 quando l’ammiraglio Andrea Doria passa con le sue navi da guerra agli ordini dell’imperatore Carlo V legandosi alla Spagna e all’Impero. I Genovesi non sono più soltanto dei navigatori e degli uomini di mare ma diventano dei banchieri che finanziano gli Asburgo e i galeoni spagnoli che solcano l’Atlantico ritornando dal Nuovo Mondo con le stive colme di argento. Tra fine ‘500 e inizi ‘600 si fanno più intensi i rapporti con le Fiandre, dove l’Impero era impegnato in una lunga e dispendiosa guerra. Entrambi nati ad Anversa, arrivano a Genova Rubens, nel 1600, e il suo allievo van Dyck, nel 1621. Il secolo d’oro dura circa un secolo; nel 1637 la Madonna viene addirittura incoronata Regina di Genova. Nel 1684 la città è bombardata dalle navi del Re Sole, da allora comincia un lungo periodo di egemonia francese. Nel 1797 cade la Repubblica aristocratica, il governo dei Dogi. Dopo il Congresso di Vienna Genova è assegnata ai Savoia che trovano finalmente un importante sbocco al mare.

Nel decentrato Palazzo del Principe (che nel 1533 ospitò l’imperatore Carlo V), Andrea Doria, ritratto (1526) da Sebastiano del Piombo, affida all’allievo di Raffaello Perin del Vaga il compito di decorare gli appartamenti. Nel ritratto Andrea Doria, che Doge non fu mai, ha barba e baffi bianchi, un volto non più giovane ma carico di energia e astuzia.  Assieme ad altri membri della famiglia, fra cui Lamba vincitore a Curzola e Oberto che vinse alla Meloria, Andrea è sepolto nella piccola chiesa di San Matteo consacrata nel 1132. Altri sono seppelliti nella splendida Abbazia di San Fruttuoso, fra Portofino e Camogli. Sui fondali della sua baia, a quasi venti metri di profondità, fu posata nel 1954 la statua in bronzo del Cristo degli abissi che solleva le braccia verso l’alto in segno di pace, speranza e rinascita. Dopo il disastroso e tragico crollo nel 2018 del ponte Morandi il nuovo viadotto, battezzato San Giorgio e inaugurato nemmeno due anni dopo, dimostra la forza di reazione di questa città fiera e tenace.

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Gli orizzonti di Genova

L’oro resta impigliato nelle vesti
delle nostre signore broccati
come arazzi ma i soldi

preferiamo prestarli. Gli argenti americani
splendono nelle stanze dei palazzi
rossi bianchi da fuori

i tesori non li vedi. Io qui
risponde il doge a chi domanda
che cosa lo stupisce

di Versailles. Superbia o ritrosia?
Genova devota a Maria
a Giorgio e al Battista.

Giano è il nostro fondatore, i monti
ci coprono le spalle
e il porto spalanca gli orizzonti.

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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.