Vita di una nera libera in una casa bianca del Nord

copertina-italianaGIULIANA MANFREDI

“La nostra Nig” – Vita di una nera libera in una casa bianca del Nord, che dimostra fin dove si allunga l’ombra della schiavitù

Nel 1982, grazie agli studi di Henry Louis Gates Jr. e di altri insigni scholars quali Richard J. Ellis, Reginald H. Pitts e Katherine E. Flynn, per citarne solo alcuni, tornò alla luce questo breve scritto di Harriet E. Wilson considerato il primo romanzo in lingua inglese pubblicato nel 1859 da una donna afroamericana. L’oblio in cui era caduto per tutti quegli anni fu probabilmente voluto per occultare quanto accadeva anche nelle case agiate dell’America abolizionista degli Stati del Nord.

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Il romanzo, chiaramente autobiografico, rientra a pieno titolo nella cosiddetta slave narrative (anche se il termine schiavitù non compare mai nelle sue pagine) e, riscoperto nei primi anni Ottanta del secolo scorso, quando si risalì all’identità e dunque alle notizie biografiche della Wilson, ha da allora assistito a una serie di ristampe per i tipi di case editrici quali la Penguin Books e la Vintage Books, portando alla notorietà l’autrice. Il testo non ha velleità letterarie, essendo stato scritto per raggranellare qualche soldo per il mantenimento della Wilson e del suo bambino, ma segue le accortezze della tecnica narrativa, introducendo un narratore onnisciente che a tratti si appella al lettore e che evita di riportare i veri nomi dei protagonisti al fine di non renderli riconoscibili e creare loro dei problemi. L’importanza dell’opera è il suo documentare una situazione di schiavitù e sfruttamento dei neri, certamente frequente in certi ambienti, ma doverosamente celati, come si evince dal sottotitolo del libro. Emerge, inoltre, la crudeltà quasi sadica e peculiare di alcune donne della famiglia, madre e figlia, nei riguardi della giovane e indifesa aiutante di colore presente nella loro casa e trattata come un oggetto di proprietà («la nostra Nig» del titolo, dove Nig sta chiaramente per il vezzeggiativo dell’aggettivo colloquiale sprezzante nigger, negro). L’appendice contiene, infine, tre testimonianze che avvaloravano la storia della giovane Alfrado, era questo il vero nome di Nig, e recensivano, in un certo senso, l’opera per invogliare il pubblico all’acquisto, contribuendo al sostentamento dell’autrice.

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Nel giugno 2020 la collana “I venti” della casa editrice romana Lebeg ha pubblicato la prima traduzione italiana di questo interessante romanzo e i due traduttori, Mariacristina Cesa e Giuseppe Villella, hanno svolto un lavoro certosino per ricostruire un testo che ne consentisse la resa in un’altra lingua, essendo esso quasi privo di punteggiatura o, ove vi fosse, seguiva regole tutte sue. Se si aggiunge che la lingua di composizione è un inglese americano dell’Ottocento, ricco di forme colloquiali e sgrammaticate, nonché lacune e refusi, si intuisce l’acribia applicata al fine di restituire un racconto scorrevole e intelleggibile. L’opera si fregia, inoltre, dell’introduzione di Jaki Shelton Green, insignita dell’incoronazione poetica Piedmont Laureate del North Carolina nel novembre 2009, che apporta un valore aggiunto alla curata edizione di questo testo.