Simmel e Pontiggia. Il blasé e il travet

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ALESSANDRO MONTAGNA

Introduzione

L’obiettivo del presente articolo risulta quello di ritrovare analogie e differenze tra la condizione esistenziale dell’individuo metropolitano analizzato dal filosofo tedesco Georg Simmel nelle sue opere filosofico-sociologiche e la disamina della spersonalizzazione del lavoratore nell’era della tecnica sottoforma di romanzo, ovvero La morte in banca, volume scritto dal letterato italiano Giuseppe Pontiggia. Per questo motivo si è utilizzato nel titolo un’assonanza tra i termini blasé (cioè nell’accezione di Simmel il tipico individuo freddo e calcolatore presente nelle metropoli) e travet, termine che designa un piccolo impiegato e che si può ritrovare nel romanzo ottocentesco Le miserie di Monsù Travet di Vittorio Bersezio.

Il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918) nel suo famoso saggio Filosofia del denaro è acuto nel connettere la crescente diffusione dell’economia monetaria alla continua “oggettivazione” dell’uomo, nei suoi rapporti sociali. L’economia è un fattore che si co-determina reciprocamente con l’atteggiamento di pensiero freddo e calcolatore tipico della mentalità contemporanea in cui gli ambiti prevalentemente qualitativi e individuali vengono tradotti in pratiche quantitative e generali, in cui gli oggetti hanno la priorità e il dominio sugli esseri umani. Questo feticismo dell’oggetto provoca la reificazione dell’uomo, nonché la diminuzione della sua dignità e del suo irrinunciabile valore. Ciò che abbiamo appena descritto avviene nell’intera fase della distribuzione e dello scambio economico secondo il sociologo tedesco. La reificazione coinvolge, infatti, per Simmel l’intera umanità nella società capitalistica e tecnica novecentesca e non solamente la classe operaia come invece avveniva nella prospettiva marxiana che si esplica nella sua concezione dell’alienazione. Ma la sua indagine va ancora oltre e si spinge a fornire un’analisi della macchina, divenuta più spirituale del lavoratore, il quale fatica a comprendere la complessità del congegno con cui ha a che fare.

Ciò che interessa maggiormente a Simmel è il fatto che mentre si è accresciuto continuamente lo spirito oggettivo (ossia l’oggettivazione culturale, nella creazione di nuovi macchinari, nuove tecniche, nuovi oggetti, ma anche di nuove conoscenze depositate nelle enciclopedie), lo spirito soggettivo caratterizzato dalla cultura oggettivata ricompresa personalmente dal soggetto è rimasta costante o addirittura è diminuita, venendo spesso esclusa dall’interesse della società. Perciò, se nel mondo contemporaneo non si mantiene più l’equilibrio e lo spirito oggettivo prevale nettamente su quello soggettivo tale da giungere ad uno scompenso, per forza si deve giungere ad una condizione in cui il soggetto sia estraniato dai suoi prodotti, siano essi materiali o culturali.

L’autore che nel presente articolo porremo in analogia con la teorizzazione di Simmel riguardo la spersonalizzazione dell’individuo è lo scrittore lombardo Giuseppe Pontiggia. Quest’ultimo nel romanzo La morte in banca (1959) estende notevolmente il concetto di alienazione già noto al panorama filosofico (a partire dall’accezione marxiana del termine) e letterario, facendovi rientrare ogni tipo di lavoro noioso e ripetitivo: in questo caso infatti assistiamo alla descrizione letteraria della mansione dell’impiegato di banca. Il tema dell’alienazione lavorativa diventa una sorta di tòpos letterario dell’intero secolo del Novecento, grazie al contributo di opere quali il romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore in cui Pirandello pone evidenza sulla reificazione del personaggio, operatore cinematografico costretto ad essere solo una mano, una semplice appendice della macchina da presa; senza dimenticarsi anche del racconto pirandelliano Il treno ha fischiato in cui viene mostrato il carattere ripetitivo del lavoro contabile, seppur non nella maniera radicale della critica pontiggiana. Oltre a Pirandello sono molti i letterati che si occupano di mostrare la spersonalizzazione e la tipica crisi dell’individuo novecentesco, privo di punti di riferimento e in preda ad una sorta di mal du siècle posticipato storicamente: si pensi, a tal proposito, infatti, agli scritti Una vita e Demetrio Pianelli di Italo Svevo e a Ricordi di un impiegato di Federigo Tozzi, se non uscire dall’orizzonte letterario per abbracciare e sconfinare anche il mondo cinema: si pensi a tal proposito alla figura del ragionier Fantozzi di Paolo Villaggio, entrata nell’immaginario collettivo a designare la triste condizione esistenziale del piccolo impiegato del XX secolo, costretto a sottomettersi al suo direttore e obbligato a svolgere una mansione ripetitiva e frustrante. I romanzi appena citati accomunati dall’applicazione della tematica dell’alienazione a settori non prettamente industriali, ma che si estendono vieppiù a mansioni e dinamiche di stampo impiegatizio e morse della burocrazia.

1. Incapacità a capire lo sguardo globale. Il “granellino di sabbia”

Una prima caratteristica del confronto che stiamo analizzando risulta quella della mancanza di uno sguardo d’insieme tra la figura del blasé e quella del travet pontiggiano.

Georg Simmel afferma che «essenzialmente effetto della crescente divisione del lavoro; questa richiede infatti al singolo una prestazione sempre più unilaterale, il cui più alto potenziamento determina spesso un deperimento della sua personalità complessiva […] l’individuo è ridotto […] ad un granello di sabbia di fronte ad un’organizzazione di cose che gli sottraggono tutti i progressi, le spiritualità e i valori, trasferiti via via dalla loro forma soggettiva a quella di una vita puramente oggettiva».

Questo concetto si può ravvisare anche nel comportamento e dallo stato d’animo dal protagonista del romanzo di Pontiggia, ossia Carabba, il quale si lamenta a più riprese della frustrazione della sua mansione di impiegato di banca. Da ricordare è il fatto che lo stesso autore, Pontiggia, ha conosciuto la realtà lavorativa della banca, avendo prestato la propria opera come impiegato tra il 1951 e il 1961 e forse, è possibile, ritrovare talune dinamiche autobiografiche nel romanzo in questione. Il protagonista de La morte in banca, Carabba, giovane neo-diplomato al liceo classico e che ambisce ad un futuro di studente di ambito umanistico è costretto ad impiegarsi in banca per far fronte a difficoltà economiche in famiglia. Egli, appena accolto in banca, viene esortato inizialmente a battere cifre senza senso sul numeratore ed è così annoiato da crearsi un bizzarro passatempo, ovvero quello contare quante volte esce un certo numero allo sportello statistiche. È ormai divenuto un “travet”, non lontano dalla figura di monsù Travet, ad opera dello scrittore piemontese Vittorio Bersezio (la sua opera per certi versi appare come antesignana di una tematica successivamente di vasta influenza), un granellino di sabbia, un ingranaggio di un maestoso meccanismo. Questa tematica, ossia quella della spersonalizzazione, può collegarsi in modo stretto all’alienazione e risulta centrale nella letteratura del Novecento, si pensi ai romanzi di Kafka o ai volumi di letterati italiani precedentemente citati nel corso dell’articolo.

2. Relazioni interpersonali

Simmel mette in risalto la progressiva diminuzione dei rapporti interpersonali, parallela e compresente alla dinamica di spersonalizzazione dell’uomo nell’era della tecnica. La gente vive nel tran tran quotidiano, ha fretta, e si trova costretta a rispettare la tempistica delle coincidenze per sbrigare degli affari retti dalla logica degli orologi meccanici. Il tempo dell’orologio appare come una temporalità che schiavizza l’uomo e lo costringe a condurre un’esistenza frenetica, di corsa, con minimali rapporti tra persone ed incontri sociali. Come hanno brillantemente illustrato Ernst Jünger, la temporalità generata dagli orologi meccanici è la tipica temporalità degli uomini che non hanno più tempo, la cui modalità di vita caotica scandisce ogni istante. Paradossalmente una grande concentrazione di persone non si risolve in una maggiore condivisione di momenti: ogni individuo pensa solo a se stesso, di rado si incontrano gli sguardi tra i passanti sul tram sul quale fa la tratta Carabba per rincasare dopo la sua giornata di lavoro. Questo concetto è stato magistralmnente espresso dalle parole di Antoine de Saint Éxupery che ne Il piccolo principe scrive: «Si è soli anche tra gli uomini».

Nella Milano di Pontiggia la scena si svolge in spazi spesso chiusi, e quando vengono descritti gli esterni si dipinge un quadro di vita cittadina (parzialmente assimilabile alla vita frenetica metropolitana di Simmel). I rapporti umani sono sacrificati al minimo, anche perché durante le ore lavorative ogni travet si trova indaffarato nella propria mansione, e nei pochi che emergono, saltuariamente, con la madre del protagonista e con l’amico, si ravvisano omissioni, imbarazzi e difficoltà di comprensione. Forse il vero e proprio incontro formativo di Carabba avviene durante una passeggiata fuori dal liceo, di cui Carabba serbava una certa nostalgia durante i primi giorni di impiego in banca. In questo frangente il suo ex professore di italiano gli rivela che all’interno della banca, Carabba sarà solamente un «granellino di sabbia». Come se non bastasse gli sparuti dialoghi tra Carabba e i suoi colleghi rivelano una certa scontrosità ed ilarità. Questi ultimi, dapprima, si dimostrano stupiti e quasi invidiosi quando scoprono che il giovane riceve un buono stipendio, dopodiché tramano degli stupidi scherzi ai danni di Carabba provocando il riso di altri impiegati come quello di smettere di battere sui tasti a comando, lasciando Carabba solo ed intento a proseguire il suo lavoro.

3. Figure della spersonalizzazione

Il terzo aspetto che prenderemo in esame è quello relativo alla spersonalizzazione e i conseguenti tentativi o soluzioni proposte dai due autori per cercare di evadere da essa.

Per Simmel è possibile cercare di sfuggire alla spersonalizzazione della città mediante l’arte disinteressata, capace di riscattare la propria individualità nell’epoca della tecnica. Questa interpretazione proposta da Vincenzo Mele pare condivisibile e pone Simmel questa volta in contrapposizione rispetto a Pontiggia. Questi, invece, cerca di dimostrare come Carabba che sulle prime tenta di conciliare tempi di lavoro con tempi di lettura e di studio sia destinato al fallimento. Fondamentale è anche ricordare che il protagonista viene nominato soltanto mediante il suo cognome, quasi che tramite la spersonalizzazione e la crescente formalità della burocratizzazione, egli avesse perso la sua parte fondamentale, il nome, per designarlo. Lo scacco esistenziale di Carabba nonostante il suo tentativo di “doppia vita” emblematizzata dalle serate in biblioteca a leggere e a studiare lingue è illuminante e ci fa comprendere in anticipo una possibile sorte, della dimensione lavorativa nell’epoca della tecnica. Carabba supera l’esame universitario riguardo una disciplina, a sua detta “cavallo di battaglia”, ma con il minimo indispensabile. Egli comincia a comprendere il suo fallimento mentale e l’impossibilità di mantenere un ritmo di studio necessario per affrontare gli studi universitari. Ormai, mentre la stanchezza prende sopravvento, Carabba decide di abbandonare gli studi: in fondo, lo ammette, ormai lavora e non riesce a portare avanti altro. È allora che si rassegna alla sua condizione ormai ristretta, una morte spirituale e delle sue aspirazioni, che però fortunatamente non va a coinvolgere ogni tipo di conforto e consolazione. Carabba farà propria una visione più circoscritta della realtà nella quale fare del proprio lavoro il proprio unico orizzonte o ragione di vita, come si può capire dalle ultime righe dell’opera e come ci ricorda Mario Barenghi nella sua interpretazione posta al termine del volume.

Bibliografia essenziale

G. Pontiggia, La morte in banca, Mondadori, Milano 2003
G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, a cura di P. Jedlowski, Armando, Roma 1995

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Alessandro Montagna è nato a Pavia nel 1989. Laureato magistrale in Filosofia presso l’Università di Pavia nel 2013, attualmente è docente della classe di concorso A019 Filosofia e storia presso le scuole secondarie di II grado della provincia di Pavia. E’ autore dei saggi La filosofia presente nella letteratura italiana (Eidon, Genova 2013) e Bergson e la “belle époque” (Arnus, Pisa 2013) e di articoli tra cui Il concetto di alienazione in Pirandello in «Pirandelliana», sezione 2012, Serra, Pisa-Roma 2013, L’influenza della psicologia della Gestalt sulla teoria della percezione di Merleau-Ponty in «Dialegesthai», Roma, luglio 2013, La poetica del fanciullino di Pascoli e la filosofia della rêverie di Bachelard in “Segni e comprensione”, n. 84, Manni, Lecce 2014, e Epifanie del ricordo a partire dagli oggetti come supporti mnestici: Proust, Woolf, Sebald e Pamuk in “Illuminazioni”, n. 30, Messina 2014

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