Un condottiero, un eremita e un coccodrillo nelle terre dei Gonzaga

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GIANCARLO BARONI

Dalla mente di un colto condottiero nasce nella seconda metà del Cinquecento, vicino al Po, una città ideale in miniatura: Sabbioneta. Protetta da mura bastionate a forma di stella tuttora quasi completamente integre. Ci vollero poco più di trent’anni per costruirla e, subito dopo la morte del suo fondatore Vespasiano Gonzaga, la città cominciò a decadere. Nel frattempo si era arricchita della chiesa della Santissima Incoronata che accoglierà il monumento funebre e la statua bronzea di Vespasiano; della chiesa di Santa Maria Assunta; del Palazzo Ducale con le statue equestri in legno di Vespasiano e di tre suoi antenati; del Palazzo del Giardino con il Corridor Grande (o Galleria degli Antichi) lungo quasi cento metri; del Teatro di Vincenzo Scamozzi, allievo del Palladio e autore delle scene fisse del Teatro Olimpico di Vicenza, sulla cui facciata sta scritto con un misto di orgoglio e di consapevolezza: “Roma quanta fuit ipsa ruina docet” (“Le stesse rovine insegnano quanto grande fu Roma”); di Porta Vittoria e di Porta Imperiale. Stretta dentro le mura, Sabbioneta (dichiarata nel 2008 dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità) ha conservato intatto un fascino autentico e antico, un’atmosfera sospesa, un’aura quasi metafisica.
Vespasiano, valente guerriero e diplomatico, membro di un ramo cadetto dei Gonzaga, figlio di Luigi detto Rodomonte e di Isabella Colonna, nasce nel 1531 e muore sessant’anni dopo. Frequenta la corte spagnola di Carlo V come paggio d’onore dell’infante Filippo. Nel 1577 riceve il titolo di Duca, successivamente viene insignito della prestigiosa onorificenza del Toson d’Oro. Gravano su di lui sospetti inquietanti e ombre tempestose: accusata di averlo tradito spinse forse la prima moglie al suicidio; si dice che in un impeto di rabbia colpì all’inguine il figlio adolescente, l’unico figlio maschio, uccidendolo.

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Il paese di di San Benedetto Po è la sua imponente Basilica; una chiesa enorme per una cittadina minuscola. Dopo avere visitato come viandante e pellegrino Gerusalemme, Tours, Santiago di Compostela, e in Italia Roma, Pisa, Lucca, Luni, monte Bardone, Parma, Colorno, Piacenza, Pavia, Vercelli, Torino, il monaco ed eremita armeno Simeone si fermò qui, a San Benedetto Po, forse nel 1012. Da qualche anno era stato fondato il monastero benedettino di Polirone. Simeone guariva gli infermi e restituiva la salute agli ammalati, liberava con la preghiera le persone indemoniate, ammansiva animali feroci, placava le tempeste. Dopo avere abitato in un’umile celletta nelle vicinanze del monastero morì il 26 luglio 1016. Subito Bonifacio di Canossa ottenne dal papa l’autorizzazione per una nuova chiesa che doveva contenere le reliquie del Santo, custodite ora sotto l’altare della cappella dedicata a Simeone.
Matilde di Canossa, protagonista della lotta delle investiture, quando morì nel 1115 volle essere sepolta nel monastero; le sue spoglie, nel Seicento, furono trasferite in San Pietro a Roma e accolte nel monumento funebre creato dal Bernini. Qui rimane però il suo sepolcro vuoto. Verso metà Cinquecento la chiesa venne decisamente rinnovata da Giulio Romano, allievo di Raffaello e artista prediletto dai Gonzaga.

Nacque per volontà di Francesco Gonzaga come ringraziamento a Dio per la cessazione di una grave epidemia di peste scoppiata nel 1399, il Santuario delle Grazie che si trova vicino a Curtatone e che dista pochi chilometri da Mantova, sulle rive del lago Superiore dove a luglio e ad agosto risplende la fioritura del loto. Dedicato alla Madonna, il Santuario fu consacrato il 15 agosto 1406 e, nel corso dei secoli, visitato da re, imperatori e papi. La facciata, con un lungo loggiato, si affaccia su una vasta piazza dove ogni ferragosto si svolge un festival internazionale dei madonnari, i pittori di strada, evento che trasforma il selciato della piazza in una spaziosa lavagna colorata, in un tappeto di immagini sacre disegnate coi gessetti. All’interno della chiesa un profluvio di ex voto anatomici di cera che riproducono le parti del corpo per la cui guarigione si implorava la grazia (occhi, mani, teste, cuori, seni…) e di tavolette votive. Sulle pareti ottanta nicchie accolgono più di cinquanta statue polimateriche (composte principalmente di legno, stoffa e cartapesta), parecchie accompagnate da iscrizioni e didascalie. Le statue raffigurano personaggi illustri (per esempio l’imperatore Carlo V e suo figlio Filippo di Spagna che visitarono il Santuario rispettivamente nel 1530 e nel 1549) e gente comune, come un giovane soldato ferito che ringrazia la Madonna per averlo salvato (“L’alma volea fuggir per doppia uscita / che due colpi spietati in me già fero; / ma Tu accorresti a trattenermi in vita”) e come un condannato sopravvissuto alla forca (“Io veggo e temo in cor lo stretto laccio, / ma quando penso che Tu l’hai disciolto, /ribenedico il Tuo pietoso braccio”). Alcune nicchie vuote accoglievano un tempo statue rivestite di armature, adesso conservate al Museo diocesano di Mantova. Il Santuario racconta storie di guarigioni, di prodigi avvenuti per intercessione della Vergine la cui immagine, teneramente abbracciata a Gesù bambino, sta sull’altare maggiore. L’aspetto teatrale e scenografico rende la chiesa originale e suggestiva. Nella prima cappella a destra un monumento funebre progettato da Giulio Romano accoglie le spoglie di uno dei più influenti letterati della sua epoca, Baldassare Castiglione, morto nel 1529 e autore de “Il cortegiano”.

Dal soffitto della chiesa pende, probabilmente da inizi Cinquecento, un coccodrillo impagliato simbolo del demonio, del peccato e del male. Nella raccolta di racconti intitolata “Il coccodrillo sull’altare”, lo scrittore Guido Conti fa dire a due personaggi: “Un coccodrillo?! Questa poi non l’avevo mai sentita!…Come no? Ce n’è uno appeso nel santuario di Santa Maria delle Grazie. Dicono che l’han trovato in Po nel Medioevo. È incatenato al soffitto”.

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Il Duca il monaco il coccodrillo

(una storia di pura invenzione)

“Non ho fatto altro
che il mio mestiere
altro che il mio dovere
di uomo d’armi
e di guerra”, il duca
condottiero chiese all’eremita
di essere perdonato

assolto dai peccati. Si recarono
umilmente vestiti al lago
digiunando pregando. S’immersero
nelle acque lacustri… pianse
a lungo il coccodrillo
lacrime d’ipocrisia
oppure era vero pentimento?

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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.