La poesia e la luce

sembianze-della-luceGABRIELLA MONGARDI

Avevo scritto anni fa in una mia poesia inedita (Fiat lux, 2014):
La natura della luce
non la conoscono i Fisici
ma i Poeti, che ignorano
corpuscoli e onde,
quanti e particelle…
Dal gesto dei Poeti
scaturisce
la Luce –
una luce raccolta
e quieta, bianca
ma non fredda,
una luce vitale –
[…]

Questi versi mi sono ritornati in mente quando ho letto la silloge di Fernando Della Posta Sembianze della luce (Ladolfi editore 2020), che li invera e ne è la più compiuta dimostrazione, anche se in questo caso il poeta, data la sua formazione scientifica, non ignora certo “corpuscoli e onde, quanti e particelle”. Ma non definirei la sua una “poesia scientifica” come quella didascalica di Lucrezio, che vuole spiegare in versi la dottrina scientifica e filosofica dell’Epicureismo: anche se il bellissimo titolo si direbbe quello di un saggio di fisica, le “sembianze della luce” che Della Posta vuole evidenziare sono tutte metaforiche e simboliche, sono sfumature colte da chi guarda oltre e tradotte in accostamenti di parole sorprendenti, in immagini nuove e ispirate, per farne partecipe il lettore – a  partire dalla poesia che apre la raccolta nel segno della dolce “luce del tramonto”.

Se le dimostrazioni risiedono nei fatti,
già prima che qualcuno le sveli,
non importa tanto il nostro pensiero
ma se stiamo alle fondamenta
o all’apice di un antico edificio
e fino a che punto questo stia per sgretolarsi.

Mentre conversiamo
la luce del tramonto invade le nostre stanze
e ci culla dolcemente.

La seconda strofe risponde poeticamente al dilemma posto dalla prima circa la posizione del poeta e di noi moderni rispetto alla tradizione: una risposta affidata a quella luce del tramonto da cui basta lasciarsi cullare, cercando non “dimostrazioni” ma “conversazioni”: il poeta non vuole imporre le sue verità, il suo pensiero, ma intessere un dialogo con i maestri (in primis Montale, vero nume tutelare della raccolta) e conversare con il lettore in uno scambio paritetico, perché “viviamo scambiando senza volontà / un tepore che è tutto, con cenere”.
E se, per l’inesorabile legge dell’entropia, «i nomi dei giorni si dimenticano, / restano sequenze che sarebbero indecifrabili / se non ci fossero palpabili emozioni / che più lentamente, / come braci di un fuoco spento / col tempo si dissolvono», compito del poeta è aggrapparsi a quelle “braci” – una delle “sembianze della luce” – e additarle, offrirle al lettore, anche se “non è facile catturare una luce / nel temporale portato dal vento”, perché quella luce si riduce a “vecchi e fragili puntini di mimosa”.

Ma «la sorpresa che fa bene / è quella dei volti che si rivelano alla luce / e che ci rimettono al mondo, / con la sicura delicatezza dei gesti / e dei discorsi», perché – insegna Neruda – è  per rinascere che siamo nati: e questo avviene grazie all’incontro con qualcuno che, come il poeta, ha il coraggio di essere autentico, di rivelare il proprio vero volto agli altri: qualcuno che è tanto sicuro di sé da essere  delicato nei gesti e nei discorsi. E quando polemizza con chi fa “versi di pelle sintetica”, “cappotti da stendere sui nostri anni irrisolti” vi contrappone la possibilità di “farne salto / che precipita in una nuova luce” e conclude “nella notte può bastare anche una sola luce”, la luce della poesia, una luce “raccolta e quieta, bianca ma non fredda, una luce vitale”…

Come ben evidenzia Benassi nell’ispirata prefazione: «La poesia di Della Posta è una scrittura del possibile nella quale trovare il senso del divenire, quasi una scrittura quantistica… apre la pagina». E ritorniamo al punto di partenza: solo nell’interazione autore-lettore si costruisce il senso della “pagina bianca / che anela ciecamente ad una scritta” – anch’essa una delle “sembianze della luce”.