Ispirazioni

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GABRIELLA VERGARI

«Sono certo lei abbia un manoscritto nel cassetto. Una giovane donna bionda e bella come lei non può non avere tanto da dire sulla vita.»

«Per la verità…» arrossì Clara «Oh, nulla d’importante. Cioè, niente che possa rivelarsi all’altezza della sua attenzione, Maestro», si schermì ma si vedeva da mille miglia che stava morendo dalla voglia di sottoporgli ciò a cui aveva dedicato mesi e mesi di duro e intenso lavorìo, soprattutto notturno.

«Oh, ma allora ci tengo, assolutamente!» la blandì lui, quasi incominciando a prendersi sul serio.

La ragazza fece un sorriso imbarazzato e poi esclamò: «Per me sarebbe un onore immenso. Ma davvero lei pensa che io…»

«Se lo penso. Ci mancherebbe. Devo proprio farlo qui, adesso. Mi sento particolarmente ispirato. Corra a casa e vada a prendere i suoi…»

« Le mie poesie. » completò lei di getto e quasi senza fiato per la fortuna che le stava arridendo.

«Le sue poesie, appunto. Le leggerò con molta attenzione. E sarò severissimo, non si illuda. Se non varranno nulla, le stroncherò senza meno. Ma se, come immagino, meriteranno invece di venire alla luce, allora le aprirò le ribalte più prestigiose. Lei ha di sicuro un animo sensibile, si intuisce subito anche da come si pettina…»

«Da come mi pettino, Maestro?»

«Sicuro, la pettinatura può esprimere tanto di un individuo, figuriamoci poi di una donna… »

Sbalordita, Clara si portò la mano sulla zazzera, aggiustandosela con un tocco tra il compiaciuto e il nervoso.

«Corra, le dico. Sa che il mio amico, Guido Cavalcanti…»

«Cavalcanti? »

«Sì, Cavalcanti. Lo conosce? »

«Veramente no, non proprio. Almeno non questo… voglio dire, conosco l’altro…» si stava miseramente impappinando e tacque confusa.

«Il mio amico Cavalcanti, dicevo, è in cerca di nuovi talenti e potrebbe essere felice di incontrarla, così, giusto per cominciare. Conosce il giro che conta. Un paio di comparsate in tv, nelle fasce orarie giuste e con i conduttori giusti, una serie di recensioni opportune, blog, rubriche, premi e, con uno schiocco di dita, il gioco è fatto. Clara…»

«Casorati, Maestro» declinò la ragazza come in un sogno.

«Clara Casorati…  suona bene,» constatò quello, rigirandosi le lettere in bocca quasi fossero un mango succoso. «Non mi sbagliavo: lei ha una melodia riposta perfino nel nome… non può che essere di felice auspicio. Bionda e dal nome armonioso. Davvero promettente, non c’è di che. Cara la mia Clara, lei potrebbe presto varcare il confine tra il grigio anonimato e la gloria delle lettere. Un balzo vitale che i più anelano invano per un’esistenza intera. E dire che a volte basta così poco. Un incontro, una serata di vena, un’atmosfera…»

Pur annebbiata dall’ampia mano del Maestro che ruotava per aria a dipingere scenari che nemmeno nelle sue più fervide fantasie si sarebbe mai permessa di prefigurare, a quell’ultima uscita Clara fu comunque sfiorata dal sospetto che lui volesse portarsela a letto. Ma lo scacciò via subito, infastidita e persino pentita anche solo di averlo nutrito. Un uomo di quella fatta e statura… Uno scrittore portentoso, il cui carisma era da lunga pezza indiscussa acquisizione mondiale.

Quella in hindi, ancora in fase di lavorazione, sarebbe stata la cinquantesima traduzione del  suo capolavoro. E il trend non accennava a scemare.

«Corra a casa, le ripeto, non si lasci sfuggire quest’attimo irripetibile. Proviamo piuttosto a coglierlo, come il Poeta stesso ci richiede.» Quelle parole le accarezzarono l’anima. Clara si alzò di slancio dalla poltroncina, su cui con tutta la deferenza del caso si era non più di un quarto d’ora prima accomodata, e  afferrò con ansia la borsetta.

«Prima però…» la voce del Maestro l’arrestò, proprio sulla soglia mentre la infilava di fretta.

«Però… » rimandò lei.

«Ecco, sì… dovrebbe farmi un piccolo favore…» Il Maestro socchiuse gli occhi, attraversato da chissà quale estro repentino.

Commossa, Clara si sentì sopraffare dall’inatteso quanto magnifico privilegio di assistere a quel momento prezioso. L’istante sacro e perfetto in cui, trasformando la potenza del furor in atto creativo, la Musa si invasa nel suo prescelto e lo possiede per renderlo pieno strumento di sé. Si sentì quasi una profanatrice e provò perfino imbarazzo per aver violato un’intimità tanto rarefatta e sublime.

«Un favore?» quindi chiese, non appena si riscosse, seppure ancora vagamente trasognata.

«Chiamiamolo più se vuole uno sfizio…» L’uomo sembrava tornato in sé. «Un’abitudine cui più non mi sottraggo da almeno vent’anni. Fa bene all’anima e anche al diletto dei sensi. Ebbene, in confidenza, quando leggo, sento il bisogno di ascoltare della musica scelta. Mi crea la giusta disposizione spirituale…»

Come lo capiva, concordò lei. I Queens, I Nirvana, I Doors, qualcosa dei Pink Floyd… quanto l’avevano sempre aiutata a trovare il mood opportuno.

«Così, vorrei accompagnare la letture delle sue poesie con…uhm, mi lasci pensare…, sì, i Capricci di Paganini. Lo sa che era forse affetto da una sindrome rara?» No, Clara non lo sapeva, né in quell’istante le importava granché, ma non poté fare a meno di replicare con un’eco chioccia: «Una sindrome?»

«Sicuro. La sindrome di Marfan. Che strane vie può trovare il genio. Ci pensi. Una piccola mutazione ereditaria ed ecco che invece di trasformarti in un misero scarto biologico ti ritrovi dita lunghissime e affusolate che ti fanno sentire  un violino come nessun altro al mondo. Esecuzioni uniche ed eccelse, senza alcuna possibilità di replica. Paganini non ripete, come disse lui stesso al re. E come faremo anche noi questa sera.»

Lo aveva sottolineato con una pausa sapiente.

«In che senso?» La nota di stridula urgenza nella sua voce la allarmò. Se infastidiva perfino lei, che effetti avrebbe sortito sul Maestro? Ma quello stare sulla soglia, in una parola tra un qualcosa che le sembrava, nelle prospettive, approssimarsi e più, nei fatti, protrarsi, le stava facendo crescere un irrefrenabile nervosismo.

Clara non vedeva l’ora di essere già in macchina o meglio ancora a casa, a  recuperare il suo prezioso manoscritto.

Si maledisse più volte per non essere stata previgente.

Ma quando Marcella le aveva telefonato e annunciato la disponibilità del Maestro a incontrarla nella rinomata roccaforte del suo studio, per quel breve colloquio serale, era stata troppo presa dallo stupore. Né avrebbe potuto immaginare che le cose prendessero la piega che ora la teneva così in sospensione.

«C’è un unico interprete che sia stato capace di accostarsi al suo straordinario talento.» proseguì la voce. «Conosce Salvatore Accardo? L’esecuzione dei Capricci? In particolare quella del ’90…» Clara si affrettò ad annuire col capo, bluffando.

«Un’edizione di pregio, che non so come ho smarrito. Bene, me la porti insieme al suo manoscritto, diciamo da qui a mezz’ora, e andrà tutto alla grande. Naturalmente in vinile…» sottolineò il Maestro con un pizzico di pignoleria.

«Ma sono le 9 e mezza di sera…» obiettò la ragazza, sbiancando. Dove avrebbe mai potuto procurarsi quel cimelio musicale, a quell’orario improponibile e con i negozi chiusi.

«Oh beh, non dovrebbe essere un problema, per lei. Qualche amico l’avrà. Provi a cercarlo. Ma, se lo preferisce, potremmo ripiegare sull’esecuzione  del rondò del Concerto in si min, volgarmente conosciuto come La Campanella, con il celeberrimo “Cannone”, il Guarnieri del Gesù del 1743, appartenuto a Paganini. L’esecuzione dal vivo del novembre 2008, mi pare. »

«Mah…» l’obiezione di Clara ridotta ad un flebile sussurro.

«Che c’è ancora?» sbottò quasi il Maestro, sottolineando la sua impazienza con un gesto stizzito della destra, come ad indicarle la via. «Non crede che le sue poesie meritino il giusto accompagnamento?»

«Non le andrebbe il Chiaro di Luna di Beethoven? o magari un concerto di Mozart… » suggerì lei con l’ultimo filo di fiato che le restava, cercando disperatamente di ricordare il repertorio dei 33 giri del nonno in cantina. Aveva sempre odiato la musica classica e questa era forse la sua giusta punizione per aver snobbato gli infiniti inviti ad ascoltarla insieme.

«No, non direi. Non è proprio la serata adatta. E poi si tratta di opere che già posseggo da un pezzo. Non discuta più, mia bella Clara, non le dona al colorito. E ai suoi fini capelli color dell’oro. Mi riporti le sue poesie e quell’esecuzione di Accardo, altrimenti non se ne fa più niente. Prendere o lasciare.» concluse, con un sorriso che la ragazza trovò tutt’a un tratto ributtante.

«Miserabile bastardo.» L’imprecazione le sgorgò di dentro con una violenza che la spaventò, ma se la ricacciò in gola, insieme a un piccolo, involontario singhiozzo. Sentì infiammarsi le gote e salirle le lacrime agli occhi, ma ricacciò anche quelle.

«Certo, Maestro, buonasera.» ebbe invece la forza e l’educazione di rispondere.

Richiuse delicatamente la porta e volò giù per le scale, lontano, nella notte che l’accolse nel suo  abbraccio nero.

Appoggiandosi più comodamente alla poltrona reclinabile di pelle imbottita, il Maestro prese il telefonino e richiamò Riccardo, il suo vecchio amico.

«Ha funzionato. Me la sono tolta davanti.» gli annunciò con la ben nota noncuranza dei suoi momenti migliori.

«Buon per te. Carina? »

«E pure incantevolmente reverente. E timida. Una rarità.»

«Avresti almeno potuto leggere i suoi testi.»

«Figurarsi. E a che pro, poi? Ne ho le tasche piene di dilettanti allo sbaraglio, dei cieli da cui è venuta giù la speranza e delle ombre lunghe che incombono sulla nostra esistenza, avvolgendola, senti un po’ la novità, come un sudario. Ci vogliono parole nuove per nuovi orizzonti. Quelle che non trovo nemmeno io e da un bel po’, come sai.»

«Non mi pare una buona ragione, per prendersi gioco del prossimo.» obiettò l’altro, «Devi fare qualcosa per alleggerirti la noia e combattere il tedio, non puoi andare avanti così.»

«E qui invece ti sbagli.» si intestardì il Maestro. «Sempre meglio che sopravvivere a se stessi, annegando pian piano nell’autoreferenzialità. Giocare con le altrui illusioni mi sta diventando estremamente creativo. Non è del resto quello che quotidianamente fa chi opera nella scrittura? Costruisce e distrugge, un po’ come un dio.»

«Già, come no? Ma questa è la vita vera, bello mio e tu stai solo diventando un povero stronzo che gioca come il gatto con il topo. Le avrai spezzato il cuore, poverina. »

«Niente di più errato. Le ho piuttosto offerto una lezione, d’oro come i suoi capelli. Le ho fornito un’occasione di sofferenza e delusione. Se saprà  approfittarne, migliorerà i suoi versi. E se varranno, con il tempo troverà anche lei la sua strada, senza far eccessivo affidamento su scorciatoie, colpi di fortuna e altrui carri trionfali. Sangue si suda, dovresti saperlo anche tu, Carissimo mio.»

«Non lambiccarti allora troppo il cervello, ché potrebbe nuocerti alla salute.» ridacchiò quello in cambio.

«Tranquillo, mi sto già preparando per le mosse a venire. Sto anzi pensando che alla successiva promessa della gloria letteraria potrei ad esempio proporre…»