Per diventare saremo

Foto: Bruna Bonino

Foto: Bruna Bonino

EVA MAIO

Tutto comincia così.
Cintya Collu* posta una foto bellissima di un albero con sopra scritto:
Io siamo.
Faccio colazione con quel bell’albero in testa.
Saluto su Whats App mia sorella.
Vado a lavarmi i denti. Mi specchio.
E mi balza dentro la scritta “Io siamo”. Non più quel bell’albero. La scritta.
Solo la scritta.

In automatico spunta la poetica del verbo essere al tempo del coronavirus
IO SIAMO
TU SIAMO
LEI LUI SIAMO
NOI SIAMO
VOI SIAMO
LORO SIAMO.

La mando ad amiche, chi sconsolate, chi più ottimiste, chi inquiete, chi alla ricerca continua di stimoli, chi chi chi…
Una in un modo indiretto, un’altra in modo esplicito: – Ma dopo saremo all’altezza di questa solidarietà, di questa percezione che ci si salva insieme….?-
Non ho risposte.
Intanto la parte più razionale e pessimista di me mi sussurra: – Sei sicura che ci sarai dentro quel saremo ? -

So che per me vale questo. Adesso.

Per diventare
saremo
occorre
ora
immergere
l’io
in te lei lui noi voi
che loro
forse
non c’è.

Il tempo per quest’operazione di immersione
c’è tutto
ora.
Il pronome loro
non so
se in quest’ora del cosmo
esiste ancora.
Un’ora perdurante settimane mesi e mesi
non si sa
Sto nell’incertezza
di questo tempo sospeso.
È l’alba
dell’inatteso
questo tempo sospeso.

È che forse
l’io si può fare largo vuoto sottile intrepido
furibondo amante…
Si slarghi e scoppi
questo mio io
a cui per ora è chiesto di stare a casa.
Di starci
incerti attenti uniti.
Si slarghi in casa
che dentro ci stanno tanti tanti tanti
mai troppi.
Ci stanno.
Ci stanno mentre si spolvera si lava ci si lava si legge si ascolta musica si prepara pranzo si scrive sugli aggeggi a nostra disposizione si accende la luce si spegne si fa cambiare aria alle stanze si sorride di un passero che passa si apre il frigo si controlla se si resiste ancora come cibarie si ascolta il notiziario si spegne la radio che il telefono squilla per sentire meglio…

Si slarghi quel nonsopiùcosa che chiamiamo io
che ormai quella che chiamo io
ha dentro chi ha raffreddore febbre poi telefona il medico risponde poi il test poi il risultato ed è angosciata con brillii di speranza se no è peggio
ha dentro chi anziana già sola lo è da anni e manco due passi ora fa
ha dentro quelle lei che vivono da separate in casa con lui che la prepotenza l’ha sempre esercitata come un dovere quotidiano
ha dentro quei lui lei figli figlie in bilocali stanchi sbilenchi fumosi
ha dentro chi ha lavori precari e non sa ancora se il coronavirus ce l’ha o lo sta scansando lo scanserà ancora
ha dentro l’infermiera-dottoressa vestita da palombaro che cerca con gli occhi di consolare chi muore chi sta morendo solo sola con l’acqua alla gola
e quella che da ore trattiene la pipì e pensa a casa
e quella che le hanno cambiato turno e sua madre sta male
e chi pulisce sana risana in continuazione gli stessi gesti da settimane e durerà ancora
chi è al bancone alla cassa al riordino scaffali in negozi ai supermercati col dovere di un sorriso
e chi si tracollerà alcool di troppo che troppa è l’ansia dentro o fumerà il doppio o s’incollerà a siti porno per dribblare l’idea della fine
e chi è volontaria ma mica è senza fifa ma lo fa lo fa a guidare un’ambulanza portare barelle portare la spesa a qualcuno e altro ancora che non mi viene in mente adesso
ed ho un terribile pudore a dire che c’è in questo-io-non- più-io chi la casa non ce l’ha
e più acuto ancora a dire che di sottofondo l’io-non-più-io si porta dentro dentro dentro chi sta morendo chi muore
Pudore a dirlo che per ora questo io-non-più-io sta bene.
Pudore a dirlo che avverto tutta l’umana ingiustizia piombata addosso.
Pudore e paura.
Pudore e paura senza vergogna.
Sì dirla la paura.
Che il mio io si slarghi non toglie il pungolo della paura.
E anche questo io-non-più-io di carta velina.

So che per me vale questo adesso.
Dei tuffi
nello spirito d’un mondo fragile
strappato
e di un compatto
piccolo denso sapere
che in mano
ciascuno ha un filo
per ricamare
e rammendare
coraggiose delicatezze
al tutto
ed al particolare
che è lì
un po’ dentro un po’ fuori
le nostre finestre.

So che per me vale questo adesso.
Orfana di certezze
intrecciata
a un miscuglio contratto
di domande
sempre più immerse
nel pozzo della vita.
Con lo spiraglio
dello sguardo
verso il sottile il nascosto
il magnanimo il gentile
che c’è
c’è persistente
acuto e dolce
al fondo
al fondo
al fondo.

Che al fondo
ci sono radici sottili
sottili come capelli
di pietas nel comprendere
nessuna presa
nessuna predatoria presa.

Che al fondo
ci sono sedimentate
cure
ferite cicatrici e cure.
Senza rumore.
Con l’irraggiungibile
a due passi.
Ma passi
in fondo.

E poi si galleggia.
Per ora si galleggia
col senso civile.
Che ci vuole anche questo.
L’impasto lievitante
di misericordia
senso civile
intenso stare
nel rammendo
col sogno del ricamo.

* Cintya Collu scrittrice. Uno dei suoi libri: L’amore altrove.

(Foto di Bruna Bonino)