Firenze, la porta del Paradiso

Per viaggiare da casa, in attesa di poterlo fare in sicurezza quando sarà il momento, ecco le città italiane di Giancarlo Baroni. Prosa poesia e fotografia. Un viaggio con l’immaginazione fra le straordinarie bellezze italiane rivisitate a volte attraverso le leggende dei loro santi.

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GIANCARLO BARONI

Firenze è uno scrigno di arte e di bellezza che contiene stupendi edifici (pubblici e privati, civili e religiosi) i quali a loro volta custodiscono innumerevoli capolavori. La densità artistica ed estetica è tale che l’estasiato visitatore può essere colto, come accadde a Stendhal, da sentimenti di stupore, sbigottimento, vertigine; questi stati d’animo rappresentano il prezzo emotivo da pagare, la prova psicologica da sostenere, l’anticamera purgatoriale che ci attende prima di entrare pienamente nel “Paradiso” fiorentino. Simbolicamente la Porta del Battistero scolpita dal Ghiberti e chiamata, per il suo splendore, Porta del Paradiso costituisce la soglia d’ingresso da varcare. La stordente eccitazione provata da Stendhal nella chiesa di Santa Croce, causata dalla prolungata contemplazione di una esorbitante bellezza, è il sentimento che ogni turista rischia di provare visitando per la prima volta Firenze. Che va invece vista senza fretta, con calma, un poco alla volta, a tappe, evitando che il suo fascino ci sovrasti.

Il nostro stringato e inevitabilmente parziale tour fiorentino comincia dalle chiese e, fra loro, dalla Cattedrale. Di fronte all’ottagonale Battistero medioevale di San Giovanni, rivestito all’esterno di marmi bianchi e verdi e all’interno di mosaici, sta l’imponente duomo di Santa Maria del Fiore la cui facciata venne iniziata a fine Duecento, smantellata quasi trecento anni dopo e completata a fine Ottocento.  La sua prodigiosa cupola, progettata da Brunelleschi, attrae come un magnete gli sguardi: “Leggera l’alba / solleva la Cupola / divina foschia”, recita come una preghiera questo haiku del poeta fiorentino Luigi Oldani.

È una gara di eleganza e di perfezione, senza vinti né vincitori, quella che si gioca fra il trecentesco campanile di Giotto, che si innalza di fianco alla Cattedrale, e la quattrocentesca cupola del Brunelleschi: “erta sopra e’ cieli, ampla da coprire chon sua ombra”, dice Leon Battista Alberti, “tutti e popoli toscani”. Prima di lasciare Piazza del Duomo, ci attende il Museo dell’Opera: fondato nel 1891 ospita lavori e capolavori provenienti dal Battistero, dal Campanile e dalla Cattedrale. Reliquiari e tessuti liturgici; modelli lignei; la cantoria di Luca della Robbia e quella di Donatello; tavole dipinte, polittici e pale d’altare; sculture di Arnolfo di Cambio, Donatello e Michelangelo; l‘originale della Porta del Paradiso del Ghiberti con storie dell’antico Testamento; rilievi di Andrea Pisano; l’altare argenteo dedicato al patrono di Firenze Giovanni Battista. L’effigie del Santo protettore era incisa anche sul rovescio del fiorino d’oro, moneta delle transazioni commerciali internazionali coniata a Firenze da metà Duecento; sull’altra faccia il giglio.

Arnolfo di Cambio progetta la Cattedrale, il Palazzo dei Priori, la basilica di Santa Croce. La chiesa francescana custodisce i resti di uomini illustri, fra loro ad esempio Niccolò Machiavelli, Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo. Sul sagrato, rivolta verso la Piazza, una grande statua di Dante rende omaggio all’esule fiorentino sepolto a Ravenna. Affreschi trecenteschi di Giotto, Taddeo e Agnolo Gaddi, rivestono le pareti di alcune cappelle e, in quella Maggiore, illustrano storie e leggende della vera Croce. Il Cristo crocifisso del Cimabue, deturpato nel 1966 dall’apocalittica alluvione dell’Arno, mostra la sua sofferenza, le sue ferite e contemporaneamente la capacità di sopravvivere agli oltraggi e agli sfregi, di reagire e rinascere. In fondo al primo chiostro la Cappella Pazzi, disegnata da Filippo Brunelleschi, ci introduce nelle sobrie armonie del primo Rinascimento.

La prima pietra della chiesa domenicana di Santa Maria Novella fu posata nel 1279, la facciata   completata nella seconda metà del ‘400 da Leon Battista Alberti. Giotto, Filippino Lippi, Domenico Ghirlandaio…, impreziosiscono la chiesa con le loro opere, fra le quali risplende la Trinità affrescata da Masaccio dove, miracolosamente e misteriosamente, l’infinito trova accoglienza all’interno di uno spazio delimitato e finito.

Sopra una collina da cui si ammira un impareggiabile panorama, si trova la chiesa di San Miniato al Monte fondata agli inizi del Mille. Una leggenda racconta che Miniato, dopo essere stato decapitato, raccolse la propria testa e, prima di accasciarsi definitivamente, raggiunse il luogo dove sarebbe sorta la Basilica in cui è sepolto.

Fra’ Giovanni da Fiesole, conosciuto come Beato Angelico, con suprema grazia affrescò ambienti comuni e celle del convento di San Marco dove Girolamo Savonarola abitò sino alla morte; nella chiesa di Ognisanti  il San Gerolamo in preghiera del Ghirlandaio si specchia nel Sant’Agostino nello studio di Botticelli che qua è sepolto; tempio e mausoleo della famiglia Medici, la chiesa di San Lorenzo fa dialogare, nella Sacrestia Vecchia e in quella Nuova, equilibrio e rigore brunelleschiani con vigore e tensione michelangioleschi.

Tre cappelle di altrettante chiese costituiscono capitoli rilevanti dell’arte italiana fra inizi Quattrocento e inizi Cinquecento: Masaccio nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine; Ghirlandaio nella cappella Sassetti in Santa Trinita; Pontormo nella cappella Capponi in Santa Felicita.

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Una sfilata preziosa di statue di bronzo e di marmo collocate in edicole e nicchie percorre le facciate di Orsanmichele; sono copie, la maggior parte degli originali si trova nel Museo. Sculture create da artisti del valore di Donatello, Brunelleschi, Verrocchio, Ghiberti, Giambologna…, raffigurano i Santi patroni delle Arti fiorentine, fra cui quella di Calimala, che commerciava la lana grezza; dei Giudici e Notai; dei Beccai; dei Maestri di Pietre e Legname; del Cambio; dei Medici e Speziali; della Seta. Nella chiesa un fastoso tabernacolo gotico dell’Orcagna accoglie la Madonna delle Grazie, dipinta da Bernardo Gaddi un anno prima che la micidiale peste del 1348 uccidesse il pittore e dimezzasse la popolazione fiorentina. In Orsanmichele aspetti religiosi e civili, devozionali e mercantili, si intrecciano.

A Palazzo Medici – Riccardi, iniziato a metà ‘400, Benozzo Gozzoli affrescò la Cavalcata dei Magi, corteo sontuoso dove sono raffigurati anche membri della famiglia medicea. Qui i Medici risiedettero fino al 1540 quando il granduca Cosimo I e la moglie Eleonora di Toledo si trasferirono a Palazzo della Signoria; fra le numerose sculture che adornano la Piazza, cuore politico cittadino, svetta il David di Michelangelo, l’originale si trova dal 1873 nella visitatissima Galleria dell’Accademia. Poco distante da quest’ultima, sull’ampia e armoniosa piazza della Santissima Annunziata si affacciano la chiesa omonima, lo Spedale degli Innocenti di Brunelleschi, il Museo archeologico nazionale con le sue considerevoli collezioni di arte etrusca ed egizia.

Capolavori dei più celebri pittori italiani (Cimabue, Giotto, Gentile da Fabriano, Paolo Uccello, Andrea Mantegna, Filippo Lippi, Piero della Francesca, Verrocchio, Antonio e Piero del Pollaiolo, Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio, Filippino Lippi, Raffaello, Michelangelo, Parmigianino, Tiziano, Bronzino, Caravaggio…) affollano magnificamente le pareti della Galleria degli Uffizi, opera del Vasari, dal 1560 cuore amministrativo dello stato mediceo e infine museo. Il Corridoio Vasariano attraversa l’Arno appoggiato sulle botteghe di Ponte Vecchio e collega Palazzo Vecchio, gli Uffizi e Palazzo Pitti. Assai potenti i Pitti dovettero vendere ai Medici, a metà Cinquecento, il loro palazzo, che divenne una reggia e uno sfarzoso contenitore di  tesori, di opere d’arte e di artigianato di ogni genere e tipo, alle cui spalle si estende il Giardino di Bòboli.

Quello che gli Uffizi sono per la pittura, il Bargello lo è almeno in parte per la scultura; in passato sede del Podestà e poi carcere, diventa museo nel 1865. Qui possiamo ammirare per esempio il San Giorgio in marmo di Donatello, il David dello stesso autore e quello del Verrocchio entrambi in bronzo, le ceramiche invetriate dei Della Robbia.

Si deve alla lungimiranza di Anna Maria Luisa de’ Medici, sorella dell’ultimo granduca Gian Gastone, se le collezioni medicee non subirono le spoliazioni e le dispersioni che afflissero invece quelle degli Este e dei Gonzaga. Nel 1737 Maria Luisa cedette ai nuovi signori, i Lorena, il patrimonio artistico dei Medici a patto che non potesse essere trasportato fuori dalla Capitale e dal Granducato, e a condizione che quadri, statue, biblioteche, gioie e altre cose preziose, restassero “per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.

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Firenze crocifissa

(4 novembre 1966, l’Arno straripa)

Crollano le porte del paradiso, le aureole
dei santi galleggiano nel fiume
come un salvagente. Persino il Battista

travolto ci si aggrappa.
Gli angeli di Firenze volano bassi
le piume impregnate di pioggia. L’Arno,

con furia da iconoclasta, cancella nelle chiese
le tracce dell’aldilà. Dal Crocifisso
di Cimabue gocciolano melma e fanghiglia

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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.