Tutto passa, poesie di Maurizio Zanon

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SANDRO ANGELUCCI

L’incipit della premessa di Maurizio Zanon a Tutto passa (Guido Miano Editore, 2019), riportando i versi di Diego Valeri, recita così: “L’istante che non sta / che mentre è, già non è più / l’innumerevole istante. / Tu vedi: è stolto temere la morte / se vivendo / ogni istante si muore”. Si tratta di una chiara accettazione del panta rei eracliteo che si oppone al principio della filosofia eleatica e parmenidea, secondo la quale – coerentemente con il principio di non contraddizione della logica aristotelica – se una data proposizione A è vera, allora non può essere vera anche la sua negazione cioè la proposizione «non A». Ciò equivale a dire che una proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa.
E la chiusa della stessa protasi avvalora il concetto apportando al medesimo uno sviluppo che costituirà, come vedremo, il fulcro della poetica sottesa alla recente fatica letteraria del Poeta: “Anche questi miei brevi recenti componimenti – afferma il Nostro – […] potranno sembrare, per l’accorto lettore, avvolti da una vena di malinconia, per questa mia presa di coscienza venuta alla luce negli anni giovanili, in cui condividevo appieno il pensiero di Eraclito che diceva: ‘Non ci si può immergere due volte nello stesso fiume’. Un rapporto dunque impari fra l’eternità del tempo e la limitatezza del nostro arco di sviluppo biologico. Forse, per questo motivo, la malinconia è stata la mia fedele compagna di vita. Ho intuito subito che una cosa che comincia è già finita, sprecando così l’occasione di vivere pienamente l’istante, il presente, a guisa di nevrosi ‘temporale’.”.
D’altro canto che l’Autore non sia nuovo a questa propensione dell’animo è altresì testimoniato da Guido Miano che, in riferimento ad una precedente raccolta, sostiene: “Prevale nella poesia di Zanon la consapevolezza angosciante del tempo che ci condiziona tutti, che travolge anche le memorie, le non occulte verità della condizione umana, i limiti e le incertezze…” (dal Dizionario Autori Italiani Contemporanei, 2017).
Ma passiamo ai versi e, in particolare, al distico che sviluppa la poesia d’esordio della silloge: La vita: “Un sorso la vita / un sorso che fatichiamo a degustare”. È ostico, è gravoso – dunque – vivere. Chiediamoci però perché si fatica, da cosa deriva la nostra stanchezza? Io credo che questo sia dovuto proprio all’idea di non considerarla un sorso, la vita, legati come siamo ad una falsa percezione dell’eterno.
L’uomo – contrariamente agli altri esseri viventi, ed all’ordine naturale delle cose (mi sia consentito dire) – non prende minimamente in considerazione la relatività dello spazio e del tempo. Capisco che nelle creature, da noi differenti in quanto prive di ragione (almeno di quella facoltà che così definiamo), l’antitetico contrasto non ha motivo di prodursi ma è anche vero che, proprio perché dotati della facoltà di pensare e di conoscere, potremmo raggiungere un grado di consapevolezza maggiore, che ci permetta di giovarne ai fini antropologicamente esistenziali e, nondimeno, in termini universali, ossia d’interrelazione, di corrispondenza con il creato.
Precedentemente ai succitati versi troviamo un esergo di Rabindranath Tagore, eccolo: “La farfalla non conta gli anni ma gli istanti: per questo il suo breve tempo le basta”.
Ecco cosa poc’anzi intendevo riguardo a ciò che ho indicato come “falsa percezione dell’eterno”. Siamo legati – noi uomini – ad un’idea, comunque sia, temporale della vita; ed è per via di tale convinzione che non riusciamo a godere appieno del momento che ci viene concesso. Si, certo, il momento. Perché l’eternità – e dunque l’esistenza, che ne è l’espressione – è fatta di attimi, e forse neanche di quelli. L’hic et nunc: è questo l’imperituro, quello che permane oltre ogni apparenza.
Così, quando il Poeta, in Odoro di morte, scrive: “Una sorta di nevrosi m’assale”, sono propenso a pensare che l’angoscia sia verosimilmente generata dal rimpianto di sapere inconsciamente che davvero si poteva evitare ascoltandolo l’attimo e non fuggendolo.
In Capolavori – tornando al pensiero sopra esposto – Zanon identifica quei momenti negli stati di grazia della creazione artistica, e mi trova in piena sintonia, laddove però non si dimentichi che c’è bisogno sempre del contrario per apprezzare qualcosa; se non ci fosse l’ombra non capiremmo la luce e così via. Dobbiamo vivere con un piede nell’ombra e l’altro nel Sole: non ci sono alternative, pena l’affanno esistenziale.
Tutto passa. Ma proprio perché passa, passerà anche la crisi di valori. Con sacrificio, tuttavia, con la necessità, con la povertà che ci toglieranno la ricchezza finta e ingannevole in cui abbiamo creduto di scorgere la felicità.