Giorni felici

Considerazioni su foto di famiglia

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SILVIA PIO

Scrivere la storia di famiglia non è un processo esente da dolori, soprattutto se si tratta di persone amate e se la famiglia, numerosa, ha attraversato gli eventi personali e sociali della campagna piemontese del XX secolo. Ognuno di loro porta un carico di sofferenza che non può non coinvolgermi.
Ricordandoli con la memoria mia e degli altri mi domando quanta gioia e angoscia, quante aspettative e preoccupazioni, quanti piccoli grani di felicità abbia concesso loro una vita che è stata occupata a lavorare. Il valore del lavoro ha permesso a questa nostra terra di sollevarsi dalla povertà e dalla distruzione delle guerre, ma ha messo, e ho il sospetto che ancora lo faccia, un freno al divertimento e alla crescita personale (non economica); l’obiettivo di riscattarsi da una servitù di ristrettezze continuava ad essere dominante anche quando i problemi erano superati e si sarebbe potuto alzare la testa e godersi quanto si era raggiunto.

La nonna Vigina, morta a più di 100 anni, raccontava che a scuola ci era andata fino alla seconda elementare, poi aveva dovuto occuparsi dei lavori agricoli. Anzi in pastura alle pecore ci andava già prima. Non ha del tutto scelto il marito, ma di sicuro non ha scelto le gravidanze; era evidentemente una donna fertile e mio nonno Berto un uomo, come dire?, focoso. Per anni ha avuto, contemporaneamente, un bimbo in pancia, uno in culla, e altri di età diverse. La primogenita Cecilia si è occupata dei piccoli appena è stata in grado: secondo una delle prime foto, a 7 – 8 anni.
Vigina forse non ha neppure scelto i nomi per i figli, visto che andava Berto in municipio a ‘farli segnare’. Come era consuetudine, la prima femmina si è chiamata col nome della nonna materna e il primo maschio con quello del nonno paterno.
Berto non perse mai l’abitudine di decidere i nomi della progenie: quando è nato mio fratello, il primo nipote maschio Pio, andò lui a farlo segnare ad Alba, aggiungendo al nome scelto dai miei genitori anche il proprio;  i miei ebbero un figlio inaspettatamente chiamato Roberto Bartolomeo.

La società era fortemente patriarcale, anche se non mancavano donne d’acciaio (la bisnonna Cecilia, detta Ciìn, era una di quelle) che riuscivano ad imporre la loro volontà. La nonna Vigina non era così, e insegnò ai figli la modestia e l’ubbidienza. Il risultato fu che per alcuni di loro l’unico modo per vivere era chinare la testa e dire di sì (altri si formarono un carattere più indipendente, nascondendo la timidezza e il senso di inadeguatezza sotto modi bruschi, come mio padre). Nei racconti di Carlo si legge che quando doveva prendere decisioni importanti Berto radunava la famiglia e a volte chiedeva il loro parere, ma abituati ad obbedire nessuno osava controbattere.

Le ragazze si sono sposate giovani e innamorate e sono andate a chinare la testa nella famiglia del marito. Tutte si sono trasferite, come si faceva, nella cascina dei suoceri, solo Giovanna, dopo quattro anni è andata con il marito e i figli a vivere con conto proprio. Le altre hanno servito e riverito i suoceri, soprattutto le suocere, che ‘parlandole da vive’ non erano tutte belle persone.
Maria era andata a vivere con gli zii paterni Battista e Pinota, senza figli, dall’età di 11 anni. Si era innamorata di un bel ragazzo della cascina Canova e una volta sposa si era accollata, non solo i suoceri, ma la suocera della suocera e il barba e la magna ‘ncà, zio e zia non sposati del marito.
Piera ha lavorato nella macelleria del marito. Teresa ha fatto la sarta (cuce ancora), Maria ha aiutato il marito in campagna; intanto hanno mandato avanti la casa mentre le suocere avevano passato a loro i compiti più pesanti. Hanno poi curato i suoceri da anziani ed hanno chiuso loro gli occhi quando sono morti.
Hanno avuto momenti di felicità nel poco tempo che potevano passare da sole col marito? Forse sì. Ricordo la zia Giovanna preparare la sporta per lo zio che andava a caccia e dargli un bacio sulla bocca: non avevo mai visto nessuno in famiglia baciarsi così. Ricordo la zia Maria appoggiare la testa sulle ginocchia dello zio per un momento di riposo. Entrambe fanno ancora una ‘bella coppia’ con quei loro mariti.
Anche Teresa, dopo un matrimonio affrettato a 19 anni, è con il marito da più di 65 anni, due figli, tre nipoti e un numero di pronipoti. Piera è rimasta vedova improvvisamente a 52 anni ma non è stata questa la sua tragedia maggiore

Che dire degli uomini di famiglia? Mio padre ha fatto il matto per sposare mia madre, ma di accordo ne ho visto poco. Mia madre diceva che le loro infanzie e giovinezze erano state troppo difficili perché non si portassero dietro problemi irrisolti.
Un bambino cresciuto in campagna ha momenti di libertà e di gioco, ma di quei tempi si doveva iniziare a lavorare presto e si avevano subito responsabilità. Come abbiamo letto nel racconto di Carlo, dopo i cinque anni di elementare tutti hanno iniziato a lavorare1.
Inoltre, quale infanzia e adolescenza ha un ragazzo o una ragazza in tempo di guerra? 2
Dopo la morte di Cecilia la nonna “piangeva sempre”, non si può essere tanto allegri quando la mamma piange… I nonni hanno seppellito due figli giovani, la nonna anche un terzo, mio padre.
La vita è stata dura e le illusioni che fosse migliore con una famiglia propria sono state subito riconosciute come tali. C’è da dire che nessuno si è mai separato, mentre nella generazione successiva, la mia, di divorzi ce ne sono stati parecchi.

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Scrivendo la storia di famiglia sento la brutta nuvola della consapevolezza ingrigire anche i momenti allegri: so cosa sarebbe successo dopo.
Nelle poche foto che ritraggono Cecilia, lei è sorridente e bellissima, ma quando il marito di Teresa nel 1954 ha comprato la macchina fotografica Koroll con la quale sono state scattate tutte le foto successive, lei non c’era già più da due anni.
Zio Gigi negli ultimi scatti era raggiante: una buona posizione lavorativa, finalmente, e quella figlia tanto desiderata. Non è mai arrivato a vederla crescere.
Di sicuro siamo stati tutti felici nelle domeniche quando da bambini andavamo a Prassotere, ci davano la larga e noi giocavamo pazzamente: un branco di bambini liberi nella cascina e nei campi. Guardate come sorridiamo, insieme a zio Renzo ancora ragazzo e a zia Piera con in braccio Rossana. Già, Rossana, che non è mai arrivata a compiere 34 anni.
Ma non c’è stata una volta nella quale non siamo stati bene insieme, non ci siamo abbracciati, e ovviamente non abbiamo mangiato e bevuto bene.
Negli ultimi anni i funerali si sono susseguiti: mio padre nel 2003, Carlo nel 2015, sua moglie, zio Beppe e mia madre nel 2017. Di tempo ne rimane poco, almeno ultimamente ne abbiamo la sensazione chiara. Allora ci incontriamo più spesso; purtroppo non tanto sovente come in quelle domeniche di cinquant’anni fa, e non in cascina, che non appartiene più alla famiglia. Come un tempo ci sono sempre una manciata di cugini, ormai di mezza età ma che tornano bambini per l’occasione, e spesso alcuni procugini che non capiscono molto della parentela ma apprezzano il buon cibo e, spero, acquisiscono ricordi e radici.
Che li possano accompagnare nel loro viaggio.

Note:

1 Anche mia madre, che era figlia unica e non aveva terra da coltivare, ha iniziato a badare al negozietto di famiglia molto presto perché sua madre aveva una salute delicata.

2  Mia madre a 14 anni era già scampata ad una mitragliata sparatale sotto il letto, ad una granata scoppiata davanti a casa e ad un rastrellamento. Mio padre aveva visto ammazzare qualcuno durante la Resistenza.

(Per altri articoli sulla famiglia Pio, cliccare sul tag Foto di famiglia.)

Anno 2000. Festa del 95° compleanno di Vigina (al centro); vicino a lei suo fratello Nino.

Anno 2000. Festa del 95° compleanno di Vigina (al centro); vicino a lei suo fratello Nino.