Dare il nome alle cose

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Dall’introduzione “Cinque domande

Il tuo nuovo libro ha questo titolo: Dare il nome alle cose (titolo anche della seconda sezione). Sappiamo che ogni cosa inizia a esistere solo nel momento in cui viene nominata, poiché nominarla equivale a riconoscere la sua identità, a vederla in uno spazio ben definito. Dio ha lasciato all’uomo la genesi dei nomi delle cose, degli animali, delle piante. Tu cosa intendi di preciso con il titolo del tuo libro? A quali cose vuoi dare un nome? È un’intenzione o un’affermazione?

Il mio è un tentativo timido e prudente, che chiede di essere pronunciato sottovoce: Dare il nome alle cose è ciò che vorrei saper fare a questo punto della mia vita. Nonostante io mi stia avvicinando a un periodo che può definirsi quello della maturità, intesa come momento in cui le idee dovrebbero essere più chiare e definite, e la consapevolezza sui sentimenti e le situazioni più certa e determinata, anche attraverso la poesia – che ritengo una via fondamentale di ricerca e conoscenza – mi rendo conto che non è semplice dare il nome alle cose. È questo un processo difficile, in cui occorre mettere a fuoco e definire le situazioni, trovare e dare il senso, per comunicarlo all’altro, nel modo più aderente possibile; in particolare quando si tratta di sentimenti e fasi cruciali dell’esistenza. Dare il nome alle cose è un atto di grande responsabilità nei confronti della parola e dell’altro. Se ciascuno riflettesse a fondo prima di nominare e prima di dire ciò che abbiamo intorno e che sentiamo, forse il mondo potrebbe funzionare meglio. Credo molto nel compito della parola e della lingua: tutto passa attraverso il pensiero, la riflessione che dovrebbe essere attenta, accurata, e la scelta delle parole è prima di tutto un gesto etico e poi politico, che condiziona le nostre azioni.

Dalla presentazione

[…[ Attraverso i gesti d’amore per e dei propri figli, la natura della vita e della morte, i rapporti privilegiati con certi volti che lasciano tracce, il percorso del libro si snoda in una sorta di viaggio fatto di luci e zone d’ombra dove trovare il senso dipende da una mano che accarezza, da una domanda di bambino, da un albero che sboccia e ripara. Una natura più amica che matrigna, un desiderio di proteggere ed essere protetta, un matrimonio con l’umanità tutta e con il proprio genere, con cui condividere esperienze e affetti, fanno di Rossella Renzi una nuova – eppure antica – sacerdotessa di quei riti quotidiani che aiutano a lasciare segni, parole, versi, che promuovono la fragilità, non più intesa come un solo vuoto interiore, ma come una virtù dell’animo che aiuta a comprendere.

Da Dare il nome alle cose (Edizioni Minerva, 2018)

Dalla sezione Fragili frammenti

Ti tengo stretto
mentre mi cresci sulla pancia
e le mani restano macchiate
con il succo denso di ciliegia.
Ci fanno ridere,
tutte queste ferite per finta.

*

Tutto avviene in silenzio o quasi
un suono leggero di gocce
su foglie
un tocco leggero di mano
su spalla.

Siamo fatti di così poco
e la pioggia ci ascolta
ci confonde nel suo canto.

*

Dalla sezione Dare il nome alle cose

Custodisci questa luce incomprensibile
quando tutto a un tratto sembra magico
la pigna che dorme sulla spiaggia
il bambino che strilla
l’azzurro che canta
con pochissime onde.
Ma canta.

*
Al risveglio sono un essere semplice,
pesce muto nell’acqua profonda
il cielo lo tengo stretto nei sogni
lo comprimo nella testa pesante.

Pinne e coda per fare il giro del mondo
e poi si ritorna alla tana
se esiste.

*

Dalla sezione Bianco e nero

In questa luce che viene meno
lei dove si trova, non ci è dato sapere.
Piega gli abiti, cuce, suona il piano
la sua voce giunge da lontano.
In questa luce assente, tutte le luci
e lei, dove si trova? E noi?
Forse qualcosa sgorga
mentre tutto è immobile.

(11 settembre 2014)

*

Quando anche io
sarò polvere di stelle
nel velo di nerezza trasparente
vi riabbraccerò tutti
e ci vorranno moltissime vite
per raccontarci i nostri tempi spaiati.

*

Dalla sezione Un pozzo vuoto

Questo canto è per te
che sei viva dolorosa e notturna
una ferita sempre aperta
l’occhio spalancato sul mondo.

Sei fuoco che arde
sotto la cenere
la gelida notte a dicembre
quando la bestia solitaria e affamata
ulula nelle stanze di alabastro.

Questo sei non dimenticarlo.
Troveremo in te le tracce dell’inverno.

*
Ora, devi imparare la distanza
misurarla ad ogni minuto
col fiato sospeso, lo sguardo
sullo stesso vestito sbiadito.

Imparare la distanza
come una disciplina: una tecnica
di separazione tra spazio e tempo
tra nuvole mute sul grano arso.

Sulla parete bianca della stanza
c’è una macchia
è il sole nero della bellezza
il lago che ti cresce dentro.

Nessuno può arginare il suo moto
né ascoltare quel suono
che arriva da lontano
e tu lo accogli come un salmo nuovo.

(luglio 2016)

Rossella Renzi vive e insegna a Conselice (Ra). Ha pubblicato in poesia I giorni dell’acqua (L’arcolaio, 2009), Il seme del giorno (L’arcolaio, 2015) con la prefazione di Gian Mario Villalta. È presente su riviste e antologie. Dal 2003 è redattrice di “Argo – Rivista d’esplorazione” e cura il blog “Poesia del nostro tempo”. È tra i curatori del volume L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie (Gwynplaine, 2014), di Argo. Annuario di poesia 2015 e 2016 (Gwynplaine) e di Argo. Confini (Istos 2018). Ha curato il blog “Donne in poesia” per Edizioni Kolibris e ha collaborato alla realizzazione del blog www.ipoetisonovivi.com. Per Radio Sonora – community web – ha ideato e conduce il programma Conversazioni in poesia; ha curato la rassegna teatrale Le voci di sotto (Quintoveda Teatro, Imola). In dialogo col musicista Mirco Mungari lavora a Mousikè techne, un progetto sulla contaminazione tra parola e suono. Organizza eventi legati alla poesia e tiene laboratori di lettura e scrittura creativa.

A cura di Silvia Rosa