3. Schiller

Friedrich von Schiller (da Wikipedia)

Friedrich von Schiller (da Wikimedia Commons)

DINA TORTOROLI
Schiller pubblicò per la prima volta il poemetto Resignation. / Eine Phantasie nel primo quaderno della rivista Reinische Thalia, da lui diretta (anno 1786, pagine 64-69). Eccone la trascrizione:

Resignation. / Eine Phantasie.

Auch ich war in Arkadien geboren,
auch mir hat die Natur
an meiner Wiege Freude zugeschworen,
auch ich war in Arkadien geboren,
doch Tränen gab der kurze Lenz mir nur.

Des Lebens Mai blüht einmal und nicht wieder,
Mir hat er abgeblüht.
Der stille Gott – o weinet meine Brüder -
der stille Gott taucht meine Fakel nieder,
und die Erscheinung flieht.

Da steh ich schon auf deiner Schauerbrüke,
Ehrwürdge Geistermutter – Ewigkeit.
Emfange meinen Vollmachtbrief zum Glüke,
ich bring ihn unerbrochen dir zurücke,
mein Lauf ist aus. Ich weiss von keiner Seligkeit.

Vor deinem Tron erheb’ ich meine Klage,
verhülte Richterin.
Auf jenem Stern gieng eine frohe Sage,
Du tronest hier mit des Gerichtes Waage
und nennest dich Vergelterin.

Hier – spricht man – warten Schreken auf den Bösen,
und Freuden auf den Redlichen.
Des Herzens Krümmen werdest du entblössen,
Der Vorsicht Räzel werdest du mir lösen,
und Rechnung halten mit dem Leidenden.

Hier öfne sich die Heimat dem Verbannten,
hier endige des Dulders Dornenbahn.
Ein Götterkind, das sie mir Wahrheit nannten,
Die meisten flohen, wenige nur kannten,
hielt meines Lebens raschen Zügel an.

“Ich zahle dir in einem andern Leben,
gib deine Jugend mir,
Nichts kann ich dir als diese Weisung geben.”
Ich nahm Weisung auf das andre Leben,
und meiner Jugend Freuden gab ich ihr.

“Gib mir das Weib, so theuer deinem Herzen,
gib deine Laura mir.
Jenseits der Gräber wuchern deine Schmerzen”. -
Ich riss sie blutend aus dem wunden Herzen,
und weinte laut, und gab sie ihr.

“Du siehst die Zeit nach jenen Ufern fliegen,
die blühende Natur
bleibt hinter ihr – ein welker Leichnam – liegen.
Wenn Erd und Himmel trümmernd aus einander fliegen,
daran erkenne den erfüllten Schwur.”

“Die Schuldverschreibung lautet an die Todten,”
hohnlächelte die Welt,
“ Die Lügnerin, gedungen von Despoten
hat für die Wahreit Schatten dir geboten,
du bist nich mehr, wenn dieser Schein versällt.”

Frech wizelte das Schlangenheer der Spötter:
“ Vor einem Wahn, den nur Verjährung weiht,
erzitterst du? Was follen deine Götter,
des kranken Weltplans schlau erdachte Retter,
die Menschentwiz des Menschen Nothdurst leiht?”

“ Ein Gaukelspiel, ohnmächtigen Gewürmen
vom Mächtigen gegönnt,
Schrekfeuer angestekt auf hohen Thürmen,
Die Phantasie des Träumers zu bestürmen,
wo des Gesetzes Fakel dunkel brennt.”

“Was heisst die Zukunft, die uns Gräber deken?
Die Ewigkeit, mit der du eitel prangst?
Ehrwürdig nur, weil schlaue Hüllen sie versteken,
der Riesenschatten unsrer eignen Schreken
im holen Spiegel der Gewissensangst;”

“ Ein Lügenbild lebendiger Gestalten,
die Mumie der Zeit
vom Balsamgeist der Hofnung in den kalten
Behausungen des Grabes hingehalten,
das nennt dein Fieberwahn – Unsterblichkeit?”

“ Für Hoffnungen – Verwesung straft sie Lügen -
gabst du gewisse Güter hin?
Sechstausend Jahre hat der Tod geschwiegen,
Kam je ein Leichnam aus der Gruft gestiegen
der Meldung that von der Vergelterin?”

Ich sah die Zeit nach deinen Ufern fliegen,
die blüende Natur
blieb hinter ihr, ein welker Leichnam, liegen,
Kein Todter kam aus seiner Gruft gestiegen,
und fest vertraut’ ich auf den Götterschwur.

All meine Freuden hab ich dir geschlachtet,
jezt werf ich mich vor deinen Richtertron.
Der Menge Spott hab ich beherzt verachtet,
nur deine Güter hab ich gross geachtet,
Vergelterin, ich fodre meinen Lohn.

“Mit gleicher Liebe lieb ich meine Kinder,
rief unsichtbar ein Genius.
Zwei Blumen, rief er – hört es Menschenkinder -
Zwei Blumen blühen für den weisen Finder,
sie heissen Hofnung und Genuss.

“Wer dieser Blumen Eine brach, begehre
die andre Schwester nicht.
Geniesse wer nicht glauben kann. Die Lehre
ist ewig wie die Welt. Wer glauben kann, entbehre.
Die Weltgeschichte ist das Weltgericht.

Du hast gehoft, dein Lohn ist abgetragen,
dein Glaube war dein zugewognes Glük.
Du konntest deine Weisen fragen,
was man von der Minute ausgeschlagen,
gibt keine Ewigkeit zurück.

Per la traduzione in «versi italiani», pare opportuno fare ricorso a un autore dell’Ottocento, Antonio Bellati, il quale dichiara che, nel tradurre, ha seguito «la sentenza della Staël, che sta per epigrafe» alla sua raccolta di poesie alemanne: «Non si traduce un poeta come col compasso si misurano e si riportano le dimensioni d’un edificio, ma a quel modo che una bella musica si ripete sopra un diverso istromento: né importa che tu ci dia nel ritratto gli stessi lineamenti ad uno ad uno, purchè vi sia nel tutto un’ugual bellezza».

La Rassegnazione

Nacqui in Arcadia anch’io,
E a me pur sorridendo la Natura
Promise al nascer mio
Ogni gioja che in terra si matura,
Nacqui in Arcadia; ma sparì l’incanto
Di primavera, e non restò che il pianto.

Fiorir sola una volta
Può il maggio della vita: e il mio passò.
Il muto Iddio travolta
Ha la mia face, e al suolo la gittò.
O piangete, o fratelli, che sparita
La cara visione è della vita.

Eccomi alla tremenda
Tua soglia, o Eternità; lascia ch’io vegna
Che a te la scheda io renda,
Che il mio retaggio a me di bene assegna,
Ed intatta l’avrai, che l’alma mia
Mortal felicità non sa che sia.

Le mie querele io porto,
Nembi-velata giudice, al tuo trono.
Un detto di conforto
Risuonò in Ciel, che i tuoi giudicii sono
Librati in giusta lance, e che tu ai guai
Sofferti in terra ampio compenso dài;

Ch’ivi l’empio il terrore,
La gioja il giusto attende; e tu i segreti
Rivelerai del core,
Sciorrai gl’imperscrutabili decreti
Della divina Provvidenza; e intera
Terrai ragione con chi soffre, e spera;

Ch’ivi una patria alfine
Avrà l’esule aperta, ivi compiuta
La carriera di spine.
Una figlia del Cielo, conosciuta
Sol dai pochi, e dai molti ognor fuggita,
Veritade ebbe il fren della mia vita.

“A compensare avvezza
Io sono in altra vita. Or dammi, o figlio,
Tu la tua giovanezza;
Questo darti poss’io solo consiglio”.
Docil per l’altra vita io l’accettai,
E la mia giovanezza io le donai.

“La tua donna mi dona,
Quella Laura, che tanto hai fitta in cuore.
Ad usura si pona
Per te oltre le tombe il tuo dolore”.
Dal cuor, che sanguinommi, io la strappai,
Altamente ne piansi, e la donai.

“Questo è credito eterno
Ma per gli estinti. Il mondo menzognero
Diede un riso di scherno;
Ché servo dei potenti egli pel vero
L’ombra t’offerse; degl’inganni rei
Cada il fulgido vel, tu più non sei.

“Baldo qual di furenti
Angui uno sciame, tal l’iniquo stuolo
De’ beffardi insolenti
All’arguzie lasciò libero il volo:” -
“ D’innanzi a vana illusion, cui rende
“Sacra solo l’età, tema ti prende?

“A che i tuoi Dei sognati,
“ Che da un astuto immaginar profondo
“Salvatori crëati
“Furono del sistema egro del mondo?
“Argomento all’arguzie de’ mortali
“Sono l’angustie lor, sono i lor mali.

“Che è mai quest’avvenire,
“Cui celan l’urne, e questa eternitade,
“Che ti fa superbire,
“Sol tremenda per l’ombra, che l’invade
“Son fantasmi crëati dal terrore,
“E in falso speglio scrupoli del cuore.

“Bugiarda di viventi
“Forme un’immagin, una mummia vana
“Del tempo, che in l’algenti
“Case de’ morti la speranza umana
“Col suo balsamo serba, eccola quella,
“Che eternitade il tuo delirio appella.

“Gioja certa hai ceduta
“Per speranze smentite ognor da morte.
“Tanto secolo muta
“Ella rimase, or rivarcò le porte
“della tomba un estinto, e t’ha bandita
“Compensatrice alcuna in altra vita?”

Volare ai lidi tuoi
Io vidi il tempo, e languida, appassita
Dietro de’ vanni suoi
La fiorente Natura è disparita,
Né dalla tomba alcun’estinto è sorto;
Pur ferma fede al divin giuro io porto.

Tutta a te consacrai
Ogni mia gioja. Innanzi or al tuo soglio
Mi prostro. Io disprezzai
Ardito de’ beffardi il folle orgoglio;
Sol nella tua bontade intera fede
Ebbi, e or chieggo da te la mia mercede.

“Amo d’amore uguale, -
“Sclamò un Genio invisibile , – i miei figli.
“M’ascolti ogni mortale:
“Il saggio, che trovarli si consigli,
“Due vaghi fior vedrà fiorire insieme,
“Il Godimento è l’un, l’altro la Speme.

“Chi colse la speranza
“L’altro non colga. Il gaudio s’abbia e il riso
“Sol chi non ha fidanza,
“E s’astenga chi crede. Eterno avviso
“Al par del mondo; che ne’ fasti suoi
“Legger la sua sentenza anco tu puoi.

“Sperasti, – la mercede
“E’ questa, e il bene a te promesso, o figlio,
“Fu l’istessa tua fede.
“Chieder potevi a’ savii tuoi consiglio,
“Il ben, ch’offre il momento e non si prende,
“Nessuna eternitade unqua lo rende”.

Il Bellati aggiunge, in una nota, le proprie considerazioni:
Questa terribile “Rassegnazione”, che dalla Enciclopedia tedesca viene, certamente per la profondità e per la forza dei pensieri, annoverata fra le migliori poesie di Schiller, potrebbe indurre a dubitare di quella venerazione per la Divinità di cui si è già fatto elogio al Poeta. Null’altro in fondo che un accesso di disperazione, forse nei momenti in cui è svanita per lui la speranza di ottenere quella Laura tanto da lui amata, potè strappargli la sentenza colla quale conchiude questo suo componimento già altrimenti tanto severo. Rivolga però il lettore la mente alle Parole della Fede dettate dallo stesso Schiller, quando l’anima sua non era perturbata dalla violenza della passione, e si riconcilii con l’Autore (Operette di lettura piacevole ed istruttiva, Saggio di Poesie Alemanne recate in versi italiani da Antonio Bellati, Milano, Fontana, MDCCCXXXII, pp. 65-70 e 134).

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