Variazioni con stile – parte 2

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LORENZO BARBERIS

Riscrittura di “Esercizi di stile”, di Queneau.

Horror, in stile Edgar Allan Poe.

Mi sentivo minacciato, da un po’ di tempo. Più volte l’autobus della linea S aveva cercato di investirmi.
Incrociava il tragitto che facevo per recarmi al lavoro, alla Cour de Rome. Stavo diventando pazzo? Iniziai a prendere l’autobus, per fare delle verifiche. Gli autisti erano ogni volta diversi, per tutte le ore in cui credevo avessero tentato di eliminarmi. Iniziai a sospettare di chiunque, stavo davvero perdendo la ragione. Una volta mi parve che un uomo avesse cercato di spingermi giù dal bus, per gettarmi sotto le ruote del veicolo… iniziai a inveire, ma tutti mi confermarono che si trattava solo di un incidente casuale: le porte si erano aperte da sole! Certo, come no… era un complotto. Tutti i passeggeri erano concordi contro di me, capite? Tutti! E anche tutti gli autisti! Quanto ero sciocco… capii la verità troppo tardi, in Cour de Rome, mentre sentendomi al sicuro parlavo di moda con un amico. Fu allora che vidi l’autobus della Linea S venirmi addosso, fuori dal suo percorso. E finalmente capii: era l’autobus, era la dannata macchina infernale, era quell’ammasso di ferraglia maledetta che VOLEVA IL MIO SANGUE!

GIALLO CLASSICO
“Caro Watson, il caso è di una facilità così sconvolgente che non merita certo il nostro impegno. Il bottone, capite? La soluzione è tutta lì, di una facilità disarmante. Il protagonista, che chiameremo Mr. Goose (per il suo collo allungato, comprendete? è di una ricca famiglia inglese, e preferisce rimanere anonimo) credeva di essere perseguitato da misteriosi oppositori, da lui collegati alla linea S. Da tempo si sentiva sempre peggio, preda di malori, mancamenti e visioni, che egli riconduceva alla linea degli autobus che prendeva per il tragitto lavorativo. Una volta aveva rischiato di finire travolto sotto l’autobus, inciampando; un’altra volta, gli era parso di sentirsi spingere giù dalla vettura stessa. Interrogandolo, però, mi accorsi che nei suoi racconti si faceva sempre riferimento a un mancamento, una momentanea perdita dei sensi. Mi incuriosii. Vi era qualcosa di singolare in tutto ciò, e pensai che se fossi stato un assassino non avrei certo fatto legare il momento del decesso della vittima a me… ma a un altro luogo e contesto. E fu allora che Mr. Goose mi parlò del bottone. Il bottone, capite? Non aveva alcun senso aggiungere un altro bottone a quel soprabito. Chiunque si intendesse di moda avrebbe dovuto capirlo, figurarsi il suo amico sarto. Amico a cui
Goose, avrei poi scoperto, aveva intestato ogni cosa in caso di sua scomparsa. Non chiedete di più, Watson, ci sono dettagli che è meglio lasciare oscuri… ad ogni modo, il nostro “amico” costantemente trovava il modo di “ritoccare” i vestiti dell’amico, per renderli “più alla moda”… e capitava talvolta che Goose venisse punto con un ago… un ago avvelenato, capite? Un raro tipo di veleno sudamericano… in grado di causare svenimenti e perdite dei sensi… molte ore dopo la sua somministrazione. Il delitto perfetto. Per fortuna, eravamo qui noi a sventarlo. Non faccia il modesto, Watson. Lei non lo crede, ma anche il suo contributo è stato molto utile.”

MISTERY
Il delitto ebbe luogo sulla linea S. Ora di punta, l’ideale per non essere scoperti. La vittima era un tipo di ventisei anni, il collo allungato, come se qualcuno avesse cercato di strangolarlo. Un sacco di persone sull’autobus, ma nessuno ha visto niente. A quanto pare, un tizio avrebbe cercato di spingerlo giù dal tram. Ma perché allora invece risulta strangolato? Ci sono ancora molti punti poco chiari. Altri dicono di averlo visto nelle due ore successive, davanti alla Gare Saint-Lazare. Forse con un amico. Credo sia fuggito, credo l’omicidio sia solo un depistaggio per far perdere le sue tracce. Forse ha preso un treno, e si è allontanato da Parigi. Ma perché? Cosa lo minacciava? Un caso che probabilmente resterà insoluto per sempre.

FANTASCIENZA CLASSICA

Nel XX secolo si lamentavano del traffico urbano. Dilettanti. Non sapevano cosa sarebbe divenuto il traffico spaziale nel 2200 d.C.. Certo, all’apparenza il teletrasporto è vantaggioso, come no? Ci si tuffa in un buco nero e si riemerge dall’altro capo della galassia, in una manciata di secondi. Ma io non mi ci sono mai abituato. Mi chiedo cosa succederebbe se, per caso, le sottili paratie della navicella spaziale dovessero incrinarsi mentre attraversiamo il vuoto assoluto della settima dimensione. Probabilmente tutto il continuum spazio-temporale sarebbe stravolto irreparabilmente. Certo, le paratie sono in titanio potenziato, quasi impossibile da scalfire… ma se due navette collidessero tra loro? L’altro giorno ho quasi rischiato una collisione. Doveva succedere, prima o poi. Ero sul mio modulo di trasporto, quando un altro tubo spaziale è giunto… nella direzione opposta, contromano! Quasi abbiamo sfiorato una collisione… un errore di programmazione del computer centrale. Ho quasi paura che ci sia stata una sia pur minima fuoriuscita di tachioni dal corridoio iperspaziale. Il rischio sarebbe terribile. Ma in fondo, non sembra successo nulla di male, no? Finalmente a casa. Il modulo di teletrasporto emerge dall’iperspace con una luce abbagliante, nell’area apposita della nuova Gare Saint-Lazare, vicino a Cour de Rome. Proprio a fianco del Monumento ad Adolf Hitler, all’incrocio con la Goebbels Avenue. Mentre mi reco verso casa tra un tripudio di bandiere uncinate, prego sempre il Furher Immortale che vegli su di noi, per evitare che un qualche incidente cambi il corso della storia, causando conseguenze irreparabili al di là di ogni più tetra supposizione.

FANTASCIENZA CYBERPUNK
Fu tutto rapido e indolore, sulla fottuta S-Junction, nell’ora di massima punta di traffico. La megatropoli si contorceva come un ciclopico polipo di acciaio, le linee di trasporto veloce le vene pulsanti dei suoi tentacoli elettronici. Il tizio aveva 26 anni, la classica aria emaciata e punk dei Teknofighters. La corda di connessione neurale era attaccata al cervello, in piena connessione virtuale. L’altro arrivò dopo pochi secondi, con aria studiatamente casuale. Riconobbi i colori dei tatuaggi, era un sicario della Jakuza. Mi spiacque per quel poveretto, ma era morto nell’istante in cui il sicario entrò nello scompartimento. Con un rapido gesto estrasse il laser che portava incorporato nel braccio e fece fuoco all’insegna dell’uomo, uccidendolo all’istante. Poi, con una katana di pregevole fattura, decapitò la testa della vittima, connettendola poi al proprio sistema neurale. “Cazzo, Jack, ti sei fatto aggiungere un altro bottone, eh?” Disse, riferendosi ai datablock di memoria che il ragazzo si era installato. ”Merda, ora i suoi dati saranno in chissà che cazzo di posto!” commentò un gregario, giunto sul posto una volta che lo scontro era vinto. “Cina, Russia, Giappone… quien sabe?” commentò filosofico il killer. In verità non è così. I due sicari avrebbero fatto bene a cercare più vicino. Perché un attimo prima del loro intervento, avevo sottratto i dati della mente di quel giovane hacker teknofighter. Sì, perché io sono un borseggiatore di menti, un saccheggiatore di cervelli. Sottraggo dati preziosi ai cittadini dormienti in tram, immersi nel sonno digitale della loro realtà virtuale preferita. Finalmente ho quanto cercavo. E questi dati iperprotetti diventeranno il mio foglio di via verso la città alta. Se riuscirò a restare vivo e sfuggire alla Jakuza naturalmente. Ma questo è un altro problema, e io preferisco vivere un giorno per volta.

(Immagine di Lorenzo Barberis)