La Luna per una promessa

Gemma Giusta, Il dito e la luna

Gemma Giusta, Il dito e la luna

AMY SPOTORNO

Era la notte della Luna (20-21 luglio 1969) e non dovevo piangere.
Ti avevo appena lasciato sapendo che forse non ti avrei MAI PIÙ incontrato, e ancora il ricordo dei tuoi occhi nocciola, del tuo ultimo sorriso, della tue inesorabili parole: «Dovremo restare soltanto amici» riecheggiava nel mio cuore come un aspro flauto stridente.
E non dovevo piangere.

Era la notte della Luna. La notte in cui l’uomo cessava di essere quello che era sempre stato per continuare forse a esserlo, ma in un modo diverso.
Era la notte in cui ogni uomo doveva sentirsi infinitamente più piccolo e infinitamente più grande, cioè più “uomo”, grandezza infinitesimale nell’universo.

In quella notte ho alzato anch’io gli occhi verso il cielo, un’oscura cupola apatica, se non ostile: solo la Luna, con il piccolo “ragno” dell’uomo, continuava a risplendere limpida, ormai non più inviolata nel suo alone di misteriosa freddezza. Allora l’amore e il dolore dentro di me si sono rimpiccioliti dilatandosi nell’universo e tutti, intorno – la notte senza stelle, la nuova Luna, la capsula Apollo, il LEM, gli astronauti della Terra – sorridevano nel dolore. Allora, anch’io sono diventata più “uomo”, più completa, più capace di sentire il respiro dell’attesa del mondo.

Nella mia anima di luna, il canto amaro del flauto che strideva oscure note di dolore.