Le professoresse meccaniche

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ALFONSO LENTINI

LA SCUOLA NELLA VALLE

Qui vicino c’è un posto detto Valle Taciturna. Ci si arriva facilmente, anche a piedi dopo una breve passeggiata, ma è un posto di frontiera.
La chiamano Valle Taciturna perché appena arrivi e ti inoltri hai la sensazione di attraversare una parete invisibile e sbuchi in un luogo dove le onde sonore non esistono. Non senti più neanche lo stormire del fogliame, neanche i tuoi passi sul prato. Se provi ad aprire bocca, la voce non ti esce o, se ti esce, non raggiunge le orecchie di chi la potrebbe ascoltare, neanche le tue. La valle è popolata di piccoli animali, passerotti, scoiattoli, qualche volpe, insetti. Ma anche questi esseri, che vi pullulano vivacissimi, non producono alcun rumore. Qualcuno ipotizza che nascano addirittura senza corde vocali.
Nel cuore della Valle Taciturna c’è una piccola scuola. Direte: possibile? E come faranno a comunicare? Si parleranno a gesti, useranno il linguaggio dei sordomuti. Niente di tutto questo. Allora comunicheranno con frasi scritte su una qualche lavagna, direte. Nemmeno.
Eppure le famiglie sono felici di mandare i loro pargoletti in quella scuola. Ogni giorno, di buonora, si vedono gruppi di bimbi tutti allegri imboccare trotterellando il sentiero fiorito che porta alla valle. I colori dei grembiulini (blu per i maschietti, rosa per le femminucce) risplendono al sole mattutino che sa di frescura, muschio e pane appena sfornato. Quando i bimbetti penetrano nella valle, sono assorbiti in un’invisibile bolla dove il vociare evapora d’incanto, il rumore dei passettini si dissolve, nessun suono è più percepibile. Non si può far altro che scambiare un sorriso, quelli che si sono presi per mano se le stringono un poco di più. Se ai bordi della bolla un’ape sta ronzando di fiore in fiore, appena penetra oltre l’incorporeo confine, il suo ronzio si spegne e riprende solo quando il tortuoso tragitto del volo la riporta fuori da quella specie di bolla.
All’ingresso della scuola, li attende il professore. È un omone panciuto, avvolto in un camice che una volta forse era nero ma che ormai, liso com’è, ha un colore indefinito, come di polvere antica. Accoglie i bambini con un gran sorriso mentre il suo barbone va su e giù assecondando gli ammiccamenti del mento.
Ma cosa insegna il professore in quella scuola senza suoni? Insegna una materia difficile. Solo i filosofi o i grandi saggi, forse solo i veri santi, sono in grado di capirla e apprezzarla davvero. Eppure quel professore la insegna ai bambini ed essi la imparano velocemente e con entusiasmo.
L’ambiente del resto è il più propizio. Per imparare a nuotare ci vuole acqua, per imparare l’agricoltura devi disporre di un campo. E qui, nella valle Taciturna, la materia prima non manca di certo: silenzio in abbondanza.
L’omone col camice di polvere antica, infatti, è un Insegnante di Silenzio ed è così bravo che grazie a lui l’assenza dei rumori si trasforma in una sostanza nutriente, una crema, un brodo da sorbire caldo a grandi cucchiaiate. Nella valle immersi nel silenzio lo sono tutti; ma appena inizia la sua lezione, è come se quel professore il silenzio lo prendesse in mano, lo manipolasse con le dita, lo spalmasse sulla pelle delle cose. Lo rendesse visibile.
L’omone non fa altro che tacere, in realtà. E tutti tacciono in coro insieme a lui. Ma, grazie alla sua lezione, bambini, bambine, sedie, formiche, foglie, orologi, biscotti, nuvole cominciano a penetrare dentro il vuoto sonoro, a comprenderne l’essenza profonda. A inondare lo sguardo e i polmoni di silenzio: ecco quel che si insegna in quella scuola.

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Alfonso Lentini è nato in Sicilia, a Favara (AG) nel 1951. Laureato in filosofia, si è formato nel clima delle neoavanguardie del secondo Novecento. Dalla fine degli anni Settanta vive a Belluno.

Fra i suoi libri: L’arrivo dello spirito (con Carola Susani, Perap 1991), La chiave dell’incanto, (postfazione di Alesssandro Fo, Pungitopo 1997), Mio minimo oceano di croci (Anterem, 2000, opera finalista alla IX edizione del premio Montano), Piccolo inventario degli specchi (prefazione di Antonio Castronuovo, Stampa Alternativa 2003), Un bellunese di Patagonia (Stampa Alternativa, 2004), Cento madri (vincitore del premio “Città di Forlì”, postfazione di Paolo Ruffilli, Foschi, 2009), Luminosa signora (postfazione di Antonio Pane, Pagliai 2011), Illegali vene (prefazione di Eugenio Lucrezi, Eureka Edizioni, 2015), Tre lune in attesa (vincitore del premio Formebrevi, Formebrevi Edizioni, 2018).

Si interessa anche di Art brut ed ha svolto esperienze artistiche e di scrittura collaborando con Centri di Salute Mentale.
Nelle sue numerose mostre e installazioni tenute in Italia e all’estero propone “poesie oggettuali”, poesie visive, libri oggetto e in generale opere basate sulla presenza della parola.
Sue opere fanno parte di Archivi e Collezioni fra cui Imago Mundi (Luciano Benetton Collection – Fondazione Sarenco), Fondazione Bonotto (Molvena), Archimuseo Accattino (Ivrea,) Museo Candiani (Venezia-Mestre), Museum di Ezio Pagano (Bagheria), Collezione Carlo Palli (Prato), Archivio Libri d’Artista (San Cataldo, CL), Collezione Ibridi Fogli di Salerno, Galleria Il Gabbiano (La Spezia), Galleria Gennai (Pisa) Archivio dell’Associazione Villa Buzzati (Belluno).

Link di riferimento:
https://www.graphofeel.it/flip/professoresse/prof.html

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