Tradire Verlaine

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GIULIANO LADOLFI

Introduzione a Tradire Verlaine, antologia di testi poetici di Paul Verlaine tradotti da Giuliano Ladolfi (con originale a fronte)

Tradurre e tradire giungono a noi dallo stesso etimo latino tradere, che significa “consegnare”, ossia accogliere un oggetto e affidarlo ad un’altra persona. Tradurre, pertanto, esige un passaggio da una lingua ad un’altra che nell’intenzione comune dovrebbe aiutare a conservare i caratteri originari. Anche “tradire” implica un passaggio, ma in questo caso lo strumento mediatore compie un’opera negativa, che lede le qualità dell’elemento affidato: Giuda consegna Gesù ai nemici iniziando il percorso che condurrà il Redentore sulla croce.

Tradurre la poesia è impossibile, perché il verso contiene sempre un valore aggiunto rispetto al puro significato della prosa (non dimentichiamo che anche in questo caso nessuna traduzione riuscirà mai a produrre un “calco” dell’originale), la componente musicale delle parole. Ricreare il rapporto tra suono e senso, soprattutto nel caso in cui il primo costituisce un elemento semantico e non solo un decoro esteriore,talvolta può riuscire, ma riesce impossibile per un’intera composizione, non dico raccolta. Pensiamo soltanto alle rime. Quanto più le lingue sono affini tanto più il risultato può essere avvicinato: una traduzione dallo spagnolo all’italiano e viceversa può conservare molti aspetti originali, ma una traduzione dal turco al nostro idioma presenta insormontabili problemi.

Tradurre, pertanto, comporta un «tradimento» del testo e richiede una riscrittura completa. Anzi, un testo che sovrapponga parola a parola è destinato fatalmente al fallimento. Poeti sublimi risultano mediocri, sciatti e piatti.

Non dimentichiamo, poi, il problema cronologico: Dante in inglese va tradotto con un linguaggio odierno o si deve mantenere una patina arcaica, quale è presente nella coscienza del lettore italiano contemporaneo? Nel primo caso viene smarrito il fascino dei vocaboli antichi che per noi ancora conservano l’aspetto fantastico di un mondo medioevale e cavalleresco. Pensiamo ai celebri versi del canto V dell’Inferno, quando Francesca esclama:

Amor, ch’a nullo amato amar perdona
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Può un traduttore rendere la magia della rima, delle allitterazioni del primo verso, della ripresa della vocale “e” nel secondo con esito in “o” della vocale rimica in consonanza con gli altri due versi e il ricorrere della vocale “o” nell’ultimo, senza parlare poi della struttura ritmica uguale nei primi due casi e “allentata” in finale?

Per quanto un traduttore sia valente, non esiste altra possibilità che quella di “tradire” l’originale. Per questo solo un ottimo conoscitore di una lingua può aprire lo scrigno dei tesori poetici. Del resto, gli studi delle lingue classiche nascevano proprio dalla convinzione che la poesia possiede quei tesori di humanitas, di dignitas, di pulchritudo, capaci di educare le menti al verum, al pulchrum e al bonum. Esaurita la fiducia in questa concezione, è venuta meno anche la stima nei confronti degli studi linguistici.

Ogni traduttore, quindi, si trova di fronte a problemi insolubili: capisce il testo, lo gusta, lo deliba, vi si immedesima,ma non trova nel proprio idioma le parole necessarie per riprodurre esattamente il fascino sperimentato. A questo punto si impongono precise scelte: la peggiore sarebbe quella di risolvere caso per caso senza una concezione generale, dedotta non da una teoria, ma dalla precisa conoscenza del poeta di differente idioma.

Quale la particolarità di un autore? Se dovessi consigliare un traduttore di Andrea Zanzotto, lo inviterei a ricreare i giochi di parole presenti nella quasi totalità delle sue composizioni, di Guido Gozzano di usare «lo stile d’uno scolare / corretto un po’ da una serva», facendo cozzare «l’aulico col prosaico»; per Giorgio Caproni consiglierei di riprodurre la musicalità, di Sandro Penna la cristallinità stilistica, di Vittorio Sereni l’austerità secca della parola, di Gabriele D’Annunzio la suntuosità barocca, di Mario Luzi l’estensione semantica, musicale e sintattica propria di un «nativo» del linguaggio toscano e così via.

Il “tradimento”, pertanto, consiste nel privilegiare l’aspetto che lo studioso considera fondamentale, prevalente sugli altri, senza mai dimenticare che il verso, il ritmo, le ecolalie e le allitterazioni vanno considerate componenti indispensabili per ogni traduzione.

Perciò, quando mi sono innamorato della poesia di Paul Verlaine, mi sono domandato quale fosse il nocciolo della sua poesia e la risposta è fornita dall’autore stesso:

De la musique avant toute chose
[…]
Il faut aussi que tu n’ailles point
Choisir tes mots sans quelque méprise.

«Musica sempre; anzi è tuo dovere scegliere le parole non senza qualche svista». Allora mi sono accinto a “tradire” Verlaine assumendo la musicalità del verso come elemento qualificante e mettendo in pratica il secondo precetto nella scelta delle parole.

Ne è nata una breve raccolta, in cui si è cercato di riprodurre attentamente la musicalità, le rime, i ritmi, le allitterazioni e tutta quella suggestione che invita il lettore a cogliere il lato noumenico del reale attraverso quell’atmosfera sognante che lo colloca in una dimensione autre, dove le cose si rivelano.

Resta inteso che nessun altro poeta, se non forse il nostro Caproni, può essere tradotto in questo modo.

Leggere Verlaine, pertanto, equivale ad essere trasportati in un soprammondo velato di tristezza di nostalgia, di dolcezza inquieta, dove il sentimento non raggiunge mai la tragedia, ma si mescola ad un’aspirazione troncata nel momento stesso del suo sorgere, all’ineffabilità di un desiderio irrealizzato, a “ciò che poteva essere e non è stato”. Ci troviamo di fronte ad un’infelicità sommessa, trattenuta, pudica, immotivata spesso, quasi consapevolezza malinconica del limite esistenziale in cui è confinato l’essere umano.

TRADIRE VERLAINE, antologia di testi poetici tradotti da Giuliano Ladolfi, Giuliano Ladolfi Editore 2011.

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