Musica sui tetti di Piazza Maggiore

museo-ceramicaGABRIELLA MONGARDI

Sabato 9 marzo il salone all’ultimo piano del Museo della Ceramica, in Piazza Maggiore a Mondovì, si è davvero trasformato in un ottocentesco “salotto del belcanto”, dove un pubblico particolarmente numeroso ha ascoltato dal Quintetto d’archi dell’Academia Montis Regalis (Paola Nervi, Laura Bertolino violini; Elena Saccomandi viola; Giovanna Barbati violoncello; Roberto Bevilacqua contrabbasso) alcune gemme della produzione di musica da camera italiana del primo Ottocento, un genere messo in ombra dal trionfo dell’opera lirica, ma meritevole senz’altro di essere riscoperto per le piacevolissime sorprese che riserba. Tanto più quando viene affrontato con l’approccio filologico dell’Academia Montis Regalis, e il concerto è preceduto da una presentazione affabile ed esaustiva come quella tenuta dal musicologo Giovanni Tasso e riservata ai soci dell’Associazione “Amici dell’Academia Montis Regalis” (così come la simpatica “Merenda dell’Ottocento” servita da Mattia Germone del bar “Antico Borgo”).

Si è così creata un’atmosfera intima, salottiera, che ha permesso di gustare al meglio i due esempi proposti della raffinata produzione cameristica di Donizetti (l’Introduzione per archi in Re maggiore e l’Allegro iniziale del Quartetto in Do maggiore), uno straordinario capolavoro di Rossini dodicenne, la Sonata a quattro in Sol maggiore per due violini, violoncello e contrabbasso, e un Quintetto per archi di Boccherini, il maestro indiscusso di questo genere. “Salotto del belcanto”, appunto, perché Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti sono massimi esponenti del belcanto del nostro paese, e anche la loro musica strumentale conserva tale cantabilità.

L’Introduzione per archi di Donizetti si apre con un solenne unisono, quasi fosse un corale, da cui poi si stacca la voce solista del primo violino, molto dolce e sentimentale. Lo stile è ricco, la scrittura molto densa, i singoli strumenti hanno un trattamento quasi alla pari. La stessa dolcezza si ritrova nel Quartetto, ora melodioso e cullante, ora segnato da tratti più drammatici e teatrali.

Se con Donizetti si entra nell’era romantica, per quanto il suo romanticismo sia ancora saldamente imbrigliato nelle maglie del Classicismo (come avviene nella letteratura coeva, in Foscolo, Leopardi,  Manzoni), la sonata in tre movimenti di Rossini è ancora vicina alle sinfonie d’opera settecentesche e rivela una freschezza di idee e un talento melodico che preconizzano chiaramente il futuro operista. L’organico decisamente insolito, che prevede il contrabbasso al posto della più usuale viola, si spiega con il fatto che il committente, Agostino Triossi, era un contrabbassista. Molto spiritoso il contrasto timbrico tra il “vocione” da nonno del contrabbasso e le voci infantili dei violini: si capisce perché in tante lingue europee i verbi “suonare” e “giocare” coincidano…

Il concerto si conclude con il Quintetto per archi in Re maggiore op.39 n.3 di Boccherini, che non ha niente da invidiare ai concerti brandeburghesi di Bach per ricchezza melodica, ma ha una “leggerezza” tipicamente italiana. Si apre con un allegro dal ritmo infuocato, in cui il violoncello ha la parte del leone e la viola fa da cerniera, da perno fra acuti e bassi. Dolcissimo il tempo lento, una pastorale che è quasi una berceuse; l’allegro finale è una danza insieme frizzante e delicata, il miglior congedo per uscire incontro alla sera che sta scendendo sui tetti di Piazza Maggiore.