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GIULIANO LADOLFI
Il titolo della raccolta di poesie di Gabriella Mongardi allude all’omonima opera di Publio Papinio Stazio (ca 45 – ca 96), quasi a stabilire una continuità di concezioni, di struttura e di stile.
Il poeta latino riscosse notevole fama durante il Medio Evo al punto che Dante lo sceglie come compagno di purificazione dal canto XXI fino al termine del viaggio in Purgatorio.
Fino a che punto la poetessa piemontese segue il modello, se mai di modello si deve parlare?
I cinque libri delle Silvae raccolgono 32 componimenti di circa 3300 versi. Su questo punto la discrepanza è totale: qui il numero di versi è decisamente inferiore.
In Stazio troviamo un tipo di poesie d’occasione e su questo possiamo individuare analogie, come pure nella varietà metrica, che nel caso della Mongardi va riferita piuttosto al sistema contemporaneo del verso, come pure nello stile superiore a quello umile, come dichiarato dall’iniziale citazione virgiliana.
Ma l’elemento che meglio unisce le due opere va individuato nella molteplicità di contenuti che in Stazio variano dagli epicedi per la morte di persone e di animali agli epitalami, agli encomi, ai genetliaci, ai carmi di ringraziamento con ampi spazi descrittivi.

Il testo della Mongardi inizia con una precisa allusione al mito di Orfeo e di Euridice, che stabilisce un preciso vincolo non solo con la tradizione classica, ma soprattutto con una concezione di poesia dai contenuti profondi, espressi con la calviniana leggerezza («Leggero il passo / senza rumore sulle foglie»), immediatamente trasportata nella quotidianità («In punta di piedi / la vita fluisce e rifluisce»).

Nella raccolta aleggia un senso di delicatezza e di rispetto («Saliamo passo passo / Smarriti inconsapevoli / Solo per guardare oltre / Solo per dare un’occhiata») per ogni aspetto della realtà, come nel caso della ragnatela o dei colori dell’autunno, stagione colta in una prospettiva decisamente originale («L’autunno libera gli alberi / dal dovere di mentire»). L’amore per la vita («Ho abbracciato un albero»), l’entusiasmo per la sua bellezza, la freschezza dei sentimenti catturano il lettore con un moto di empatia.
Anche il rapporto con il “tu” rivela identica delicatezza di sentimento:

Ti riconoscerò dal passo
che crocchia sulle foglie,
dall’ombra che svanisce
alla svolta del sentiero…

E, conformemente al modello di Stazio, non mancano affascinanti aperture paesaggistiche. Sembra che la poetessa possieda la magia di trasformare ogni elemento in una dolcezza coinvolgente: la nebbia «abbraccia tutta la mia vita tra le sue braccia di piuma», come l’acqua «che chioccola nella fontana», come il mare che «arpeggia notturno sulla spiaggia» e così via…

Il fascino di questa raccolta sta in quell’elemento impalpabile collocato tra la realtà e il sogno, tra il desiderio e l’accadere, tra la bellezza e il limite («Non voglio dormire stanotte / per non cancellare l’attesa»), elemento che trasforma l’evento in significato – basta soffermarsi sulla composizione Doni –, evento sempre quotidiano, anzi consueto, perché la poesia non sta nelle parole, ma nello sguardo con il quale si guarda il mondo.
Non voglio entrare nei particolari per non sottrarre al lettore il gusto di scoprire autonomamente tutta la grazia di queste continue scoperte della realtà, che, come il “fanciullino” pascoliano («La mappa della primavera / è sempre da inventare»), testimonia un inesausto amore per la vita, «il miracolo / dell’EsserCi».

Anche l’uso di lingue diverse appartiene al carattere composito delle Silvae di Stazio, come pure la cura ritmica (l’endecasillabo) e lessicale: il carattere occasionale delle composizioni non esclude assolutamente la cura dell’espressione:

Per approssimazioni successive
si costruisce
la poesia,
le parole mutano
in impreviste
combinazioni rispondendo
a richiami imperiosi dall’ignoto…

Pertanto la lettura della raccolta della Mongardi si trasforma in un vero e proprio itinerario di continue scoperte esteriori e interiori, frutto di saggezza e di profondità umana («non avete comprato questo cielo»).
La poesia non salva la vita, ma certamente può contribuire a renderla migliore.

(il testo qui riprodotto è la prefazione alla silloge poetica Silvae di Gabriella Mongardi, Giuliano Ladolfi editore 2019, http://www.ladolfieditore.it/index.php/it/perle/perle-poesia/silvae.html)