Riflessi

locandina-kandinskij

GABRIELLA MONGARDI
“Riflessi”, il secondo concerto della Stagione Mondovì Musica 2018/19, tenutosi l’1 dicembre al Museo della Ceramica a Mondovì Piazza, è stato il modo migliore per ricordare, a sette giorni dalla sua scomparsa, l’ing. Beppe Battaglia, Presidente della Fondazione Academia Montis Regalis fin dalla sua nascita, venticinque anni fa. Il programma per violino solo previsto per il concerto si è così arricchito di una prima parte  per violino e clavicembalo, espressamente dedicata all’ing. Battaglia.
Visibilmente commosso, il maestro Giorgio Tabacco, che da subito lo aveva affiancato come direttore artistico della Fondazione, ne ha parlato come di un modello, una guida, un suo prezioso punto di riferimento. Sotto il suo modo di essere silenzioso e riservato, imperturbabile e distaccato, celava una ricca vita interiore, un profondo entusiasmo e interesse per la natura, per l’arte e per la musica in particolare.

Dopo un preludio per clavicembalo solo, sono state eseguite due sonate per violino e clavicembalo. Quella di Bach in do minore era severa, ma serena: il violino col suo motivo dolcemente malinconico invitava ad accettare il destino che per tutti è già scritto. Quella di Vivaldi in sol minore era vistosamente “bachiana” nella giga ben scandita, la sarabanda meditativa, la corrente con impennate virtuosistiche.

La parola – in senso letterale e metaforico – è poi passata al violinista Francesco D’Orazio che ha introdotto la seconda parte del concerto, definendo Bach una “bussola” per seguire i brani di compositori contemporanei che avrebbe intercalato ai tempi di danza della seconda partita per violino in re minore BWV 1004. Ha poi presentato brevemente ogni singolo pezzo eseguito.
Il maestro ha anche sottolineato il rapporto tra la musica che avrebbe suonato e il quadro di Kandinskij che aveva alle spalle, esposto dal Museo della Ceramica nell’ambito del progetto “Dietro le quinte del restauro. L’armonia preservata” in collaborazione con il GAMeC di Bergamo. Kandinskij, che suonava pianoforte e violoncello e ha intitolato le sue prime opere astratte “Improvvisazioni” e “Composizioni”, come’è noto ha teorizzato esplicitamente il rapporto tra suoni e colori, parlando di “qualità musicale dei colori” e delle forme. Come l’arte novecentesca, anche la musica contemporanea cerca una nuova via espressiva, non naturalistica e non figurativa, cioè atonale e aritmica.

Rewind di Gianni Francia è stato composto appositamente per il maestro D’Orazio: è una musica “isterica”, senza ritmo né melodia, affidata totalmente alla bravura eccezionale dell’interprete. Anche Bach nella Partita usa strutture minimaliste, semicrome che si rincorrono, cellule sonore che creano una polifonia senza la complessità dell’armonia.
La Suite francese di Ivan Fedele è una successione di danze molto stilizzate, un chiaro omaggio a Bach fin dal titolo, che alterna una musica graffiante, stridula, straziante, ad altra più lieve, tenue, esile, prossima al silenzio e che D’Orazio interpreta con acrobatico virtuosismo.
La musica di E.Z.  di Michele Dall’Ongaro è particolarmente interessante per l’intreccio di musica e letteratura. Il musicista si è ispirato al racconto breve di Lovecraft La musica di Erich Zann, in cui un violista muto suona fino alla morte una musica diabolica, e Dall’Ongaro vuole dare suggestioni: diabolica è sicuramente la bravura di D’Orazio. Il confronto con la sarabanda di Bach la fa risultare modernissima.
Fausto Sebastiani in Agape ha come base il colore del suono e costruisce il suo brano in crescendo: la prima parte è giocata sul pianissimo, è un sospiro a cui si sovrappongono altre cellule sonore fino a sfociare in un finale intenso. La giga di Bach ha una struttura geometrica a scatole cinesi.

Per finire, D’Orazio esegue a memoria la ciaccona di Bach e la Sequenza VIII di Berio. La presenza della ciaccona è ciò che differenzia la seconda partita dalle altre. È un brano di enorme complessità musicale, strutturale e tecnica; Berio afferma che vi si trovano tutte le tecniche violinistiche del passato, del presente e del futuro e inevitabilmente la “omaggia” con la sua Sequenza, di identica durata (12 minuti) e con un’identica struttura a piramide, che contiene citazioni di Bach e Paganini.
In apertura si instaura un rapporto strettissimo tra due note, una dialettica serrata, quasi uno scontro: sembra che il musicista tasti le corde per controllare se suonano… Dopo l’inizio “ostinato” si hanno delle fioriture, degli abbellimenti con un ritmo sempre più incalzante, ossessivo, come di mosca che ronza contro un vetro. Il finale è un lungo diminuendo, in un delicatissimo smorzarsi del suono grazie a un suggestivo uso delle sordine.

Come si leggeva sul programma di sala: « La relazione esistente tra musiche del passato e quelle di oggi è spesso strettissima al di là di quelle che possono essere le iniziali difficoltà di ascolto. Queste relazioni possono essere formali, gestuali, a volte armoniche e i riferimenti spesso evidenti.
Accostare i singoli movimenti di quel capolavoro che è la seconda partita di Bach a brani scritti negli ultimi quarant’anni è come partire per un viaggio in cui si può cogliere quanto moderno sia l’antico e quanto il moderno affondi le proprie radici nella musica del passato».