Dal diario delle feste

Foto: Canva gratis

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SILVIA PIO

Pensavo che il livello più basso nello spirito natalizio l’avessi raggiunto quell’anno quando un ragazzo col quale avevo iniziato ad uscire era sparito due giorni prima di Natale. La vigilia mi feci coraggio e telefonai a casa sua, e la madre mi disse che era andato al mare con la fidanzata. Si sposarono dopo qualche mese.
Passai la notte a piangere, mi rifiutai di andare al pranzo di famiglia il giorno dopo e mi rintanai in camera a far finta che non fosse Natale. Col passare delle ore compresi che quel ragazzo non faceva per me e tutto sommato la giornata non finì male: una fetta di panettone e un bicchiere di moscato.
Sono passati vent’anni e quell’episodio l’ho dimenticato. Dimenticati tradimenti, pene d’amore, feste in solitudine. Adesso ho famiglia e il Natale è un’occasione per stare insieme, un’occasione di festa e armonia. O quasi.

I miei genitori sono sempre stati molto tolleranti nei confronti delle feste, lo hanno dimostrato anche quell’anno quando decisi di starmene a casa da sola mentre loro erano dai nonni a fare pranzo. La famiglia di mio marito è diversa: tolleranza zero. A Natale si sta insieme, tutti, a casa della nonna materna. Questa è un donnino minuto ma fatto d’acciaio, che ha sempre impartito ordini a tutti, e continua a farlo anche adesso che è sulla sedia a rotelle. Brandisce il bastone, che ormai non le serve più per camminare, indicando le cose che comanda siano fatte. La figlia, mia suocera, deve occuparsi del pranzo seguendo il menù di sua madre alla lettera. Un menù sempre uguale nei secoli, innovazione è una parola inesistente a casa loro: antipasti di pesce serviti sulle conchiglie di capesante; ravioli di carne fatti a mano, arrosto di bue e bollito misto (con il brodo si mangiano i cappelletti la sera; è concesso che i cappelletti siano comprati, ma nella gastronomia più rinomata della città). La verdura a Natale ‘sa di povero’ e non è contemplata.

L’anno del matrimonio sono ufficialmente entrata a far parte della loro famiglia e sono iniziati i miei Natali con loro. È stato allora che ho scoperto tutte le regole della famiglia, a proposito del Natale e di altro. Ho capito che la matriarca indiscussa è sempre stata la nonna che ha manovrato la figlia e poi pure il genero, del quale ha stima bassissima e che chiama ‘fuco’. Sui due nipoti la presa è stata più difficile, ma comunque loro non si sono mai ribellati apertamente. So che mio marito è stato quello che la madre considera ‘uno scavezzacollo’, ma le sue imprese sono rimaste sempre molto private, fino a quando non mi ha presentata in famiglia. Prima di entrare in casa della nonna, luogo deputato ai pranzi ufficiali anche al di là del Natale, mi ha detto: “sei la prima che porto a casa, consideralo un complimento, un apprezzamento delle tue capacita di sopportazione e una dimostrazione di serietà nei tuoi confronti”. Allora mi parevano dichiarazioni un po’ esagerate.
Altre regole fondamentali sono: ci si veste con decoro (gli uomini in completo scuro, le donne in gonna e twin set), non si parla ad alta voce, non si raccontano barzellette – il senso dell’umorismo è sconosciuto – non ci si bacia per salutare e non sono ammesse piante da appartamento. Quest’ultima regola sembra sia dovuta ad un’allergia mai diagnosticata della nonna. E per Natale nessuna decorazione scintillante o pagana, l’unico simbolo accettabile è il presepe, da montare la vigilia quando contemporaneamente si cuoce il pesce e si fanno i ravioli, momento dove nessuno è ammesso se non la nonna e la figlia, mia suocera. Quest’ultima arriva sempre al pranzo in uno stato di stanchezza parossistica dovuta allo stress da lavoro natalizio.

E allora dopo il matrimonio sono entrata a far parte dello schema natalizio della mia famiglia acquisita. Non c’è stato verso di proporre pranzi ad anni alterni in modo da poter ancora vedere i miei in quel giorno, e neppure umilmente suggerire di invitare anche loro, visto che sono figlia unica e che i miei nonni celebrano le feste in paradiso già da qualche anno. “Natale si passa insieme”, è stata la risposta alla prima richiesta; “abbiamo solo un servizio da sei”, quella alla seconda.
Quindi: la nonna, i genitori di mio marito, mio marito e suo fratello, me medesima. Secondo il numero di piatti, ovviamente di porcellana finissima tramandati di generazione in generazione, non è previsto che la famiglia si allarghi ulteriormente. Meno male che mio cognato è uno scapolone d’oro che io pensavo un po’ gay (condizione con contemplata nella sua famiglia, quindi – se vera – tenuta nascosta).

Ma quest’anno lo scapolone ha annunciato che avrebbe portato la fidanzata, infrangendo con una sola dichiarazione una mezza dozzina di regole di famiglia. La prima, quella che prima di essere sposati gli acquisiti non vengono ammessi ai pranzi ufficiali, la seconda, quella relativa al servizio da sei. Le altre violazioni del codice familiare sono venute fuori, purtroppo, durante il pranzo.
Tendenzialmente parteggio per tutti coloro che con il loro atteggiamento potrebbero dare fastidio alla nonna di mio marito, ma la ragazza di mio cognato era talmente eccessiva che ho fatto fatica a stare dalla sua. Si è presentata con un cappottino rosso mooolto stringato, con i bordi di pelliccia bianca (tipo quello delle ragazze che appaiono con Bill Nighy in Love Actually, il mio film di Natale preferito) ed una stella di Natale spruzzata di brillantini dorati. Ha letteralmente buttato la pianta in grembo alla nonna, e mia suocera l’ha fatta subito sparire, e le ha stampato due baci sulle guance lasciandole il segno del rossetto. Prima di sedersi a tavola ha annunciato con noncuranza studiata: “sono vegana, lo sapevate, vero?”.
La temperatura della sala da pranzo è scesa a livelli polari. Mio cognato era una sfinge impenetrabile, mio marito e mio suocero erano in cucina a trafficare col vino, mia suocera tagliava l’arrosto con intenzione. È toccato a me confortare la nonna, ormai sull’orlo della crisi asmatica e prendere in mano la situazione.

(L’immagine è tratta da The Guardian)

L’immagine è tratta da The Guardian

Per prima cosa ho pregato tutti di sedersi e disfare il tovagliolo piegato a forma di pino finlandese, attività che li avrebbe intrattenuti per il tempo necessario a me per porre rimedio alla situazione. Ho raschiato il fondo del frigo e improvvisato una julienne di verdure appassite, decorata con la mentuccia del davanzale. Con un avanzo di pasta per ravioli (con 5 uova per mezzo chilo di farina, ma ero sicura che la vegana non aveva idea di come si faccesse la pasta in casa) ho improvvisato una minestra con dado vegetale da cuocere al microonde.
Intanto sentivo una sfilza di barzellette sconce arrivare dalla sala da pranzo, condite con risate a 150 decibel.
Ho messo le conchiglie in frigo e servito direttamente i primi, infrangendo la regola che designava mia suocera ad agire da cameriera. L’unica a mangiare con gusto era la vegana, che tirava su il brodo con risucchi energici. La julienne appassita è entrata in pompa magna mentre bollito e arrosto venivano nascosti dietro il centrotavola di cristallo e il decanter del Barbaresco. Il pranzo è finito in un amen. La vegana ha chiesto se non mangiavamo il panettone, e la nonna per la prima volta è riuscita ad aprire bocca per dire che il panettone era di una volgarità infinita e che comunque di dolci se ne sarebbero mangiati fin troppi nei giorni a seguire.
Prima di essere trascinata al cinema dal fidanzato, la vegana è riuscita a rompere un paio di piatti del servizio e il decanter, facendo colare il Barbaresco sulla tovaglia di lino e sul tappeto Tabriz.

“È stato il peggior Natale della mia vita”, ho detto a mio marito tornando a casa. Ero a pezzi, e in più affamata.
“Ma dai, che ci siamo divertiti!”
L’ho guardato allucinata.
“Ma non hai capito che era tutto uno scherzo? Mio fratello ha pagato quella ragazza, che è un’accompagnatrice di professione, per fare la scena. Lui è gay, ha un compagno da anni che lascia sempre da solo a Natale. Stanno parlando di sposarsi, ora che la legge lo consente, così potrà portarlo a casa. Dopo quanto è successo oggi, potrebbe persino essere accettabile. È un bel tipo elegante e parla forbito. Forse piacerebbe alla nonna… paragonato alla vegana”.
E poi mi ha fatto l’occhiolino ed io ho capito in un nanosecondo che mio marito non ha mai preso sul serio la sua famiglia e che l’unica a non avere senso dell’umorismo tra tutti sono io.

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