Lorenzo Foltran, un poeta neo-cortese

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LORENZO FOLTRAN

Immensa consapevolezza
del tempo che passa,
di quello che resta.
Un biglietto di andata in tasca
vuota, invece, l’altra.

*

Nell’andare dei treni
che nella rete di binari morti
e scambi diversi si perdono
come tra borse e bagagli gli orari
si corre il rischio di veder passare
ambedue i convogli
(i versi della sorte),
di restare schiacciati nella mischia
senza meta della stazione.

*

Per una strada da diapositiva
rovinata dalla memoria,
sui marciapiedi vestiti invernali,
impronte e passi, umida l’aria.
Treni diretti su altri continenti
lungo distese di conifere,
seguendo la risacca dei binari,
rami, foglie secche, fronde ispide.
In centri commerciali, tra le file,
fontane, scale, lampadari.
Notti da neon, luci intermittenti.
Giorno, sfondo nero e colori.
Appari, scompari a tuo piacimento
e poi riappari poi sbiadisci.

*

Quando di giorno non vedo le strade
e guardando per terra non c’è terra,
ma un mondo che si squaglia
insieme alla mia faccia
l’equilibrio si spezza.
La partenza non è altro che l’inizio
del viaggio di ritorno verso casa,
ma affondo nella melma,
la fogna a cielo aperto.
Apro le veneziane.

*

Triste la vita di chi non sospira,
di chi non pensa all’esistenza
che trascina, trascinato dal peso
tuttavia non percepito.
Così, felice della condizione,
dietro il vetro opaco del mondo,
vive ignaro di essere solo un’ombra.
Ma chi vive, solo, all’esterno,
oltre il vetro opaco, domanda a un’ombra
il “sì” della sua condizione.
È triste la vita di chi sospira,
di chi l’esistenza rigetta,
trascina, trascinato via dal peso
del tutto pensato e sentito.

*

Non la chiamo patria, ma terra, casa
quella strada che nella lingua bella
si colora d’estate, la sera,
quasi di rosa e di viola.
Domenica che sale alle finestre…

La casa resta tale,
cambia terra e lingua.
In tasca la paura di volare,
di lavorare fino a sera.

Travolto da quel gorgo
che si chiama tempo e mondo,
rigetto il contratto che mi è concesso.

Mi volto verso la voce che chiama,
corro, salto, mi sbraccio

e non mi sono mosso di un passo.

Lorenzo Foltran, In tasca la paura di volare, Oèdipus, 2018.

Dalla Prefazione di Dario Pisano:

IL POETA NEO-CORTESE

Uno dei pregiudizi che – da sempre – ostacola la piena intelligenza della poesia consiste nell’accreditare pregiudizialmente un merito artistico alla modernità degli strumenti formali che un poeta assume in dotazione.

Tanto più un poeta, ma diciamo anche un artista tout court, scompagina gli assetti formali della tradizione entro la quale si inserisce, tanto più si inoltra sulla via dell’arte.

Questo errore di prospettiva genera una visione teleologica secondo la quale gli artisti che vengono dopo sono più maturi dei loro predecessori. Occorre dissolvere completamente questo pregiudizio: nella storia dell’arte non esiste l’idea di progresso: un fatto tecnico resta un fatto tecnico e la modernità delle soluzioni espressive rinvia solo a sé stessa e da sola non è sufficiente a giustificare la qualità artistica di un prodotto.

Un sonetto può esprimere una modernità artistica più profonda di un testo scritto in un metro desueto e / o secondo stimoli espressivi di gusto avanguardistico.

Il libro di Lorenzo Foltran è l’ulteriore dimostrazione di questo teorema che ci si scorda troppo spesso.

La sua musa abita le rive dell’antica tradizione poetica italiana, e riscrive, con una dose di umorismo e ironia, celebri pagine della tradizione stilnovistica e petrarchesca.

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Nel novembre del 2011 Lorenzo Foltran ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica all’Università Roma Tre con la tesi La Musa e il Poeta: la relazione io-tu nella lirica amorosa tra origini e contemporaneità. Successivamente, si è diplomato in management dei beni e delle attività culturali dopo aver seguito un master di secondo livello tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’École Supérieure de Commerce de Paris. Ha lavorato per importanti istituzioni culturali come la Casa delle Letterature (Festival delle Letterature) e l’Institut français (Festival della narrativa francese) a Roma e la Fête de la Gastronomie e il Pavillon de l’Eau a Parigi, dove attualmente risiede. In tasca la paura di volare è la sua prima raccolta poetica.