Come se Luigi Santucci…

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GABRIELLA MONGARDI

Come se Luigi Santucci (di cui ricorre oggi il centenario della nascita) fosse Thomas Mann…
È impossibile infatti non accostare il romanzo Come se di Santucci (Mondadori, 1973) a La montagna magica di Mann (1924), di cui rappresenta una traduzione-riduzione-adattamento a un’altra lingua, a un altro tempo – una riscrittura su scala minore, la trascrizione per violino di una grandiosa sinfonia. La polifonia viene mantenuta, ma il numero delle voci – dei personaggi – è drasticamente ridotto, così come quello dei temi e delle pagine, come lo spessore e la complessità del romanzo. Rimane il fascino legato alla montagna, alla musica e… all’omaggio al grande scrittore tedesco – che non può essere casuale.

Come se, ambientato negli anni 1935/36, si apre e si chiude su una situazione estrema, liminare tra vita e morte: un uomo, un famoso compositore, è caduto in alta montagna, in un “cucchiaio di neve” e viene salvato dal suo cane, all’inizio; alla fine, quell’uomo torna in montagna con quel cane, a cercare lo stesso “cucchiaio di neve” per compiere un’opera di misericordia: “seppellire se stesso”, “sotterrare un morto che continuava a muoversi”.

All’interno di questo cerchio la narrazione, rigorosamente in terza persona, si muove alternando presente e passato: il presente della condizione limbica del protagonista, Klaus, sospeso tra vita e morte, che ode i medici parlare in tedesco al suo capezzale delle sue condizioni cliniche e un sacerdote recitare in latino le formule del sacramento dell’Estrema Unzione, e il passato in cui si muove la memoria di Klaus, che sulla falsariga delle preghiere, agganciandosi ad esse, comincia a sdipanare il groviglio di una vita, e a presentarsi al lettore per mezzo di rapide pennellate: l’amore per la musica e la montagna, la morte dei genitori, l’amicizia con Mico.

La prima sezione del romanzo, come un’ouverture musicale, anticipa i motivi che saranno sviluppati nelle due successive, e attraverso il cui intreccio si ricostruisce la storia della vita di Klaus, che la recupera in articulo mortis. Rimasto orfano a cinque anni, viene allevato a Milano dai genitori del suo amico Mico – il padre cieco, accordatore di strumenti, la madre maestra – come se fosse loro figlio, con il sostegno economico di un lontano zio salisburghese di Klaus, Onkel Kauz, che gli permetterà di studiare composizione. Tra la seconda e la terza sezione del romanzo c’è la cesura della guerra, la prima guerra mondiale che Klaus riesce a evitare e a cui invece Mico non sopravvive, e si affaccia il tema della donna come trait d’union tra i due amici, grazie alla sua sessualità ardente e primitiva. Morto Mico, morta Lina nel dare alla luce una bambina di cui non si sa quale dei due amici sia il padre, la piccola Dafne viene comunque allevata dai genitori di Mico come loro nipote, e seguita di lontano da Klaus, ormai artista affermato, fra una tournée e l’altra. Sarà lei ad accorrere accanto a Klaus convalescente dall’incidente di montagna, ma non riuscirà a legarlo di nuovo alla vita. La seduzione della morte (altro tema tipicamente manniano) avrà la meglio.

Grande è indubbiamente la maestria di Santucci nello strutturare il romanzo su diversi piani temporali e linguistici – dove il pluralismo linguistico non è solo dettato da mere ragioni di realismo e coerenza narrativa, ma si fa carico di dare nerbo a una lingua altrimenti troppo esile e aerea e impregnata di lirismo, troppo influenzata ancora dalla lezione rondista e solariana di pulizia formale ed eleganza stilistica: una lingua che anestetizza, estetizzandolo, quanto di drammatico ci sarebbe nei temi trattati: la guerra, la morte, la montagna, la musica, la tensione creativa, l’eros…

Sarà anche vero che Santucci concepisce la narrativa come scandaglio delle grandi questioni dell’esistenza, come scriveva Roberto Carnero nel 2015 sull’inserto domenicale del “Sole24Ore”, ma in questo romanzo non regge all’incertezza del non sapere e si sente obbligato a fornire risposte, come questa che spiega il titolo: «Il così è è il regno di Dio, la sua paterna prepotenza, il come se è il regno dell’uomo, la sua furbizia napoletana. […] Cos’è il come se? La fantasia, Klaus, ricordare, profetare, capovolgere, scappar di trappola. È questa la redenzione».
Troppo facile. Troppo comodo.  Niente a che vedere con la problematicità, l’enigmatica complessità della Montagna magica.