Nel cuore vertiginoso dell’oltre in cui nasce la poesia

depliant

GABRIELLA CINTI

EURIDICE1 A ORFEO

Sarà stato il mio non essere e per così poco,
sono balzata agile nella luce
solo per farmi parola in te
per soffiarti le lettere, il canto vero, di carne
più eterno dei tuoi incanti di prima.
Mi devi la natura di poeta,
il salto dal mito nel corpo di poesia.

Così per paradosso di afanìa
sono diventata per visione che cancella
lucerna di suoni negli occhi tuoi e del mondo.
Sono stata lo specchio del tuo perderti
non di perdere me
che dovevo insegnarti a morire
per divenire canto umano più alto di quello
con cui hai stregato pietre e natura.

Fuori dal mito.

Sono l’ombra che ti ha generato la voce,
mi hai dissolto per inverare la poesia
e vedermi ti ha accecato gli occhi divini
e le tue nuove pupille rinunciano
alla mia figurina, per prendere il mondo
nell’occhio parlante della poesia.

Eppure io sono la tua Causa,
hai perso il mio nome e il mio polso
ma mi troverai in tutti i nomi e in ogni mano,
nel cristallo della mia voce trasparente
ti screzierò il mondo in un prisma.

Ti guido nel canto
Amore nudo e potente, persa come soggetto
lampeggiante come dea e Tua Musa.

Sei sceso in Te, oltre Ade, oltre i facili prodigi
donati a te dagli dèi,
e per me ti aggiri nel cammino
del creare, terra di conquista dove
solo la mia ombra ti fa essere.

E la mia giustizia ha fatto del mio riflesso
la tua immagine e precipitando la distanza
mi sono fusa in te perché Poesia
nascesse dal mio sacrificio.

Ti ho permesso di perdermi e di perderti
perché poesia geminasse nel mondo
da te e oltre te, negli oracoli
di sogno della tua testa spiccata.

Solo l’Amore rinuncia a vita, corpo, e memoria
per essere solo Parola,
nomi di fuoco per accendere la notte del mondo.

Non essendoci più e forse mai stata,
sono vissuta giusto il tempo di morire
e di donarti la vita oltre la mia e la tua morte.

Possa il fruscio delle vesti mai avute,
dell’abito d’ombra che Moira mi ha tessuto,
essere la vera lira del tuo canto
e tornare agli dei per la strada dell’Uomo.

E sapere che mie sono le tue ali.

(Nota 1 Euridice, in greco Ερυ- δίκη, letteralmente, la grande giustizia. Questo testo, quasi programmatico dell’intera raccolta, intende avocare a questa figura il ruolo di generatrice della poesia a partire dal suo sacrificio destinico. Inoltre, io sono orientata a considerare Euridice una sorta di Sacerdotessa o Dea del profondo, come il prefisso greco, nelle sue accezioni di “grande”, “potente”, “esteso”, lascerebbe intuire, spesso attribuito infatti a figure mitiche femminili. Il mitografo Robert Graves giunge addirittura a cogliere in Eurinome, una dea cosmica primordiale, connessa a deità sumere, generatrice, attraverso l’uovo cosmico, di tutte le cose. Nel caso di questa poesia, si tratta di una specie di immaginaria quanto impossibile epistola verbale “a” Orfeo, che abbia la funzione di restituirle un ruolo ben più che partecipativo nella genesi della poesia nel mondo occidentale, bensì un autentico, sia pur drammatico, protagonismo. Per questo, questa eroina figura nel titolo, in una modalità identificativa solo apparentemente provocatoria; in tal senso, ho inteso pormi sulla scia di una affiliazione personale a questa remota ma viva sorgente di una poesia a cui il femminile mitico possa aver contribuito in modo decisivo, in una sacralità indeterminata ma riscaldata da una creaturalità ancestrale di struggente memoria.)

ORFEO ED EURIDICE

Hai sugli occhi una benda d’amore
che ti porse la tua Euridice
per rovesciare il fato
con forza di passione immortale.

Perché Orfeo ami
e che il suo canto
sia non solo potere di visione
e divino contatto,
ma amorosa e reale connessione.

Canta, Orfeo,
il miracolo che il mito
non ti ha fatto compiere.

Cantalo per me,
uscita dall’oltremondo ctonio
e fatta viva dal tuo suono magico.

Un fascio di suoni
mi ha intrecciato
polsi e caviglie,
mi hai riempito di sole
e mi ritrovo in un sorridente miracolo,
dove finalmente, senza pericolo,

ti guardo, luce della mia luce.

Gabriella Cinti, Euridice è Orfeo, Achille e La Tartaruga – Torino 2016
In copertina: Flora, (Primavera) di Stabia, affresco, I sec. d.c., museo archeologico di Napoli.
Riprese video: “Poesia del Mito nella raccolta Euridice è Orfeo”, Senigallia 18 agosto 2017. Letture dell’autrice, introduzione di Rossano Regi, con la partecipazione di Letizia Cerisa, Gabriele Ciceroni, Lorenzo Tombesi.

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Dalla prefazione “Meta-poetica del mito orfico” di Giovanni Schiavo Campo

Euridice è Orfeo è il titolo sotto il quale Gabriella Cinti è andata nel tempo raccogliendo un corpus cospicuo di testi dei quali i presenti costituiscono un ampio ma parziale reperto. …
A contribuire a moltiplicarne le possibilità di lettura sono, d’altronde, anche chiavi interpretative originate dal confronto con stimoli culturali e disciplinari eterogenei – ma fondamentalmente incentrati intorno agli interessi di una cultura e di una civiltà greco arcaiche –, che l’autrice, mediandoli dalla sua attività di studiosa e ricercatrice, è riuscita a rendere propri, traendone qualcosa di vivo e pulsante, pensante e poetante al di là di ogni sterile conosciuto: in altri termini, a farne rivivere un sentimento pregnante e fecondo.
[…]
Euridice è Orfeo … è il frutto anzitutto dell’imprinting della lingua ellenica antica, esercitata dalla Cinti nella veste di performer sui lirici greci in eventi che hanno contribuito a riavvicinare il pubblico odierno all’ascolto di quelle fonti che per i più sono solo un vago ricordo scolastico.
[…]
Per entrare tuttavia nel merito della raccolta, l’accesso forse più immediato è seguirne Orfeo. È il filo conduttore: non tuttavia semplicemente così come appare iscritto nelle tracce del racconto come premessa programmaticamente dichiarata. Nei termini di quale orfismo si pone allora la prospettiva? Impegnata com’è la Cinti dietro le quinte della filologia, è evidente l’insufficienza di una definizione estetica (che del resto avrebbe ancora meno senso ricondurre a un filone letterario, a una scelta di genere). È piuttosto da tenere presente il ganglio dialettico del mito, che è anche la possibilità di coglierne la verità evolutiva, di portarlo a esprimere un impensato. È la caratteristica propria del mito di prestarsi a ogni sorta di reinterpretazione posteriore, facendo questo, del resto, parte della natura ambigua del suo linguaggio; in quanto esso stesso, mito, prius linguistico e ontologico, voce che si discioglie in canto, destinata a nascondere ciò che al tempo stesso rivela.
[…]

Dalla postfazione dell’autrice

Si tenga conto che in questo libro ho intenzionalmente raccolto tutti i testi poetici esplicitamente riferibili al mito, in senso diretto o anche solo allusivo, per una precisa scelta di coerenza, categoriale, in un certo senso. A conto di conclusione, quindi, come personale traccia ermeneutica, valga innanzi tutto affermare che la constatazione che la scrittura poetica di questi sette anni non ha obbedito ad una scelta in senso proprio, bensì si è collocata in una sorta di momento di grazia destinico, di attingimento delle zone profonde del mistero. Istanti di folgorazione mantica in cui la lettura del proprio cammino di vita ha assunto forma di versi, in modo analogo a quello dei leggendari oracoli indovini del mondo greco che individuavano in una decifrazione divinatoria del passato il senso di unʼesistenza e delineavano così il futuro individuale, sortendo un effetto di purificazione di valore magico più che morale. Quindi lʼesito catartico accomunante lʼantica tragedia e la dimensione della poesia, mi hanno concesso un’opportunità che ho sempre coltivato dal punto di vista critico e saggistico, vale a dire di misurarmi in prima persona con la dimensione originaria degli archetipi, terra meno transeunte di quella in cui viviamo. Ciò ha comportato di per sé il fruire di valenze consolatorie e salvifiche, il sollievo di una solidarietà per agnizione che la poesia, o anche il solo tentativo di accedere a questo “stato di parola”, sommamente è in grado di generare.

Per converso, questo aspetto si scontra con l’altro “effetto” della scrittura poetica, consistente in una sorta di specchio dionisiaco che mi ha condotto a guardare, se non a precipitare, con una etimologica vigilanza allucinata, in un labirintico abisso interiore che poi è quello del mondo, da cui cercare una via di risalita o qualche possibilità di riscatto anche attraverso quel sé-altro da sé che rappresenta la parola poetica, misteriosa e problematica nostra filiazione. Nello specifico dei miei versi, ciò che mi preme di sottolineare è, sul piano dei contenuti, una disposizione dell’esistente, mio e del mondo, sotto lʼegida del mito. Il mito come dimensione archetipica in cui collocare eventi ed emozioni, fatti e destini. Il mito come riconoscimento di un luogo universale, una patria ancestrale a cui appartengo. Il mito scandito soprattutto come personale rivisitazione di natura oracolare e misterica.
[…]
Tra le eroine che prediligo e che mi hanno folgorato con loro epifania destinica c’è Euridice, di cui ho tentato una rivisitazione in chiave di genesi dell’Orfismo dal suo mito sacrificale. I miei studi mitici mi hanno illuminato sulla cosmogonia in tale chiave, da Esiodo in poi. Quel “fare il sacro” ha collocato per me Euridice nel novero di una creaturalità sacrale della poesia a partire dal Profondo di cui io la sento Signora. Con Lei sono entrata nell’abisso e nel cuore vertiginoso dell’oltre in cui nasce la poesia. Delle sue schegge di luce mi sono nutrita e a Lei tributo, in un afflato epigonico, la mia riconoscenza per il dono dell’agnizione che mi ha concesso. La sua sorte mitica, unita alla dimensione dionisiaca che opera in me su diversi fronti, ha forgiato il mio destino e fornito argilla di suoni ai miei versi. E lʼarcana giustizia del profondo inclusa nel suo nome, promette agli umani e alle umane il miracolo di una restituzione di ciò che a lei fu tolta, la seconda vita, e a noi la vita della speranza, di quell’insperabile che, con Eraclito, guida come faro i miei giorni.

Ma lo specifico di Dioniso, il dio estremo dell’enthusiasmos mi riguarda anch’esso, nel senso che in me vita e poesia costituiscono il riconoscimento della categoria dell’invasamento e della sua ineluttabilità. Questo spirito che fonde in sé le antitesi più estreme, della vita e della morte, o meglio le contiene nella loro duplicità, è un altro motore ispiratore delle mie parole e di ogni mio tentativo di pensiero.

Performance

Performance “Il suono delle parole e delle lingue”, 13 gennaio 2018, Spazio Tadini, Milano (foto: Silvia Pio)

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Gabriella Cinti, nata a Jesi (An), da padre scrittore e grecista e madre storica e letterata, si è laureata in Lettere moderne presso l’Università di Studi di Genova, con indirizzo filosofico-linguistico e ha sempre affiancato l’insegnamento alla critica letteraria.

Da diversi anni si occupa di poesia, di filosofia del linguaggio, di antropologia, di archeologia delle lingue europee, di etimologia e in particolare di poesia greca antica di cui è voce interpretante all’interno di varie manifestazioni musicali o teatrali.

Nel 2009, il regista Gianni Minelli, ha realizzato per lei, il film-corto “Mystis”, ambientato in un’Otranto misterica, di cui è sceneggiatrice e interprete, che è risultato primo premio al concorso “Festa internazionale del cinema di Roma”, 2010, nella sezione Documentario-Video-arte.

Fra le sue opere pubblicate ricordiamo la raccolta di poesie Suite per la parola, Péquod Ancona 2008, (vincitrice del Premio Nabokov per la poesia 2008, terzo premio al concorso letterario “Albero Andronico”, Roma 2009 e menzione al Premio “L. Montano”); il saggio Il canto di Saffo-Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci, Moretti e Vitali, Bergamo 2010 (con prefazione del grecista e traduttore Angelo Tonelli, Premio speciale Città di Cattolica 2012, e secondo premio al concorso letterario Cinque Terre-Golfo dei Poeti 2013 per la saggistica; recensito nell’aprile 2010 da Franco Manzoni, nelle pagine Cultura del Corriere della Sera e da Gianluca Bocchinfuso ne Il Segnale, 94, 2013); e l’articolo-saggio su Heimito Von Doderer sulla rivista Uomini e libri: Dietro un’originale architettura poetica, una appassionata testimonianza della “Finis Austriae”, Milano 1986. Tra gli inediti, la poesia Euridice a Orfeo ha vinto il premio della Stampa, al concorso di poesia “Città di Acqui Terme” nel 2012, e un’altra poesia, Viaggio verso l’uno, ha vinto il secondo premio in un’altra sezione del medesimo concorso. Con Euridice a Orfeo ha anche ottenuto i l Primo premio al concorso Rodolfo Valentino Sogni ad occhi aperti, edizione 2013.

Infine sono presenti sue poesie nelle seguenti antologie: Chi ha paura della bellezza?, a cura di Tomaso Kemeny, Arcipelago edizioni 2010; Enciclopedia di Poesia Contemporanea, Vol. 4/2013, Fondazione Mario Luzi editore, Roma 2013; Metrici moti, de-Comporre edizioni, Gaeta 2014; “Satura”, Trimestrale letteratura, spettacolo, Milano, SATURA Associazione culturale, anno 5° n. 20; Il Cerchio Azzurro, 2010, Poetry Dream, 2012; In limine (on line) n. 10, 2014, nell’ambito della sezione Poesia Contemporanea, a cura di Beppe Mariano e nella rivista Mosaico, edita a Rio de Janeiro dalle Università brasiliane (edizione on line e cartacea), 2014.