Il Festival dei Saraceni, tra lieder e danze

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Quello di sabato 28 luglio in Sala Ghislieri a Mondovì Piazza è stato un appuntamento insolito per un festival dedicato alla musica antica com’è il Festival dei Saraceni: si è trattato infatti di una serata di lieder, tipicamente tedesca e romantica; la voce era quella del soprano polacco Dominika Zamara, accompagnata al pianoforte da Andrea Musso. È stata una scelta ponderata, nata dalla volontà di non rimanere chiusi nei soliti stereotipi e aprirsi ad altri repertori: in effetti sono stati proposti sei autori, tre ottocenteschi e tre contemporanei, molto diversi tra loro, ma tutti legati in qualche modo a Parigi, una delle principali capitali dell’arte europea. Dall’Ottocento vengono le arie appassionate e frizzanti di Rossini, quelle melanconiche di Bellini e quelle stupefacenti di Chopin: l’eccelso pianista infatti non amava scrivere per il canto, ma non ha potuto dire ostinatamente di no a chi sperava che potesse fondare una scuola nazionale polacca, tant’è che oggi questi lieder, in origine destinati ai salotti aristocratici, costituiscono una delle colonne del repertorio vocale polacco. Sono pagine intimamente romantiche, traboccanti di Sehnsucht, impregnate di un fascino struggente.
I tre compositori contemporanei sono invece i torinesi Franco Mariatti (1931-2016) e Raffaele Montanaro (1946) e il cagliaritano Giovanni Frau (1960). Di Mariatti, una figura poliedrica, sono state eseguite Sette brevi improvvisazioni per pianoforte, di Montanaro due pezzi che si possono definire “tardoromantici”, di Frau un breve brano ripetitivo e ossessivo, tipicamente novecentesco.

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Con il concerto dell’Accademia Ottoboni, tenutosi l’8 agosto nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Monastero Roapiana, il Festival è “rientrato nei ranghi”, proponendo un autore del secondo Settecento, Luigi Boccherini (1743-1805), ingiustamente oscurato dai due Dioscuri del Classicismo, Mozart e Haydn (a cui Boccherini non è certo inferiore). Trasferitosi venticinquenne a Madrid, Boccherini visse da allora in Spagna, componendo molta musica per archi e chitarra, un genere grandemente in voga a quei tempi.
L’Accademia Ottoboni, fondata a Roma nel 2004, ha eseguito in questa serata il Quintetto n.7 in mi minore, “Musica notturna per le strade di Madrid” e “Introduzione e fandango”: Ayato Matsunaga e Teresa Ceccato violini, Helena Zemanova viola, Marco Ceccato violoncello, Francesco Romano chitarra solista. Il quintetto n.7 è ricco di contrasti: il primo allegro si apre in un clima quasi misterioso, notturno, per lasciare il posto a un adagio delicatissimo e soave; il minuetto sembra una danza delle ombre fremente e appassionata, dalle mille sfumature cromatiche; nell’ultimo allegretto la chitarra enuncia il tema danzando e poi gli archi lo variano, riprendendolo e rendendolo ora più scuro e tempestoso, ora più lieve e cristallino. La “musica notturna per le strade di Madrid”, se nel titolo riprende la Nachtmusik mozartiana, è di fatto un delizioso pezzo imitativo dei rumori che animano anche di notte la capitale spagnola: le “campane” sono rese da chitarra e violoncello in pizzicato, il “tamburo dei soldati” dal violino; il “rosario” è un duetto tra violino e violoncello inframmezzato dagli interventi del tutti, la “ritirata” è un marziale minuetto. Non mancano due danze, nell’animata notte madrilena: un altro minuetto, dolcissimo, e una vorticosa “passa calle”.
Il brano più apertamente spagnoleggiante è l’ultimo: dopo un attacco languido e malinconicamente abbandonato si impone un imperioso invito alla danza, che scandirà tutta l’introduzione come un ritornello, suddividendola per così dire in “episodi” dove ogni strumento trova il suo spazio. Il fandango è un complesso intreccio delle atmosfere più variegate, dominato dalla voce inconfondibile del violoncello e dagli schiocchi delle nacchere, suonate dal violoncellista stesso.
A conclusione della serata è stata riproposta una parte della “Musica notturna”, che ci ha accompagnato nella notte monregalese.