Dal diario di un’automobilista in controtendenza

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SILVIA PIO

Mi piace dire che sono nata in automobile, una di quelle che mio padre cambiava ogni due anni per la sua autoscuola. Tra i primi giocattoli c’era un motore a scoppio sezionato che faceva mostra di sé nell’aula della teoria. La prima volta che ho messo le mani sul volante avrò avuto cinque anni, ero sulle ginocchia del papà e l’auto percorreva il cortile dei nonni. La prima volta che ho guidato avevo 16 anni: mio padre mi ha messo in mano le chiavi dell’Autobianchi 112 con i doppi comandi dicendo “andiamo fino in campagna”. Le strade erano allora poco trafficate, i controlli inesistenti, le cinture di sicurezza sconosciute.
Vista la comodità dell’autoscuola in casa, ho preso le patenti superiori e all’esame di guida dell’autobus ho ricevuto i complimenti dell’ingegnere (così si chiamavano a quel tempo gli esaminatori). Sarei capace di guidare qualsiasi mezzo e posteggiare dovunque; se qualcuno si stupisce delle mie capacità, rispondo “sono figlia d’arte”.

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L’automobile significava libertà, partire per dove volevo quando volevo. Mi sedevo al volante e diventavo tutt’uno con la macchina. Mi piaceva particolarmente viaggiare sola, ascoltando musica e fumando sigarette (allora era permesso), e guardare il paesaggio che mi veniva incontro dal parabrezza…
Ricordo una puntata a Piacenza andata e ritorno nella stessa notte, e i numerosi caffè al mare serali (il mare è a 80 chilometri). Mitico fu un viaggio a Napoli con l’amica del cuore in un agosto infuocato (neppure i condizionatori erano conosciuti) quando avevo vent’anni.
Ho visto mode e modelli venire e andare, strade raddrizzarsi sbancando le colline e autostrade allargarsi. Le auto sono diventate più sicure ma anche più veloci, il che è un controsenso per me; ricordo ancora la formula per calcolare lo spazio di frenata[1]se vai ai 100 all’ora e incontri un ostacolo improvviso hai bisogno di quasi 100 metri per fermarti. Se abiti dalle mie parti il capriolo è già stecchito o il cinghiale ti ha distrutto il cofano anteriore. Mi vengono i brividi se penso ad altri ostacoli viventi.

Ho visto i guidatori imbarbarirsi con l’aumentare della cilindrata, cambiare il linguaggio e il modo di vedere secondo quale potenza si trovavano sotto il culo (si fa per dire, lo so dov’è piazzato il motore).

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Non mi piacciono le auto che vanno troppo veloci: una lieve premuta dell’acceleratore e sei già oltre ai limiti. E non mi piacciono le auto con troppi optional e troppe spie: ce n’è sempre una accesa; non mi piace la voce del navigatore né quella che trasforma gli sms. Ho comprato un’auto nuova l’anno scorso e, dopo un giro in campagna, l’ho riportata indietro, salvando per un pelo quella vecchia dalla rottamazione. La mia Fiat Tipo bianca ha trent’anni e da dieci è considerata auto storica e paga una tassa di circolazione ridotta. Non si guasta mai, anche perché secondo me è meglio prevenire che curare e la porto dal meccanico ogni sei mesi per una controllatina.
A chi mi dice se non mi vergogno ad andare in giro con tale automobile, che dimostra tutti gli anni che ha, rispondo che l’automobile è come la proprietaria: dimostra sì gli anni, ma è robusta e affidabile.

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L’altra sera, tornando a casa sulla fondovalle, mi sono resa conto che i fari a led delle altre macchine mi davano fastidio. Avevo passato la giornata in città, dove mi ero persa almeno tre volte per la viabilità modificata e mi ero presa una serie di insulti coloriti che riguardavano il mio aspetto fisico, le possibili scappatelle di mio marito e la mia età. È strano che il rispetto personale tra i guidatori dipenda dalla cilindrata e dal prestigio del mezzo.
Per non parlare della difficoltà a posteggiare, del prezzo del posteggio in zona blu, del tempo impiegato ad uscire dalla città nell’ora di punta.

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I fari delle auto mi hanno illuminata anche metaforicamente ed ho avuto un’epifania: non mi sto più divertendo. I viaggi in auto sono diventati spostamenti, deportazioni, esodi; il senso di libertà si è trasformato in claustrofobia. Sì, hanno ragione i cafoni: sono troppo vecchia per questo genere di cose.
Finché la Tipo regge continuerò ad usarla, ma sempre meno. Poi prenderò treno e taxi per gli spostamenti. Mi dispiacerebbe non guidare più, quindi qualche volta mi farò prestare l’auto d’epoca di mio cognato e andrò ai raduni, vestita stupidamente come se fossimo negli anni ’30, da vecchia signora quale sono.

(Foto di Roberto May)

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