Intrecci barocchi

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GABRIELLA MONGARDI

“Intrecci barocchi”, il logo che compare sul programma di sala, allude alla fruttuosa collaborazione musicale instauratasi tra l’Academia Montis Regalis, l’Accademia “Stefano Tempia”, il Coro “Ruggero Maghini” e i “Musici di Santa Pelagia” all’interno del Festival dei Saraceni, ma poteva essere a buon diritto il titolo del concerto di fine corso tenuto a Pamparato sabato 14 luglio, nella splendida chiesa di San Biagio, dagli allievi di canto (seguiti dalla prof. ssa Roggero), di flauto traversiere (prof.ssa Odling), di violino barocco (M.stro Casazza) e di vocalità corale (M.stro Popolani). Due gli autori in programma: il tedesco Johann Christoph Pepusch (1667-1752) e l’italiano Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736). Di Pepusch è stato interpretato il concerto op.8 n. 6 per due flauti, due violini e basso continuo, che si apre con un adagio caratterizzato da un dialogo intenso e delicato tra violini e flauti; un breve e melodioso allegro a canone introduce il secondo tempo lento, un largo di grande serenità e pace; la dolcezza regna sovrana anche nel presto finale. Ancor più “dialogico” il salmo Confitebor tibi domine di Pergolesi per soli, coro e orchestra: più che le parole, conta qui l’intreccio vibrante, caleidoscopico e sontuoso delle voci e delle linee melodiche, che si risolve in un’energica e grandiosa celebrazione della musica stessa.

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Il concerto del sabato successivo, ospitato da un vero gioiello barocco, l’oratorio della Confraternita dei Disciplinanti a Torre Piazza, aveva invece un titolo che era tutto un programma: Bach e Vivaldi – estro, genialità e passione, ma era comunque  un “intreccio barocco”, non solo tra architettura e musica, ma addirittura tra musica e politica. Infatti, sul fondo della sala, accanto al sobrio altare barocco, erano collocate tre bandiere: dell’Europa, dell’Italia e del Piemonte, a ricordarci la nostra triplice appartenenza, a ricordarci che il Piemonte non sarebbe niente se non facesse parte dell’Italia e l’Italia non conterebbe niente se non fosse inclusa nell’Europa, perché è l’Europa unita a garantire la concordia e il benessere senza cui non sarebbe possibile neanche una serata come questa, e risuonerebbero grida di odio, pianti e trombe di guerra anziché questa musica di pace.

L’ensemble “À L’Antica” (Luigi Lupo, flauto traversiere, Rebecca Ferri, violoncello, Anna Fontana, clavicembalo) intreccia sonate di Bach e Vivaldi, i due autori forse più rappresentativi del Barocco europeo, e subito il respiro si dilata, si dimenticano nazionalismi e rivalità e se i confronti sono inevitabili e le preferenze anche, il tutto resta a livello di gusto personale e – com’è noto – de gustibus non est disputandum… Per chi scrive, il vertice della serata è stato rappresentato dalla sonata per violoncello RV 46 di Vivaldi, che ha la stessa struttura ternaria dei suoi concerti, e contrappone un adagio pensoso a due ariosi allegri, dalla cantabilità tutta italiana. Bach, più giovane di sette anni rispetto a Vivaldi, ammirava profondamente il compositore veneziano, tanto da trascriverne per organo alcuni concerti dell’Estro armonico, aprendosi così agli influssi italiani, evidenti nelle due sonate che hanno chiuso le due parti del programma, la BWV 1020 e la BWV 525. L’influsso francese è invece evidente nella celeberrima suite per violoncello solo, BWV1007, che Rebecca Ferri ha interpretato con agile leggerezza.

Come giustamente sottolinea Giovanni Tasso nel programma di sala, «le loro profonde differenze, che potremmo quasi definire “filosofiche”, costituiscono in realtà una delle principali ricchezze del repertorio barocco, in grado di offrire ogni volta un frutto dal sapore deliziosamente diverso».