L’alba del Classicismo

giovani-con-onofri-7-7-18-02GABRIELLA MONGARDI

L’alba del classicismo è il suggestivo titolo del concerto che i bravissimi “Giovani dell’Academia Montis Regalis”, sotto la direzione del maestro Enrico Onofri, hanno tenuto sabato 7 luglio nell’ambito del prestigioso Festival dei Saraceni, alla sua cinquantunesima edizione.

Il concerto si proponeva di esplorare la produzione musicale del secondo Settecento, quel periodo di transizione tra Barocco e Classicismo che vide l’ “esplosione” del genere sinfonico: la sinfonia si emancipò dal suo ruolo di mera introduzione operistica e divenne un componimento orchestrale articolato in tre o quattro movimenti fra loro contrastanti, e fu il milanese G.B. Sammartini (1700-1775) il primo a imprimervi questa svolta, poi seguita grandiosamente da Mozart e Haydn, il cui testimone sarà raccolto da Beethoven. Il programma prevedeva appunto musiche dei due fratelli Sammartini (Giuseppe e Giovanni Battista) e del veneziano Baldassarre Galluppi, nella prima parte; di Mozart e Haydn, definiti nel programma di sala “i due Dioscuri del classicismo viennese”, nella seconda.

Con il concerto op.4 n.3 in sol minore di Giuseppe Sammartini siamo ancora in piena temperie barocca: la musica è pacata e fluente come il mare nell’andante, vigorosa e scandita nell’allegro; la sarabanda è dolcissima e trascinante, mentre il minuetto finale è un vortice di scale e arpeggi, con tutti gli archi in pizzicato tranne i solisti. Galuppi nel suo concerto n.3 in re maggiore ha languori e fremiti lagunari, equorei, sognanti trasparenze e guizzi fiammeggianti: dopo l’introduzione orchestrale il canto dei solisti è trapuntato di singhiozzi e gorgheggi.

La sinfonia in la maggiore J-C 62 del più giovane fratello Sammartini è un fuoco d’artificio di accordi e ritmi cangianti. L’interpretazione è ironica e giocosa nel suo virtuosismo accresciuto dalla velocità, e diventa travolgente nel finale: il maestro Onofri dirige e suona lui stesso con tutto il corpo, come danzando, e il suo concentrato ardore si trasmette a tutti e a tutto, tutto viene rinnovato.

Il primo movimento del celeberrimo divertimento in re maggiore KV 136 di Mozart, eseguito leggermente più lento e strascicato, quasi swing, diventa più melodioso e dolce, addirittura acquista una profondità meditativa vertiginosa; per contro il secondo movimento, leggermente più veloce, è tutto grazia e leggerezza, l’intreccio delle linee melodiche, che ora trascolorano da uno strumento all’altro, ora risuonano all’unisono, è semplicemente sublime. Nell’ultimo movimento è come se cozzassero insieme “due secoli l’un contro l’altro armato” e la forza centripeta del ritmo faticasse a contrastare la forza centrifuga delle linee di fuga, il nervosismo della melodia.

Grazie all’interpretazione vivificante che ne è stata data, anche Haydn sembra un altro: il suo concerto in sol maggiore Hob. VIIa:4 ha una verve insospettata, slanci, anfratti, sorprese a raffica, Sono passaggi continui da tumulto a delicatezza, chiaroscuri struggenti, crescendi appassionati che il suono scuro, pastoso, a volte quasi drammatico di questa orchestra fa risaltare al massimo.

Il presto mozartiano concesso come bis conclude alla grande una serata superba.

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