“F” come speranza, ovvero le Tre Grazie

semaforo-x-tre-grazie

GABRIELLA VERGARI
Al rosso, si accostò alla macchina e attaccò la solita cantilena.
Non si aspettava nessuna accoglienza in particolare: con i fazzolettini e gli altri prodotti del suo commercio non c’era cosa aspettarsi ma la mossa di diniego di quel giovane capo, fanciullescamente distratto, e il gaio cicaleccio che intuì dal finestrino appena dischiuso lo ferirono come non pensava  potesse ancora accadere…
E sì che di umiliazioni ne aveva già ricevute tante…
Il fatto però che, al suo apparire, la ragazza al volante, senza nemmeno interrompere la conversazione con le amiche, l’avesse ignorato quasi fosse inevitabile, limitandosi a scuotere il capo automaticamente, perfino dolcemente, gli aveva dato, tutt’a un tratto, l’impressione che quel rifiuto racchiudesse l’essenza stessa della sua condizione. Come se, da un lato, il microcosmo di quell’abitacolo rappresentasse l’universo sempre vagheggiato e mai conquistato - bello, desiderabile ma inesorabilmente precluso – e, dall’altro, la sua istanza a farvi ingresso fosse destinata ad essere delusa. Non tanto perché egli ne fosse indegno o non meritasse almeno un cenno, ma perché una volontà imperscrutabile rendesse quel suo bussare il grido di un muto.
Da quel momento in poi fu l’ossessione: sarebbe penetrato in quel microcosmo,  avrebbe costretto le tre ragazze a concedergli una chance, ad aprirgli sia pure uno spiraglio, foss’anche stata l’ultima azione della sua vita.
Cominciò così la guerra. Unilaterale, com’è ov­vio, poiché le sue nemiche non sospettavano neppure lontanamente che fosse stata dichiarata.
Ignare e distratte si limitavano alla loro parte. Con naturalezza, senza astio, né la più remota ombra di rancore: rifiutavano di acquistare e basta.
All’inizio ne fu  persino compiaciuto.
Non gli sarebbe piaciuta una facile vittoria.
Il traguardo cui mirava era troppo ambizioso per raggiungerlo senza l’impiego di tutte le sue risorse. Così, quando avrebbero alla fine ceduto, perché avrebbero ceduto, il valore della loro resa sarebbe stato direttamente proporzionale alla difficoltà del­l’impresa e all’entità del successo.
Dopo tre mesi di insistenze invariabilmente deluse, la sua fiduciosa attesa ebbe tuttavia un cedimento. Cominciò, inoltre, a temere che le sue ragazze potessero cambiare percorso e svanire per sempre nel nulla. La sola ipotesi gli appariva intollerabile, verdetto definitivo e inappellabile di un’irrevocabile sconfitta.
Per buona sorte, proprio quando le sue notti stavano per essere segnate dall’angoscia di una simile evenienza, ad un ennesimo vano approccio, ebbe comunque la conferma che le tre lavoravano nei paraggi, come aveva cominciato già da un po’ a sospettare e come era riuscito a dedurre dalla targhetta che sporgeva da una delle borse sempre gonfie, turgide di chissà quali misteri.
Perché, a prescindere da ogni altra considera­zione, quel mondo femminile così concluso, ovattato e distante lo affascinava e incuriosi­va terribilmente.
Gli erano concessi pochi istanti ad ogni incontro: giusto il tempo di proporsi e di riceve­re l’immancabile, inevitabile rifiuto; eppure cercava ogni volta di non sprecare l’occasione e di carpire qualche particolare in più, che l’aiu­tasse a completare il quadro di quelle vite tanto diverse dalla sua. Le aveva soprannominate la Rossa, la Nera e la Bionda, tre come nelle fiabe, le sue donne del Destino, sovranamente indif­ferenti ai suoi sforzi eppure dotate di un potere straordinario.
Se solo avessero fatto in modo che accadesse…
Ormai le conosceva bene.
Si alternavano alla guida con schema regolare, a cadenza settimanale, e parlavano, parlavano.
Mille frammenti di mondi diversi, echi di problemi sideralmente lontani da lui e i suoi fazzolettini, ma gli sembrava lo stesso di partecipare un po’ a quelle conversazioni ravvivate dai gesti convulsi e decisi della Bionda o dal morbido an­nuire della Rossa. La Nera ridacchiava spesso o si muoveva al ritmo di una musica immaginaria: era la più dinamica, la più giovane, la più allegra.
Un broncio sensuale denunciava, in­vece, i non rari momenti di stanchezza e malu­more della Rossa. La sua voce, lievemente can­tilenante, aveva una tonalità melodiosa, per­fettamente intonata al modello femminile che incarnava.
Andò a finire che le sue giornate non furo­no più scandite dal sorgere o tramontare del sole ma soltanto dalla sosta di quella benedetta macchina al suo semaforo.
A volte, solo a volte, si accorgeva dell’assurdità di quella persecuzione e si proponeva di desistere e di non importunare più le ragazze che, tanto, non avrebbero mai comprato nulla da lui.
Ma poi, appena le scorgeva da lontano, si piazzava ad attenderle con il batticuore, sempre speranzoso in un cenno, in un gesto di accoglienza, in un’anche piccolissima apertura. Sarebbe bastato così poco, un semplice dannatissimo acquisto…
Al primo anno di assedi, ne seguì un secondo, poi un terzo.
All’urgenza spasmodica degli ap­procci iniziali, subentrò pian piano una sorta di routinaria pacatezza. Si sarebbe quasi rassegnato all’ine­luttabilità dell’emarginazione se non fosse sta­to sostenuto dal pensiero che ogni giorno sa­rebbe potuto essere quello giusto, quello spera­to.
Qualche progresso del resto c’era stato, soprattutto negli ultimi tempi. Ormai le tre non lo ignoravano più, sembravano anzi stupite se non lo vedevano accostare immediatamente.
La Bionda era perfino giunta a rivolgergli la parvenza di un sorriso, ma non bastava, non era una ricompensa sufficiente a ripagarlo dell’ostinata determinazione con cui aveva af­frontato e stava affrontando quella sua battaglia quotidiana.
Trascorsero altri mesi di illusione e disillu­sione e chissà per quanto tempo sarebbero andati ancora avanti, lui e le tre ragazze, se l’amministrazione comunale non avesse un bel giorno deciso di sopprimere il semaforo del conflitto.
Quando apprese la notizia, ne restò sgomento, come se il destino gli avesse, a sua insaputa, assegnato un tempo limite per raggiungere il suo scopo e avesse adesso fatto suonare il gong finale.
Ad una riflessione più serena, l’evento non gli parve tuttavia così decisivo: quello che contava non era infatti il luogo quanto la lotta in sé.
Avrebbe accostato le ragazze altrove, basta­va per quello un po’ di iniziativa.
Per il resto, il verdetto rimaneva ancora senza pronuncia.
Forse, chissà, l’indomani o il giorno dopo o quello se­guente ancora…

(tratto dalla raccolta: “Sirene, Chimere ed altri animali”, Solfanelli, Chieti 1993)

illustrazione di Franco Blandino