5000 battute, spazi inclusi

von-karajanGABRIELLA VERGARI

Carlo spense il cellulare con un gesto stizzito.

La sua collaborazione con quel magazine on-line stava diventando troppo impegnativa per i suoi gusti.

Era cominciata così, un po’ per scherzo, un po’ per gioco e un po’ per il desiderio che sempre lo accompagnava di mettersi alla prova, ma non aveva previsto potesse presto trasformarsi in una sorta di trita-carne cui tuttavia non riusciva ancora a sottrarsi. Vai a capire il perché.

Molti pomeriggi gli erano ormai stati occupati dalla vocetta insistente della sua redattrice, che con il solito pretesto dell’originalità del suo sguardo  lo andava inviando ora ad una mostra imperdibile, ora ad un evento carinissimo, ora alla presentazione di un instant book che solo lui avrebbe potuto…, ora alla degustazione di formaggi con deliziose letture di epigrammi ellenistici.

Con il risultato che, all’unica autentica occasione culturale cui avrebbe davvero partecipato con piacere, era andata lei con Luisa, la sua vice-alter-ego-schiavetta-tuttofare.

Una donna tremenda, che aveva però il dono mirabile della sopportazione servile.

E, insomma, per farla breve, nel pomeriggio gli sarebbe toccata una sedicenne alla prese con la sua opera prima che, grazie al passa-parola, e ad un’oculata campagna promozionale sui social e qualche rete locale, prometteva di diventare la nuova gallina dalle uova d’oro del target soprattutto giovanile.

Pensa che in tutto il suo testo non ha impiegato più di dieci avverbi e quattro gerundi.

Uhm, notevole, aveva a stento commentato, mentre tra sé e sé si domandava che fine avrebbe oggi fatto quel magnifico oziosamente dell’incipit manzoniano.

C’era già odore di almeno un paio di traduzioni e forse perfino della cessione dei diritti d’autore per un film che si auspicava, se non proprio cult, di larga visione e amplissimo successo.

Carlo non solo non amava per niente la scrittura femminile, ma rifuggiva questo genere di fenomeno da baraccone come il diavolo l’acqua santa, eppure…

 

Lasciando aperto davanti a sé il volume, Professor Karajan solleva a questo punto gli occhi dalla pagina che ci sta leggendo e li fissa lentamente su di noi, con il tipico fare da vate, o meglio da direttore d’orchestra, cui deve appunto il suo soprannome.

Non so se lo sappia o ne vada fiero.

Fatto sta che a quasi nessuno tra i corsisti del suo rinomato Atelier di Scrittura Creativa verrebbe più di chiamarlo Giuseppe Sciuti, nome che ricorda sì quello di un liutaio ma suona mille volte meno epico e carismatico.

Stiamo seduti come sempre in cerchio attorno al vecchio tavolo di quercia, lustro delle migliaia di gomiti studenteschi che ci hanno preceduto nei decenni, ma ancora capace di permeare di tanto in tanto l’aula di un odore corposo e penetrante.

Mi fa pensare alle foreste d’oltreoceano e, per associazione, alla resina che goccia copiosa da certi pini della mia casa in campagna.

Di tanto in tanto sento perfino lo sfrigolio dei passi sulle foglie accartocciate in autunno, quando la natura esplode in quella fantasmagoria di bruni, rossi e gialli che può perfino arrivare a mozzarmi il respiro.

Ma non è ora di sperdermi in queste fantasie perché, dopo avere aleggiato un attimo sulle nostre teste, lo sguardo si posa proprio sopra di me, attraversandomi come una scossa elettrica.

Non posso farne a meno: quegli occhi di bragia mi incarnano l’essenza stessa dell’energia demoniaca, nel pieno senso della potenza creativa, più che di quella (o forse pure di quella) luciferina.

«Beh, potrebbe essere un incipit promettente» affermo, aspettando che Professor Karajan si sbilanci un po’, segnandoci una possibile via.

Non capisco cosa voglia: un commento, una rielaborazione, un giudizio elogiativo, uno negativo, oppure magari mi sta semplicemente invitando a proseguire la storia.

«Che intende con promettente?» rimanda, calcando appena la voce sull’aggettivo che ho scelto, con cautela.

È ironico o ci ho preso?

Mi vuole rimarcare la pochezza esegetica o si aspetta che vada avanti?

Ama la maieutica, Herr Professor, ma la sa pure tradurre in tormento…

«Si offre ad una pluralità di approcci…» rilancio, senza espormi troppo.

«La pensa così anche lei, signorina Teresa?»

Gli piace darci del lei, è una specie di vezzo che ora riesce a gettarmi nel più pieno sgomento, ora mi dà un’insolita percezione di importanza.

Teresa è già pronta. Non è una saputa, tuttavia ha spesso un piglio sicuro che mi riesce irritante, malgrado non paia risulti sgradito al Professor.

Con il sorriso con cui è abituata ad accattivarselo, risponde perciò subito disinvolta: «Sì, lascia aperti più fronti. Io ad esempio indagherei sul motivo per cui Carlo non riesce a sottrarsi ai diktat della redattrice.»

«Io invece sul tema della scrittura femminile, una categorizzazione distorta, di cui abbiamo più volte discusso», interviene, approfittando della prima pausa utile, Fiammetta, autentico nome parlante e combattente del gruppo.

«E lei, Francesco?»

L’interpellato esita, quasi la domanda lo stia strappando al suo abituale universo incantato, in cui trova il più ampio e confortevole dei rifugi.

Ḕ di certo lui il più idealista e sognatore.

Lo rivela anche nell’abbigliamento, soggetto ai  suoi umori piuttosto che al ritmo delle stagioni.

Oggi, spiega, si sente rosso-passione ed eccolo pronto a darle voce: «Amore, che altro? L’amore che nascerà tra i due, la scrittrice minorenne e il protagonista, che senza volerlo se ne sentirà attratto. Oppure quello della libraia, che ospita la presentazione, per il suo lavoro, tra mille difficoltà e angustie economiche. Oppure ancora il protagonista potrebbe ritrovare, nello sguardo della giovanissima autrice, quello della sua ex, che lui ama ancora ma ha perduto…»

«Ne potrebbe venir fuori un testo banale o, peggio, macchinoso.» lo interrompe Isabella, senza tante cerimonie. «Troverei molto più intrigante un sottile rapporto psicologico tra i due. Lui potrebbe volerla demolire e lei essere invece capace di affascinarlo e conquistarlo alla sua opera.»

«Perché non affrontare allora il tema dell’attuale mercificazione culturale?» insinua a sua volta Tommaso che, da quando ha spedito il suo manoscritto in giro e collezionato una serie impressionante di rifiuti, sente molto forte la questione.

Una batosta che avrebbe potuto demolire qualunque tempra, ma non la sua, visto che sta proseguendo imperterrito, nella convinzione che prima o poi ci sarà un tempo per lui e la sua prosa problematica e complessa. «L’allusione all’impiego degli avverbi mi pare assolutamente stimolante e significativa.» aggiunge a corroborare la sua tesi e forse anche il suo stile, ricco com’è di subordinate, incidentali e altre articolate simmetrie sintattiche.

Nicoletta si limita ad annuire convinta, giocherellando con la penna sulla sua inseparabile moleskine.

Ad ogni modo il dado è ormai tratto e dibattiamo a lungo.

Com’è suo costume, Professor Karajan ha saputo ben giocare le proprie carte e la lezione si trasforma in un’irripetibile occasione di confronto e riflessione sul mondo della scrittura.

«Bene», conclude infine, richiudendo con un colpo secco il  suo volume. «Ogni percorso andrà realizzato in 5000 battute, spazi inclusi.

A martedì prossimo, signori.»

Satolli di scenari e parole, lasciamo l’aula nell’eco degli ultimi commenti che si vanno man mano smorzando.

Come ogni altra volta, ciascuno ha scelto il proprio universo narrativo e certo martedì prossimo ci divertiremo a commentare i successivi sviluppi.

A me viene anzi subito in mente che…

(illustrazione di Franco Blandino)