I sogni regali di Monza

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GIANCARLO BARONI

Il Duomo di Monza è nato da un sogno regale. Una leggenda racconta che Teodolinda, regina dei Longobardi, sognò che lo Spirito Santo, nelle sembianze di una colomba, le avrebbe indicato il luogo dove costruire una chiesa dedicata a san Giovanni Battista. Su quella antica chiesa, che risale alla fine del VI secolo, sorse a partire del 1300 l’attuale cattedrale; Matteo da Campione, morto nel 1396, ne completò la facciata gotica.

Sulle  pareti di una cappella absidale un vasto ciclo pittorico, cinquecento metri quadrati suddivisi in quarantacinque quadri e in cinque registri sovrapposti, raffigura la vita della regina. Il racconto per immagini inizia con l’incontro fra il re longobardo Autari e la cattolica Teodolinda, figlia del duca dei Bavari; prosegue con le loro nozze nel 589, la morte dello sposo forse per avvelenamento, il nuovo matrimonio con Agilulfo, duca di Torino, che nel frattempo si era convertito al cattolicesimo, la scomparsa del secondo marito; e si conclude con la morte di Teodolinda nel 627 circa.

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Nell’ultima scena del quarto registro e in quelle successive del quinto si narrano e vengono illustrati il sogno di Teodolinda, la partenza del corteo della regina, l’apparizione della colomba, la fondazione del duomo, le donazioni della regina, del figlio Adaloaldo e di Gregorio Magno. Queste donazioni, che si arricchirono ulteriormente nel tempo, formarono un inestimabile tesoro di arte e di oreficeria altomedioevale oggi custodito nel Museo del Duomo. Ne fanno parte capolavori come il Dittico di Stilicone, la Croce di Agilulfo e la Chioccia con sette pulcini.

Il ciclo pittorico di Teodolinda, che un restauro cominciato nel 2009 e terminato alcuni anni dopo ha riportato per quanto possibile all’antico splendore, fu dipinto verso la metà del Quattrocento dalla bottega lombarda degli Zavattari. In una scena, un’iscrizione in latino orgogliosamente dice: “Osserva, tu che passi, come i volti appaiano vivi / e quasi respirino, e come i gesti corrispondano in tutto alle parole. / Questa cappella è stata decorata dagli Zavattari…”. Le centinaia di personaggi hanno vistosi copricapi ed elaborate acconciature, vestono abiti sfarzosi, partecipano a feste, banchetti, battute di caccia, cavalcano destrieri dagli eleganti paramenti e bardature, sono immersi in ambienti aristocratici  tipici di una corte quattrocentesca contemporanea sia agli Zavattari sia ai Visconti che si proclamavano continuatori ed eredi dei sovrani longobardi.

Nell’altare della cappella di Teodolinda viene custodita la Corona Ferrea, formata da sei placche rettangolari di oro, gemme e smalti vitrei, tenute unite, nella parte interna del diadema, da un cerchietto di metallo che si crede ricavato da un chiodo usato per la crocifissione di Cristo e che Elena, madre di Costantino, si dice donò al figlio. La Corona, allo stesso tempo reliquia cristiana e simbolo di regalità, attribuiva un enorme prestigio a chi la possedeva e servì nei secoli per incoronare gli imperatori Carlo Magno, Federico Barbarossa, Carlo V d’Asburgo e Napoleone.

L’altro  sogno regale di Monza è la sua Reggia (composta dalla Villa Reale, dal Giardino e dal Parco) che si confronta senza sfigurare con quelle più rinomate di Versailles, Schonbrunn e Caserta. Il Giardino, creato dagli Asburgo, venne poi inglobato, per volontà francese, all’interno di uno dei Parchi più grandi d’Europa, capace addirittura di contenere, dal 1922, l’Autodromo.

La Villa fu costruita in soli tre anni (1777-1780) su progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini, lo stesso del Teatro alla Scala milanese. Volle realizzare questo sogno principesco l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria la quale  finanziò i costosissimi lavori. Con Ferdinando fu residenza arciducale, con Eugenio di Beauharnais divenne vicereale e con i Savoia infine reale. Poco distante, dove l’anarchico Gaetano Bresci uccise nel 1900  re Umberto I, sorse nel 1910 la Cappella espiatoria. Dopo la morte del re, la Villa  subì da parte dei Savoia una specie di condanna all’oblio e di damnatio memoriae: venne chiusa, svuotata degli arredi, abbandonata e dimenticata. Negli anni Venti si tennero comunque qui le Biennali delle arti decorative; i consistenti restauri del nuovo millennio ci stanno finalmente restituendo questa meraviglia a lungo trascurata.

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Il sogno di Teodolinda
Sogno  una colomba
posarsi su un prato, ecco
spunta la basilica
dove sono sepolta, da qui

rivedo la mia vita
scorrere su un affresco:  le nozze
i mariti il figlio la corona regale. Sogno
non mi abbandonare.

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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.

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