DE SICILIENSIBUS LIBIDINIBUS*

06-08-gabriella-vergari-capriccio-siciliano

FRANCO RUSSO
Inizio con una confessione: sono un aristocratico e un manicheo e non sono mai riuscito a considerarli dei difetti; al contrario mi paiono virtù. Così, per tutta la vita, fedele al precetto stoico/epicureo/scettico, mi sono astenuto dal formulare giudizi morali e/o di merito ma ho sempre diviso il mondo in due. Tra queste divisioni mi preme segnalare, in questa sede, quella tra chi ha frequentato il liceo classico e chi no. I primi, qualunque cosa facciano, dicano, scrivano o cucinino, sono portatori sani di duemilacinquecento anni di storia, di cultura, di lingua, di tradizione e la cosa viene, inevitabilmente, fuori. Così, anche se l’età anagrafica non lo denuncia, il vero e puro “liceale” finisce per rivelare sapienza, cultura, acutezza d’ingegno, spirito e brillantezza  tali per cui ha venti o trenta o cinquant’anni ma  la saggezza e l’esperienza dei duemila.

A questo pensavo mentre leggevo l’impareggiabile Capriccio siciliano di Gabriella Vergari, Edizioni Carthago 2018. Un viaggio, un volo su tutta la Sicilia con puntate di un giorno o due che racconta vicende esperimentate in anni, ma assistito e padrinato da migliaia di anni e decine di personaggi.  Tuffi in mare, ascensioni in montagna, grotte, borghi, uomini e donne, nobiltà e miseria, malinconia e fierezza. Come può uno scoglio arginare il mare/ anche se non voglio torno già a volare / le distese azzurre e le verdi terre/ le discese ardite e le risalite/ su nel cielo aperto e poi giù il deserto e poi ancora in alto…  già, mentre leggevo mi risuonava in mente questo Lucio Battisti.

La Vergari/Dante ci accompagna in un meraviglioso viaggio nello spazio e nel tempo e lo fa essendo, a sua volta, accompagnata ed assistita da vari Virgilio, Archimede, Capuana, Federico II, Verga, Pirandello, Sciascia. In quale altro luogo puoi attraversare duemila anni di storia in simile compagnia?

Il Capriccio evoca, per confessione dell’Autrice stessa, il componimento musicale ma la Vergari aggiunge alla musica i colori del pittore, i saperi degli antichi, i sapori della terra e del mare, le ingenuità e le malizie di storielle e storie che diventano Storia. Il tutto cucinato con impareggiabile maestria nei volteggi tra aggettivi, sostantivi e verbi

Terminata la lettura mi è venuta voglia di raccoglier le stanche membra, di raggiungere la Sicilia e di ripercorrere, capitolo per capitolo, il viaggio della Vergari, voglio vedere, ascoltare, annusare, toccare e assaporare rileggendo i capricci con la soddisfazione dei cinque sensi. Può essere che, se gli dei invidiosi non si opporranno, lo faccia. E, rivendicando fin da ora i diritti d’autore, proporrei all’assessore alla cultura ed al turismo (ci sarà?) della Regione Sicilia di trasformare i capricci, con l’adozione di corredo fotografico, cartografico e magari gastronomico, in una Guida alla Sicilia minore. Minore?

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* La traduzione è assolutamente arbitraria ma, se non avessi fatto il classico, non potrei dire che ‘capriccio’ è conio linguistico basso medievale assente nel latino.
La prima voce attestata è ‘cap oriccio’ del ‘200 da riconnettersi forse al latino h orror, usato da Seneca, ma nel senso di ‘raccapriccio’. Alcuni altri connettono ‘capriccio’ a ‘capro’ stante la natura saturnina della bestia, da cui il verbo ‘caprezare’ nel senso di ‘saltellare’ e poi di ‘incapricciarsi’. In greco avrei potuto giocare con il termine μανία. In senso traslato ‘capriccio’ mi avrebbe fatto venire in mente  anche il latino iocum. Ma giocare con libido mi è sembrato più innocentemente malizioso.