Pezzi mancanti

Considerazioni su foto di famiglia

Bartolomeo Pio e Luigia Stella il giorno del matrimonio

Bartolomeo Pio e Luigia Stella il giorno del matrimonio, il 5 aprile 1926

SILVIA PIO

Mettere insieme la storia di famiglia significa raccogliere e sistemare come in un puzzle le parole di chi c’era, chi ricorda e chi ha sentito dire. Man mano che i protagonisti se ne vanno si perdono episodi e stati d’animo che sarà impossibile recuperare.

Nonostante abbiamo l’intero albero genealogico a partire dal 1595, non sappiamo perché i nonni Bartolomeo Pio e Luigia Stella abbiano deciso di sposarsi né come abbiano passato i primi anni insieme. Loro ne hanno parlato poco.

Forse si sono conosciuti attraverso un bacialè (sensale di matrimoni) e sembra che a Luigia, detta Vigina, piacesse un altro ma che i genitori non glielo avessero lasciato sposare. Bartolomeo, detto Berto, era di sicuro un buon partito. Vigina l’aveva già notato, anni prima; da Neviglie, suo paese, andava al mercato a Mango e sulla strada (quella da Neviglie si va a incrociare con quella che dalla cascina dei Pio porta a Mango concentrico) aveva visto quel giovane dall’andatura decisa – andatura che non perse mai – e sembra che abbia pensato che uno così l’avrebbe sposato volentieri.

La sera prima delle nozze, Berto era andato a trovare Vigina e le aveva chiesto di uscire con lui davanti a casa; lei non aveva voluto. Non si sono mai visti né parlati da soli prima di sposarsi.

Come la maggior parte delle persone di campagna di quel tempo, erano entrambi poco scolarizzati: Vigina forse era andata a scuola fino alla seconda elementare, lavorando in campagna già da piccola e portando le pecore al pascolo la mattina presto. Berto aveva frequentato la quarta, insieme al futuro suocero di una delle figlie: è da lui che abbiamo saputo che era sveglio e lesto di parola. Il maestro o la maestra gli aveva chiesto qual era la distanza tra Mango e San Donato e Berto, che l’aveva percorsa chissà quante volte, a piedi naturalmente, aveva risposto: «da qua a San Donato in un’ora si va desgenato» (disinvolto, senza problemi).

Lui sapeva scrivere bene, lo dimostrò quando ricoprì cariche pubbliche nella Coldiretti e forse anche nella Democrazia Cristiana, fino a diventare sindaco di Mango e poi capogruppo degli Alpini. Aveva anche ricevuto il titolo di cavaliere ufficiale, ma di quello, per modestia, non voleva si parlasse.

“Ragazzo del 1900”, era partito per la guerra ma al fronte non era mai arrivato. Nel breve periodo da soldato aveva aiutato gli altri con la corrispondenza: molti erano analfabeti e lui leggeva le lettere da casa, probabilmente fatte scrivere da un intermediario, e scriveva le risposte.

Da anziani, Berto e Vigina, finalmente liberi da incombenze, occupavano leggendo moltissimo il tempo che la vita concedeva nella loro lunga vecchiaia. Berto è morto a 90 anni, Vigina a più di cento! Nata a dicembre, i parenti vollero fare la festa di compleanno qualche mese prima, con una temperatura più mite. Lei andò alla messa e al ristorante con le sue gambe e nella piena facoltà mentale. Arrivò al compleanno e al successivo Natale.

Vigina e Berto negli anni '80

Vigina e Berto negli anni ’80

Berto era capace in tutto, nei lavori di campagna e nelle mediazioni; lo chiamavano quando c’era da misurare il fieno o il grano dei mezzadri o da redimere una controversia, ma anche quando il bestiame era malato e persino quando erano malate le persone. Sembra che lui capisse sempre dove stava il problema. Dobbiamo ricordare che allora non esisteva un servizio sanitario gratuito e prima di far venire il medico a pagamento si cercava di risolvere i malanni come si poteva. E a volte chiamare il medico non serviva, come vedremo in seguito.

Anche Vigina aveva molte capacità: oltre a fare tutti i lavori di campagna, le piaceva tenere due pecore per fare il formaggio, le sue favolose tume, era brava a cucinare e faceva la pasta in casa ogni giorno, sapeva cucire e fare la maglia, e vestiva i bambini con abiti confezionati da lei, di solito la sera quando tutti dormivano, facendo dondolare allo stesso tempo la culla dell’ultimo nato. La sera a volte lavava anche la biancheria personale perché i cambi non c’erano e i figli dovevano sempre essere puliti. Raccontava che una volta un paio di calzini messi ad asciugare sul tubo della stufa si erano bruciati e lei li aveva rifatti ai ferri durante la notte.

Hanno avuto 11 figli. Era facile ricordare gli anni di nascita perché si alternavano: i figli nascevano un anno sì e un anno no. Uno di questi nacque morto, era una bambina. Si partoriva in casa e la levatrice del paese aveva il vizio di bere; ma forse questo non c’entrava con la morte della bambina, che era podalica e probabilmente si strozzò col cordone ombelicale.

La prima venne chiamata Cecilia, come la nonna materna. Appena un poco cresciuta, aveva aiutato la famiglia, in casa, con i fratelli e in campagna. I fratelli dicono di lei: non c’era cosa che non sapesse fare – che è un po’ la descrizione di tutti loro. Per i più piccoli è stata una mamma, sostituendosi spesso a Vigina che era troppo impegnata. Non si ammalava mai, neppure un’influenza, era forte e robusta.

Ma a 25 anni si ammalò. Il professor Carusi di Alba, presso il quale una sorella di Cecilia era a servizio, venne al funerale della zia Eugenia, sorella di Berto, e in quell’occasione visitò Cecilia e diagnosticò la meningite. Disse di ricoverarla subito all’ospedale di Alba e dopo quindici giorni, come si faceva a quei tempi, la mandarono a morire a casa. Telefonarono all’unico recapito conosciuto, Giuseppe Pio, fratello di Berto, che abitava e aveva negozio a Bra. Zio Pinotu partì quindi per andare a Mango. Possiamo solo immaginare quanto tempo ci volesse allora per spostarsi: da Bra a Mango sono più di 30 chilometri e “desgenati” non si può andare. Forse ha preso il treno fino ad Alba e poi fino Neive, di là forse ha proseguito a piedi. O forse aveva l’automobile? Non c’è più nessuno che ce lo può dire.

Teresa, la sorella che era a servizio dal medico, ricorda che Cecilia venne portata a casa in taxi insieme al padre, che era riuscito a sistemare una specie di materasso sulla vettura e durante il viaggio aveva riparato la figlia dal sole con il cappello.

Vigina, intanto, senza sapere nulla, aveva raggiunto l’ospedale, anche lei con chissà quali mezzi; era arrivata nel camerone dove Cecilia era ricoverata e aveva trovato il letto vuoto. Avvertita della situazione, era ripartita per Mango e ad un certo punto del tragitto aveva incontrato il cognato Pinotu.

Cecilia era stata sistemata in paese nella casa delle zie nubili Genia e Teresa Pio, sorelle di Berto, nella camera che occupavano i nipoti nel periodo scolastico, quando nevicava troppo per tornare in cascina. Le campane avevano iniziato a suonare “l’agonia” per avvertire il paese che qualcuno stava morendo, dando il via alla processione delle visite. Le sorelle e i fratelli erano stati avvertiti; Teresa aveva preso il treno fino a Neive, poi a piedi era arrivata a Mango alle 4 del pomeriggio, proprio mentre suonavano le campane.

Carlo aveva scambiato il vicino di casa per il prete ed era tornato di corsa in cascina dicendo che a Cecilia stavano dando l’olio santo. Giovanna dice che fino a quel momento non si erano resi conto di quanto fosse grave. Maria racconta che aveva dovuto convincere Piera, recalcitrante e impaurita, ad andare a salutare per l’ultima volta la primogenita. Poi erano tornati tutti a casa e i piccoli si erano sistemati nel letto dei genitori, avevano acceso una candela e iniziato a pregare. Ad un certo punto la candela si era spenta e avevano pensato che Cecilia fosse morta in quel momento. È morta alle 4 di notte. Venne composta e circondata di fiori; qualcuno aveva scattato delle foto (si usava fotografare i morti) ma gli era stato impedito di darle alla nonna, quindi in famiglia non le abbiamo mai viste.

Durante l’orazione funebre al cimitero i professori di Cecilia, che come i fratelli più grandi aveva dato l’esame di avviamento privatamente, fecero il suo elogio funebre dicendo che non solo era brava nei lavori domestici e agricoli, ma era intelligente e studiosa.

cecilia

Raccolgo queste notizie adesso, a distanza di 66 anni dalla morte, perché ho iniziato a fare domande ai superstiti. I fratelli e le sorelle (ne rimangono cinque) dicono di ricordarla spesso, escluso Renzo il più piccolo, che alla sua morte aveva meno di quattro anni.

Non ho mai chiesto ai nonni, per pudore e per evitare di portare a galla la sofferenza, come quel fotografo che non ha mai dato alla famiglia le foto di Cecilia morta: non abbiamo mai visto quelle foto e non abbiamo mai saputo i dettagli da loro.

Cecilia è stata di sicuro molto vicina a mio padre, di due anni più giovane, e alla sorella Teresa che, proprio in quel periodo, doveva affrontare una situazione difficile. Ma questa è un’altra storia.

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