Artautologie

ART

LORENZO BARBERIS

Artautologie
Introduzione per un catalogo ragionato dell’artautologia

“Bisogna leggere gli antichi come fossero i moderni, e i moderni come fossero gli antichi”.

Questa fondamentale verità interpretativa di Calvino è stata qui tenuta presente nel riscoprire una corrente trasversale all’intera storia dell’arte occidentale, la corrente perduta dell’artautologia.
Per l’estetismo, “L’art pour l’art” è un motto irrinunciabile, già di per sé tautologico.
Citando i filosofi medioevali cari ad Eco nel “Nome della Rosa”, L’Arte è l’arte è l’arte.
Qui già ci avviciniamo al concetto che vogliamo introdurre: ma c’è bisogno di una sua declinazione concreta: anche per distinguerlo dall’Arte Tautologica di un Kossuth.
Artautologia è dunque quella per cui il titolo di un’opera d’arte è già contenuta, e implicita, nel nome dell’autore. Prendiamo, a titolo d’esempio, quella che possiamo considerare il capostipite italiano di tale tendenza.
In un dipinto minore e finora sconosciuto attribuibile al primo grande autore dell’arte italiana, CIMABUE, notiamo un bovino che pascola placidamente sulla sommità di una montagna.
Molti hanno ritenuto trattarsi dello sfondo di un’opera del maestro, isolata da una veduta più ampia di arte religiosa, e comunque sorprendente nel suo andare verso un realismo ormai quasi giottesco. Tuttavia, molto semplicemente, CIMABUE ha voluto fondare con tale dipinto il genere segreto dell’artautologica: troviamo infatti che il dipinto effigia una CIMA e un BUE, da cui:
CIMABUE, “CIMA, BUE”
Che è l’opera che apre la presente mostra, in una sala isolata che le è dedicata per la sua antichità e il suo rilievo.
Alcune correnti critiche, in letteratura, hanno pensato di parlare di ONE MAN OPERA:
ogni autore si identificherebbe con una e una sola grande opera. Una sintesi mirabile, che ha il merito di consentire una facile memorizzazione degli autori indicati, evitando di disperdere il loro studio in sterili rivoli minori. Ecco che quindi Dante è la Commedia, Boccaccio il Decameron, Petrarca il Canzoniere, Ariosto il Furioso, Tasso la Gerusalemme, Voltaire il Candide, Manzoni i Promessi, e così via fino a Svevo e la Coscienza di Zeno.
Con l’Artautologia quale grande corrente trasversale dell’arte occidentale, invece, si giungerebbe a una sintesi ancor più vantaggiosa: ricordando il nome dell’autore, si ricorderebbe immediatamente anche l’opera d’arte più significativa da lui realizzata.
E’ stata tuttavia esclusa da questa esposizione un tipo di opera: l’autoritratto.
Esso è certo parte dell’arte tautologica, per cui un autoritratto di Caravaggio, ad esempio, è, indubbiamente identificabile con
CARAVAGGIO, “CARAVAGGIO”.
Ma questo è un po’ il grado zero dell’Artautologica, come se dicessimo che, tra le moltiplicazioni notevoli, si possano inserire quelle dei numeri moltiplicati per uno, che rimangono sé stessi.
Indubbiamente vero, ma poco sorprendente.
Un dubbio viene con le opere in cui ad essere effigiato non è lo stesso artista, ma un suo omonimo.
Ad esempio, se l’impressionista Pizarro effigia il grande conquistatore spagnolo, abbiamo:
PIZARRO, “PIZARRO”
Ma è opera tautologica notevole? La critica del settore è discorde. La posizione più oltranzista è per il no; altri, invece, sono possibilisti. L’attuale posizione conciliatoria è quella di affermare che l’opera è valida, come arte tautologica, se non vi è un rapporto di parentela. Altrimenti il celeberrimo quadro della Madre di Whistler diverrebbe facilmente artautologia come
WHISTLER, “WHISTLER”.
E così con tutti i ritratti di parenti, da Van Gogh a similari. Idem valga se l’omonimia è puramente casuale: per cui un dipinto di un anonimo signor Degas, da parte di Degas stesso, non sarebbe artautologia notevole. Il dibattito è tuttavia aperto: ad esempio, il problema si pone quando artista e personaggio ritratto sono entrambi notevoli. Ad esempio: se Piero Manzoni, da par suo, ritraesse l’avo Alessandro Manzoni, si avrebbe artautologia o semplice ritratto famigliare?
Per ora, si è valutato, per prudenza, di escludere.
Passiamo quindi alle opere più significative, che si riducono a una rosa ristretta.
Manet effigia una corsa campestre. Tutti i partecipanti, colti con mirabile studio della luce impressionistico, corrono. Uno solo resta fermo, in primissimo piano. Latinamente, quindi,”Manet”. Da cui:
MANET, “MANET”
In modo simile, risolve il quadro il quasi omonimo MONET, altro grande impressionista, mostra una scena simile. In un parco, una madre rimprovera, ammonisce il figlioletto, il quale ha appena distrutto, col suo triciclo, uno splendido cespuglio di rose. Ammonisce, quindi, latinamente, “MONET”. Da cui
MONET, “MONET”.
Dubbia è un’altro dipinto dell’autore, un piccolo quadro ove vediamo, su un drappo di velluto rosso, una ghinea d’argento che sporge, in minima parte, fuori dal dipinto. Alcuni ritengono che il soldo sia così incompleto, da cui “monet”. Ma non funzionando nell’originale francese (viceversa, il latino è universale) il dubbio permane.
L’esposizione dell’Ottocento è chiusa da un dipinto di un pittore monregalese, Quadrone, nuova eccezione alle regole fissate. Infatti, ogni dipinto di grandi dimensioni del pittore (e molti ne ha fatti) si presta ad essere un artautologia:
QUADRONE, “QUADRONE”.
Chiudiamo l’Ottocento, e passiamo al XX secolo.
La sala si apre con l’incredibile eccezione alla regola dell’autoritratto che è un autoritratto cubista di Picasso. Infatti, qui il grande artista spagnolo si effigia con didascalia “il più grande pittore dei tempi moderni”.
Un asso delle immagini, dunque, un Pic Asso. Da cui:
PICASSO, “PIC ASSO”.
Molte opere anonime delle grandi avanguardie sono presenti in tale galleria contemporanea.
Un anonimo dipinto di un discepolo di Picasso effigia una danzatrice in un night club:
CUBISTA, “CUBISTA”
In Italia, invece, troviamo un emulo di Marinetti raffigurare l’uccisione di un turista, simbolo della distruzione dell’arte passatista e del suo sguardo antiquato, “bruciare i musei”, “cementificare Venezia” insomma:
FUTURISTA, “FU-TURISTA”
Sempre italiano, un dipinto della scuola di De Chirico, non identificabile, ove è raffigurata una figura straniante, sospesa nel vuoto, composta solo dalla metà del corpo, tagliata verticalmente in due.
METAFISICO, “META’ FISICO”
Chiusa la sala del Novecento, coi suoi quattro quadri, anche qui (uno per parete), troviamo la sala finale, dedicata al terzo millennio. Da un lato, un monitor mostra una raccolta delle operazioni artistiche televisive di un noto critico ed esteta dannunziano, che ha sorpassato la sua natura di storico d’arte per divenire artista egli stesso, malgré soi.
SGARBI, “SGARBI”
Dall’altra parte, un’opera assolutamente anonima, impossibile da identificare per stile o scuola.
In essa (che è anche, forse, un autoritratto) un uomo, tronfio, come Napoleone, strappa la corona dalle mani del prelato che sta per incoronarlo e se la pone da solo sulla testa. L’opera, dunque, che figura anche sulla copertina di questo catalogo, non può avere che un titolo e un significato.
AUTORE, “AUTO-RE”
E ci sembra, in ogni caso, la migliore sintesi possibile del significato stesso dell’artautologia.

(Immagine di Lorenzo Barberis)