L’intelligenza della risata

Intervista a Franca Valeri

(da Wikipedia)

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CLAUDIO SOTTOCORNOLA

Entriamo nel suo camerino al Teatro Nazionale di Milano, e lì la sorprendiamo, un po’ imbarazzata, mentre cerca di orientarsi fra costumi di scena, scarpe sparse quasi dovunque e Roro, un cagnetto che sguscia fuori da tutti gli angoli. Il nostro incontro con Franca Valeri, che sta riscuotendo grande successo in tutta Italia con «Fior di pisello», un classico della comicità di Bourdet, non poteva avvenire in un luogo migliore del teatro, dove l’attrice ha praticamente vissuto la sua vita.
Col suo caschetto castano, gli occhiali tondi da intellettuale e una mise molto sobria, sembra ormai rassegnata a concederci l’intervista, anche se i suoi compagni di scena la reclamano per una foto in abiti da palcoscenico. E metodica, procede nel suo discorrere in modo quasi sillogistico, a dimostrare che la sua comicità è in realtà un umorismo che nasce da lunghe riflessioni su ciò che le sta intorno, borghesia milanese in testa. Ma forse anche dalla sua femminilità non convenzionale, che esige intelligenza e arguzia per affermarsi.
Impostasi sin dal 1951 con il «Teatro dei Gobbi», accanto a lei l’indimenticabile Vittorio Caprioli che fu suo marito, ha lavorato con i migliori registi della commedia all’italiana. Passerà alla storia come la «signorina snob», il personaggio di maggior successo da lei creato insieme al suo antitetico, la «signora Cecioni». E a dimostrazione che è l’intelligenza a sostenere il tutto, si pensi alla sua passione per la lirica, nel cui mondo ha lavorato come regista, e per il giornalismo, dove è firma richiestissima. Una Franca Valeri quindi, serissima, e proprio per questo implacabilmente ironica e grande suscitatrice della risata.

Signora Valeri, il carattere della «signorina snob», che lei ha creato, è uno fra i più riusciti della commedia all’italiana. Che cosa rappresenta per lei?
«È un’espressione del mio retroterra milanese, il primo personaggio, quello che mi ha dato il destro per il successo, ma forse il più eterno perché lo snob esisterà sempre. Altro personaggio molto popolare è quello della “signora Cecioni”, di tutt’altra collocazione etnica. Sono tipi che io creo attraverso i miei ricordi, le mie spiate alla vita degli altri».

Una grande qualità e un grande difetto di Franca Valeri.
«Una grande qualità penso che sia il mio equilibrio: sono una persona molto coerente. Un grande difetto è la mia eccessiva incertezza nel giudicare gli altri. Non ho mai il coraggio di dare un giudizio negativo».

E provando invece a dare un giudizio sulla società italiana degli anni ’90?
«È un giudizio vagamente desolante, in quanto non ci sono quelle connotazioni precise che, sia nel negativo che nel positivo, erano molto utili all’umorista e comunque al cronista di un’epoca. È un’epoca molto impersonale, perché le sollecitazioni sono tante e il modo di digerirle è molto superficiale».

Lei ha parlato anche del suo essere milanese: che cosa fa un vero milanese?
«Mi riferisco a quanto detto prima: il lombardo ha un istintivo senso dell’equilibrio di fronte alla vita, e forse un senso abbastanza preciso dei suoi contorni e dei suoi limiti. Forse non è sognatore, non è artista come altri, però ha molta precisione nel giudicare se stesso. Ma soprattutto aspira al benessere, e questo è importante [ride divertita]».

A che cosa serve l’umorismo che ha?
«Prima di tutto serve a vivere meglio, perché il potere di tramutare la realtà in qualche cosa di visibile dal di fuori su cui si può anche sorridere è molto importante per noi stessi. Poi è utile agli altri, perché in fondo l’umorismo è molto consolatore. Io raccolgo sempre delle espressioni di gratitudine dagli ammiratori e vedo che il pubblico ha per chi lo fa ridere più gratitudine che ammirazione».

Lei ha curato la regia di opere liriche, ed è anche Presidente dell’Associazione «Mattia Battistini» che premia giovani talenti del mondo della lirica. Che cosa ama nel melodramma un comico di professione?
«La musica è veramente la sintesi di un fatto spirituale. L’opera poi, che si serve della musica per rappresentare delle vicende, mi è sempre apparsa come lo spettacolo più surreale e nello stesso tempo più perfetto. Io ho amato l’opera fin da quando ero piccola, anzi, faccio il teatro proprio perché ho visto le opere».

Quali sono gli aspetti della sua vita che le danno più serenità?
«Mah, io continuo nel mio cammino, e sono talvolta infelice, talvolta felice, talvolta soddisfatta, talvolta meno. Penso che nella vita non ci sia nulla di assoluto, fuorché delle giornate che si accumulano. E io mi sono sempre accontentata delle gioie quotidiane che sono: stare con il proprio cane, vedere una bella cosa, ascoltare la radio, mangiare un dolce… Poi vengono gli altri problemi, spirituali, interiori, intellettuali…».

Il fatto di non essere una vamp le è stato di aiuto o di ostacolo?
«Di aiuto, perché garantisce la possibilità di durare, e soprattutto dà la sensazione piacevole di autocrearsi, e non di essere oggetto di una creazione. Poi anche l’intelligenza aiuta, e alla fine è preferibile a un altro tipo di carriera».

Ha qualche sogno nel cassetto?
«Nessuno. Anzi, appena ho un’idea tento di realizzarla, e se non riesce, vuol dire che non si poteva fare».

Pubblicato per la prima volta su Libertà, 6 maggio 1991. Oggi in: Claudio Sottocornola, Varietà. Taccuino giornalistico: interviste, ritratti, recensioni, approfondimenti, ricerche su costume, società e spettacolo nell’Italia fra gli anni ’80 e ’90, Marna editore, 2016. Margutte ne parla QUI)