Diario di una giovinezza, tredicesima puntata

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FELICE BACCHIARELLO

Ricordi che fanno tremare

Non posso seguire un ordine cronologico degli avvenimenti, perché nella mia testa, rivivendo con il pensiero quei giorni, c’è un turbine inverosimile difatti, di sacrifici, di pericoli, di ansie che non posso coordinare e mi fanno ancora tremare al solo pensarli, parendomi impossibile che certi fatti siano effettivamente avvenuti o se siano solamente un incubo, un triste sogno. Eppure è realtà, realtà vissuta più di quanto ogni stesso protagonista possa ancora rievocare.
Mi limito pertanto a ricordare qualche episodio che più facilmente mi si affaccia alla memoria, la cui impressione ha inciso maggiormente sul mio spirito. Vedo sempre quella massa di sbandati affamati, sorpassarsi a vicenda nella speranza della salvezza, in una pianura sterminata, tutta bianca di neve, con un nevischio svolazzante a mulinello, alzato dalla continua tormenta, da un venticello sferzante che toglieva la vista costringendo a camminare a capo chino ore ed ore a rischio di perdere l’orizzonte allorquando ci si fosse rivolti con la schiena alla direzione del vento, per vietare una ventata che toglieva il respiro e dava un tremendo capogiro.
Così intontiti, nulla era più facile che avviarsi senza pensare che altra era la direzione; avveniva che gruppi staccati, senza rendersene conto, viaggiavano per parecchio tempo in una direzione completamente opposta alla giusta, per l’aver perduto l’orientamento in un mulinello. Questo succedeva specialmente e spesso di notte.
Chi avesse approfittato del calduccio di una isba, nella quale, all’arrivo in un paese, si era rifugiato per riprendere un po’ di ristoro, per togliersi le scarpe e lenire un po’ le trafitture ai piedi doloranti per sopravvenente congelamento, ben difficilmente era in grado di rimettersele, per cui una buona parte si era ridotta a camminare senza scarpe, con i piedi avvolti in pezzi di coperte, all’uopo adattate, fasciatura che con il freddo diventava talmente dura da assumere la precisa forma del piede, mentre questo continuava sempre a gonfiare fino all’inverosimile.
La faccia bisognava avvolgerla pure in strisce di coperte poiché a volto scoperto sarebbe stato impossibile resistere, coprendo specialmente il naso, sensibilissimo al congelamento. Con tale fasciatura, che lasciava solo più liberi gli occhi ed un piccolo spazio alla bocca per la respirazione, avveniva che il vapore acqueo emanato nella respirazione a contatto con la temperatura esterna formava un blocco di ghiaccio sulla bocca stessa. Quale triste e ridicola visione di fantasmi, trascinantisi penosamente, supplicanti, vestiti in mille fogge, avvolti in coperte da capo ai piedi o in altri teli da tenda. Figure di veri cadaveri ambulanti da destare la compassione nel cuore più indurito.
Negli ultimi giorni, in cui il ritmo della marcia era notevolmente rallentato, causa che pochi erano coloro che non si trascinassero a stento perché ognuno aveva i piedi ridotti in una piaga spaventosa, in un paese i ragazzi atterriti dallo spettacolo veramente singolare ed incredibile, assolutamente nuovo, di tutti quei fantasmi circolanti per le loro strade, fosse solo per la curiosità corsero a tirare i cenci penzolanti da quelli più ridicolmente addobbati e camminanti a passo da nonagenario.
Quanta umiliazione dovevano subire i figli d’Italia! Quante mamme si sarebbero strappati i capelli o avrebbero maledetto il momento in cui generarono i loro figli se avessero avuto la sventura di vedere in quale stato essi fossero ridotti. Quante, se conoscessero quali sono stati gli ultimi istanti dei loro figli e quale la loro morte, non si darebbero più pace per tutti gli anni loro restanti! Buon per loro che il tutto è avvolto in una nube di mistero, sperando ognuna che un giorno il ‘suo’ tornerà.

Per dire quanto forte sia talvolta la volontà di vivere per un uomo in certi frangenti basti ricordare che vidi un soldato, con piedi e mani completamente congelati, già anneriti dalla cancrena, impossibilitato così oltre che di reggersi sulle gambe anche di portarsi alcunché di cibo alla bocca, per tre giorni seguire la colonna camminando sulle ginocchia, aiutandosi con i gomiti nei casi più difficili (e Dio solo sa con quali dolori quando le punte dei piedi fossero venute a contatto con il terreno). Ad ognuno che passava al suo fianco ripeteva la preghiera che durò per tre giorni: “aiutatemi per carità, non per me, ma almeno per quei due bimbi che mi attendono a casa”. Purtroppo la sua preghiera era vana perché in simili frangenti, in cui ognuno non può bastare a sé pur commiserando colui che ci supera nella sventura, nessuno, pur volendo, avrebbe potuto portargli un valido soccorso. Poi non lo vidi più, la cancrena nel congelamento sarà arrivata al ginocchio, il corpo, allora si sarà abbattuto sulla neve, sfinito dalla fame senza membra che lo sorreggessero, mentre la bocca ancora avrà cercato avidamente un po’ di neve per dissetare la sete causata dalla febbre.
E casi simili a questo erano frequenti! Alcuni talvolta, consci che per loro non esisteva più speranza di rivedere i loro cari, o se mai ciò fosse stato, troppo mutilati, chiedevano al passante, spinti dalla forza della disperazione, che togliesse loro la vita. Ma chi aveva il coraggio di obbedire! Poche ore ancora di sofferenza e poi la morte naturale esaudiva al voto di questi infelici ed arrivava per loro come una liberatrice.
Molti altri, invece, meno forniti di volontà o più consci dell’inutilità del sacrificio, al sopraggiungere dei primi segni di congelamento, all’arrivo in un paese si affidavano alle cure di una buona famiglia di russi che li ospitava e iviattendevano il loro destino.

Il Tedesco, invece, sapendo di essere odiato dall’intero popolo russo, sul quale aveva operato ogni sevizia e crudeltà, in simili frangenti preferiva togliersi la vita persuaso che non meritava gli fosse risparmiata in caso di cattura da parte dei Russi. Ad onor del vero devo dire che la popolazione russa, forse anche spinta dalla paura, in tutta questa triste odissea nostra si mostrò più che ospitale, degna della riconoscenza e, se non fosse per il suo aiuto, molti di noi certo non saremmo riusciti a porsi in salvo.
Povera gente anche quella, nei cui paesi ebbe a passare così triste e funesta la guerra! Nel rigore dell’inverno rigidissimo molta gente si trovò, come noi, vagante, senza tetto e senza viveri, per i facili e frequenti incendi nelle loro isbe, avvenendo che incendiandosi casualmente un’isba per l’opera del vento che sospingeva le fiamme da un tetto all’altro, coperto di paglia, bruciava un intero paese, tra il clamore, i pianti e la disperazione degli abitanti ridotti in mezzo alla strada, le donne con i bimbi al seno in piena notte a 30 – 40 gradi di freddo.
La guerra! È una cosa che è sempre avvenuta e purtroppo avverrà e che ognuno deve paventare con orrore. E, devono essere maledetti e disprezzati coloro che dicono che sia necessaria. Se fosse possibile raccogliere tutti costoro in un unico esercito e mandarli al macello che dichiarano necessario.

(Continua)

Nella foto: caduti in Russia (Wikipedia).

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