Gli animali nella poesia di Giovanni Pascoli

simeone

GIANCARLO BARONI

Saverio Simeone è biologo e insegnante di Scienze ed è anche un appassionato e attento  lettore di Pascoli. Il suo voluminoso libro Gli animali nella poesia di Giovanni Pascoli miscela perfettamente precisione scientifica con competenza poetica, biologia con poesia; l’autore conosce bene gli animali di cui il Pascoli parla: li elenca, li descrive, li abbina ai versi in cui vengono citati. Nelle liriche di Giovanni Pascoli (1855 – 1912), “gli animali spesso assumono un ruolo narrativo e sono protagonisti per evocare e creare suggestioni”. Con una scrittura sempre documentata e accurata e mai noiosa, il libro, come precisa lo stesso Simeone nella Presentazione, “descrive oltre 150 presenze faunistiche in 378 liriche, con i passi fondamentali delle poesie e una breve descrizione della biologia ed ecologia di ogni specie”.

Le creature alate sono gli animali decisamente più citati: “La presenza degli uccelli nella poesia pascoliana è veramente notevole”.  L’allodola, dalla voce melodiosa, ricorre frequentemente nei suoi versi (“L’allodola perduta nell’aurora / si spazia, e di lassù canta alla villa, / che un fil di fumo qua e là vapora”); altrettanto ricorrenti sono  la cinciallegra (“gli strilli d’una cincia che rissa”) e soprattutto la rondine (“Che voli di rondini intorno! / che gridi nell’aria serena!” e ancora “Ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero: cadde tra spini: / ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini”). Anche l’aquila, la regina dell’aria, compare in molti componimenti (“l’aquila è in alto: fulgida nel lume  / del sole: preda ha negli artigli: lente / ondeggiando cadono giù piume / sanguinolente”); spesso i falchi si lasciano trasportare dalle correnti volteggiando senza quasi muovere le ali (“In alto in alto sta sull’ali, e lento / scende pe’ cieli taciti un falcone”). Alla calandra, il cui canto assomiglia a quello dell’allodola, Pascoli dedica questi versi luminosi e sonori (“Galleggia in alto un cinguettìo canoro. / E’ la calandra, immobile nel sole / meridiano, come un punto d’oro”).  Il canto dell’usignolo  è “ricco e vario, molto sonoro e musicale” (“…Un canto senza posa   / correva ardendo lungo la distesa / del cielo azzurro…”), quello della capinera “è un corto e musicalissimo gorgheggio di potenza sempre crescente” (“…Solitaria / s’ode una capinera, / là, che canta…che canta”); i canti di diversi tipi di uccelli a volte si sovrappongono e si susseguono creando un’armonia musicale che Pascoli abilmente descrive affidandosi all’onomatopea (“E me segue un tac tac di capinere, / e me segue un tin tin di pettirossi, un zisteretetet di cincie, un rererere di cardellini…”).  Fanno la loro apparizione nei versi di Pascoli il merlo (“Tra i ginepri c’è un merlo che mi fischia”); il pettirosso, dalla macchia rossa che gli copre il petto, (“e il pettirosso: nelle siepi s’ode / il suo sottil tintinno come d’oro”);  e il passero (“Dietro spighe di tasso barbasso, / tra un rovo, onde un passero frulla”). Non mancano gli uccelli più domestici come il tacchino (“Là nelle stoppie dove singhiozzando / va la tacchina con l’altrui covata”) e la gallina (“Raspava una gallina sopra il ciglio / d’un fosso.  Po s’alzò, scosse la brina, / scodinzolando, con uno sbadiglio”).

Il bestiario lirico pascoliano comprende prevalentemente uccelli ma non solo. Pascoli parla di mucche, vitelli, tori, buoi (“Lasciano un po’ di rugumare, a lungo / mugliano i bovi, poi che il cielo imbianca”); di lupi (“Uomini, nella truce ora dei lupi, / pensate all’ombra del destino ignoto”) e di cani  (“Per vero, intorno, qualche cane sperso / urlava a lupo. Al colmo era la luna, / sola soletta in mezzo all’universo”); di gatti (“…Un gatto nero, un fosco / viso di sfinge, t’apre i suoi verdi occhi”); di pecore (“L’alba per la valle nera / sparpagliò le greggi bianche”) e di capre (“Bianche ai dirupi pendono le capre”); inevitabilmente di cavalli (“O cavallina, cavallina storna, / che portava colui che non ritorna”); di rospi, di raganelle (“…Nei campi / c’è un breve gre gre di ranelle”) e di rane (“udiva dalle rane dei fossati / un lungo interminabile poema”).

Nello zoo pascoliano scarseggiano i pesci ma abbondano gli insetti: “Gli insetti più citati dal Pascoli sono l’Ape, la Cicala, il Grillo, la Lucciola e la Formica”.  Ecco alcuni versi che li riguardano: “Stridono i bombi intorno ai fior d’acanto, / ronzano l’api intorno le verbene”; “La cicala friniva sugli ornelli. / Egli l’udiva, con la falce in pugno. / l’acqua veniva stridula a ruscelli”; “Pei nudi solchi trilla trilla il grillo / lucciole vanno per i solchi bruni”.

Saverio Simeone, Gli animali nella poesia di Giovanni Pascoli, Società editrice “Il Ponte Vecchio”, 2016.