La danza di Rudra

shiva-x-rudra

GABRIELLA VERGARI.

 Cloffete, cloppete, clocchete
Altro che fontana malata. Questo è un autentico acquazzone, con tanto di rimbombo di tuoni, lampi e saette a zigzagare nel cielo.
E io… mi trovo a casa, affascinata. La natura mi incanta.
Non riesco anzi a staccare gli occhi dalla finestra che, non più semplicemente rigata, viene ormai progressivamente tempestata dalle gocce fin quasi a oscurarsi.
Il mondo mi si sta letteralmente trasformando davanti.
Solo non so, se in una mirabile interpretazione visiva della società liquida o non piuttosto del sermone di un pastore luterano.
Non nutro invece dubbi sui modi: sta piovendo che Dio la manda.
I contorni delle cose nient’affatto sfumati come in un acquerello né vaghi come in una guazza, ma proprio immersi in una dimensione diversa quasi, da Alice novella, fossi all’improvviso passata dall’altra parte dello specchio.
Scommetto che a momenti qualcuno, certo uno sconosciuto, suonerà alla porta. Non è quello che capita, di solito, in questi casi?
Ma invece dello squillo del campanello, sento chiarissimo, benché in lontananza, un lieve tintinnio.
Non faccio fatica a riconoscerlo.
È la voce della campanella di bronzo che, quand’ero piccola, mia nonna di tanto in tanto agitava, per scacciare via i tuoni.
Signuruzzu chiuviti, chiuviti ca li lavuri su morti di siti, contrappuntava Basilia, la cameriera, che continuava a sfaccendare come se niente fosse per casa, finché al fragore più forte non sospendeva per un attimo lo sguardo nel vuoto, in cerca del crocefisso più vicino.
Chissà che sinfonia, oggi che Rudra, danza nel suo cerchio di fuoco e l’acqua sembra colpire i vetri addirittura a secchiate.
Vivere nella tempesta come metafora della vita.
Andarlo a dire a quelli della zattera della Medusa, o alle migliaia di migranti con la loro disperata richiesta d vita…
Ma per fortuna, io non sono in pericolo.
Mi sento proprio nel ventre della balena e dolce mi è assistere al travaglio da terra, quando sul vasto mare i venti turbano le acque…
Ecco le ragioni dell’atarattico distacco, mentre distolgo per un attimo lo sguardo e lo poso in giro per la stanza, in cerca della mia tazza da tisana.
Non credevo potesse farlo, ma addirittura rinforza.
Decisamente piove.
Sulle tamerici salmastre ed arse, sui i pini scagliosi ed irti, piove sui mirti divini… Quanto c’eravamo fermati, su questi versi, al liceo. Con tanto di verifica finale e Veronica che, da allora, non mi aveva più salutato. Veronica, dalle guance rosse e i primi push-up con i pesciolini a strati.
Lui, quello vero, Birillo, vinto qualche mese fa al luna-park, tutt’a un tratto comincia, dal suo canto, a guizzare.
Che senta il richiamo dell’acqua, là fuori? Macro-e micro-cosmo che si rispondono  all’unisono?
Chissà.
Ripenso a quanto mi fosse sembrato perplesso, dalla sua busta di plastica rigonfia, la prima volta che l’avevo portato a casa.
Ora lo capisco meglio, data l’impressione di stare al momento anch’io in un acquario. La sua presenza mi dà anzi di colpo la sensazione di trovarmi in una sorta di geometria straniante, un po’ all’Escher: la sua boccia, la mia stanza, il mondo all’ esterno, e via via di acquario in acquario, tutti a guizzare e ad osservarci gli uni gli altri, dalle intercapedini d’acqua.
Mi viene anche in mente un quadro, credo di Matisse.
Una tovaglia verde, e tre pesci rossi che sembrano uscir fuori dal dipinto, secondo quella che la guida aveva allora definito la prospettiva rovesciata delle icone russe.
Mentre, gemendo sui cardini, gli infissi vecchiotti vengono scossi violentemente dal vento, sento dei brividi lungo la schiena.
La temperatura è repentinamente calata e gli spifferi lasciano passare un freddo imprevisto. Potrei essere nella brughiera, tra le cime tempestose. O forse su un praho malese, con i miei Tigrotti.
Ad ogni modo, non potrò tenere la posizione ancora per molto.
Se non la sprango bene, la finestra si spalancherà presto, alle prossime raffiche.
Dovrei pure chiudere le impannate e magari tirar bene le tende, ma non ho voglia di farlo, per non perdermi il bello. Di questo fulmine, ad esempio, che squarcia nettamente il cielo e pare l’incarnazione stessa di quello primordiale. Il compendio ultimo d’ ogni elettricità. Che ci sia nelle vicinanze un altro Dr. Frankstein a esclamare Si può fare? O un Noè a progettare la nuova arca, nella speranza di sottrarsi a un futuro scenario apocalittico e distopico?
Il fulmine successivo cade tanto vicino che pare addirittura colpire la quercia del parco. Mi aspetto ne venga presto fuori un Ariel. Dove sono allora Prospero e Miranda? Non scorgo che pochi malcapitati passanti a scappare da tutte le parti, come formichine disorientate. Speriamo non si riportino altri danni che qualche eventuale malanno stagionale.
Le luci stanno diventando sempre più livide e drammatiche, con qualche variazione giallo acido, degna della migliore arte pop. Uno spettacolo grandioso, da mandare in visibilio ogni Romantico tedesco.
Al terzo fulmine tutto però piomba nel buio. Un classico: è andata via la corrente.
Total black come nel dress-code da cerimonia.
Sarebbe il momento perfetto per il disorientamento e lo smarrimento esistenziale. Ma non sono il Maupassant de La Nuit.
Mi muovo perciò a cercare qualche candela. Magari provo anche ad accendere il camino e godermi la famosa tisana.
Tanto, prima o poi, il temporale passerà. Anche questa volta.
Già mi pare stia un po’allentando e sento il vento urlare meno possente. A breve potrebbe perfino tornare il sereno.
Domani sarà certamente un altro giorno…solo mi spiace che da qui nessuna  gallina tornerà sulla via, a ripetere il suo verso.
Pazienza. Potrebbe forse andarmi meglio con le pozzanghere dove, con gli abituali esiti incerti, l’ennesima Mary Poppins proverà certo a impedire, ai suoi protetti, di saltellar dentro allegramente.