Giardini, orti e dintorni – 5

govone-orto-moline

GUIDO GOVONE.
Fin qui si è dissertato di giardino, ma l’orto che fine ha fatto?
Forse che il primo merita la ribalta perché è espressione di una nobile arte, mentre il secondo deve stare in secondo piano in quanto volgare pratica utilitaristica e  figlio di una divinità minore?

La Mitologia appena evocata ci fornisce una sua interpretazione e pare anche volersi schierare. Da una parte ci propone la figura trionfante di Flora, sposa di Zefiro, dea della Primavera e dei fiori, che regna sui giardini, dall’altra ci presenta, in veste apparentemente più dimessa, Pomona, sposa di Vertumno, “pomorum patrona”, signora della campagna, della sua coltivazione e quindi degli orti. Ne consegue nella pittura una raffigurazione di Flora come simbolo della Primavera, ritratta sullo sfondo di ricchi giardini, circondata da una profusione di fiori. Pomona, immagine speculare a quella di Flora, è prediletta dai pittori fiamminghi che la rappresentano in scene bucoliche, in conversazione con Vertumno travestito da vecchia, o in contesti di offerte di frutti e di celebrazione della fecondità della terra.

Una visione più neutrale la troviamo nei manuali  inglesi e  tedeschi di giardinaggio che  solitamente sono divisi in due parti uguali, una dedicata al giardino ornamentale, al giardino dei fiori, l’ altra dedicata al giardino della frutta, della verdura, della cucina. Questa impostazione la ritroviamo poi topicamente riprodotta nella maggior parte delle loro case e villette in un “giardino di fronte”, destinato alle piante ornamentali , ed uno “posteriore”, dedicato agli ortaggi, ai piccoli frutti, ai fiori da taglio.
Il modello ispiratore resta l’ antico giardino-orto-frutteto contadino che trova posto anche nella memoria di molti di noi un po’ stagionati. Questo legame tra mondo rurale e mondo cittadino-borghese è ben conservato in quei Paesi, un po’ meno da noi, dove ci si è voluti rapidamente emancipare da una lunga storia di miseria contadina ripudiando le proprie origini e l’ orto, che esige vanga, zappa, sudore e che troppo ce le ricorda.

In realtà giardino e orto incarnano la prodigalità e la ricchezza della terra nel suo doppio aspetto ricreativo e di utilità. Ma se nel giardino entrano in gioco i sensi più delicati, vista, olfatto, tatto, udito, nell’ orto si sta letteralmente più… terra terra e compare il gusto, la pancia, in una dimensione molto più pragmatica e molto meno romantica. Se per entrambi vale il comandamento che regola anche i rapporti umani e cioè che non c’è da aspettarsi che piante e terreno diano il meglio di sé se non si è disposti a dare almeno altrettanto in cambio, l’ orto è molto, molto più esigente in termini di competenze, cure, tempo dedicato. Non ammette dilettantismi, trascuratezze, abbandoni, anche temporanei. Se il clima è secco bisogna innaffiare con regolarità e nelle ore più adatte, se troppo umido occorre contrastare la crescita delle erbe infestanti e quindi manualmente diserbare, sarchiare, ripulire. E poi seminare, diradare, trapiantare, raccogliere.  Il tutto deve avvenire secondo una sapiente e precisa regia, e la terra è molto bassa! Ben a ragione si può affermare che l’ orto è un despota implacabile.

Intanto non è ammesso sbagliare, fin dall’ inizio. Non è pensabile fare un orto in un ritaglio di terreno qualsiasi, o peggio in uno spazio ombreggiato da alberi o alti muri. Un conto è il giardino che, con fantasia e impegno, si può anche realizzare in un luogo ingrato, un cortiletto ombroso. Ci sono infatti tante piante del bosco e del sottobosco che possono benissimo vivere nella luce filtrata da alte fronde o sentendo poco il caldo del sole.
Gli ortaggi, la frutta hanno invece bisogno del massimo della luce e del calore del sole, che avidamente immagazzinano e ci restituiscono sotto forma di profumi, umori, sapori, croccantezza. Quindi ad un orto sano e produttivo si addice una esposizione calda e solatia, al riparo dai venti che asciugano il terreno. Dà il meglio  in  una cornice rappresentata da una siepe di ribes, di uvaspina,di bassi arbusti fioriferi piantati ad una distanza tale che l’ ombra delle fronde non nuoccia. Quanto dovrà essere grande? Non più di quanto si possa curare personalmente. E la forma? Le forme geometriche sono le migliori, un rettangolo, un quadrato vanno bene, e per facilitare la raccolta degli ortaggi, meglio se sono bipartiti o quadripartiti da sentierini , opportunamente lastricati o inghiaiati per evitare di sprofondare nel fango, quando piove.
La scelta delle colture dipende dai gusti personali, sul fondo pomodori, piselli, zucche, cavoli, rafano, in primo piano erba cipollina, menta, salvie, timo, basilico, santoreggia, prezzemolo, insalate
Le distanze tra le file sono importanti per evitare che le piantine, che a maggio disegnano ordinate geometrie, a luglio si trasformino in un intrico improduttivo di foglie e di fusti. A mio gusto sarà opportuno prevedere uno spazio anche per zinnie, dalie, astri, cosmee, tagete che serviranno a rallegrare casa e saranno un colorato viatico per ospiti graditi.

A proposito di ospiti, anche l’orto ha i suoi, talora desiderati, come una famiglia di  rospi o di ricci, più spesso indesiderati, come lumaconi, talpe, arvicole, grillotalpa… senza dimenticarne di più piccoli, ma ancora di più insidiosi come afidi, ragnetti rossi, muffe e virosi… Anche in questo ambito la migliore difesa è la prevenzione, occorre quindi stimolare la “vis sanatrix naturae” favorendo lo sviluppo di piante sane, robuste, nutrite il giusto, senza eccessivi interventi di protezione. Quale senso ha avvelenare i propri ortaggi esattamente come quelli acquistati al supermercato?
Dimenticavo il flagello più temuto: la grandine. Sono sufficienti dieci minuti di chicchi di medie dimensioni per trasformare quello che era l’ orgoglio del giardiniere in un miserabile campo di battaglia. E troppo spesso la disastrosa grandinata precede il dispiegamento delle strategie di difesa, leggasi la rete antigrandine. E dopo la tempesta? Si rimuovono le piante distrutte, che diventeranno humus e pacciame,si potano e si disinfettano con una passata di verderame quelle danneggiate, si ripianta e si risemina e la vita riprende.

La Natura è inesorabile e crudele nella sua innocenza, ma il Giardiniere è imperterrito nella sua determinazione, “il faut cultiver son jardin”.