Shakespeare avrebbe potuto fare anche … il regista

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STEFANO CASARINO.

“Shakespeare in Movie” è il titolo di un recente saggio di Andrea Panizzi, edito nel 2016 da De Ferrari Ed., Genova.
Grazie alla collaborazione, ormai consolidata, di alcune associazioni culturali (la Delegazione di Cuneo dell’A.I.C.C.; Gli Spigolatori; il Centro Studi Monregalesi e l’Unidea di Mondovì), giovedì 23 novembre in una stipatissima Sala Scimè il volume è stato presentato anche a Mondovì dal sottoscritto, e soprattutto dall’Autore,  che ha intrattenuto molto piacevolmente il pubblico, conducendolo con apprezzata competenza tra i “sentieri di celluloide” a lui ben noti.
Per me è stato un piacere introdurre un bel libro, scritto con studio e passione (che sono poi la stessa cosa, se solo si ha riguardo all’etimologia latina della parola, studium), ricco di  tanti stimoli e criticamente accorto, perché tiene ben presenti i due massimi studiosi di Shakespeare, Jan Kott e Harold Bloom. Forse il fil rouge dell’opera –  che analizza con completezza le trasposizioni cinematografiche delle principali opere del Bardo, dai film muti di inizio Novecento alle pellicole più recenti – può essere trovato in un’affermazione del costantemente citato Laurence Olivier (forse il massimo attore shakespeariano fino ad ora): “Se nel 1599 fosse esistito il cinematografo, Shakespeare sarebbe stato il più grande regista del suo tempo. Si può dire che egli scrivesse per il cinematografo quando spezzettava l’azione in una serie di piccole scene e anticipava la tecnica dello schermo, impaziente com’era – e  come si dimostra in molti drammi – delle limitazioni paralizzanti del palcoscenico”.
In sei capitoli (partendo da un’indispensabile introduzione al teatro in generale – e dando qui ampio spazio alla cultura classica – e procedendo a chiarire i complessi e mai definitivamente risolti problemi relativi al rapporto tra teatro e cinema), Panizzi conduce il lettore alla scoperta di scene, momenti, concetti di straordinaria intensità, formulando osservazioni acute e dimostrando piena conoscenza sia degli aspetti drammaturgici che del particolare linguaggio filmico di volta in volta impiegato dai diversi registi citati.
A chi scrive è importato anche rimarcare come sia stato solo dalla seconda metà del Settecento che la cultura italiana ha iniziato ad interessarsi di Shakespeare: tra i suoi primi traduttori vi fu Alessandro Verri (1741-1816). Bisogna però aspettare il pieno Ottocento per poter parlare di reale conoscenza e diffusione – anche popolare, grazie al non trascurabile contributo del melodramma – di tale autore.
Nel nostro tempo, in cui l’inglese è pervasivamente onnipresente, come stanno le cose? Bloom nel suo Canone Occidentale (1994) così pontifica: “(Shakespeare) è più centrale alla cultura occidentale che non Platone e Aristotele, Kant e Hegel, Heidegger e Wittgenstein.[…], (è) il massimo scrittore che mai conosceremo”: tali affermazioni sgorgano da una fervente adorazione, da un eccesso di entusiasmo che a volte può fare anche danno.
Troppo spesso ancora, invece, Shakespeare noi Italiani lo incontriamo soltanto a scuola nel programma di letteratura inglese o, più o meno regolarmente, a teatro (dove, per altro, il repertorio è piuttosto fisso e si riduce a non molti titoli): bisognerebbe invece acquisire più dimestichezza, maggiore familiarità con tale Genio.
A ciò credo contribuisca validamente il libro di Panizzi.
Mi soffermo su alcuni aspetti che mi hanno maggiormente colpito: ad esempio, le pagine dedicate all’interpretazione (da regista e da attore protagonista) di Laurence Olivier di Amleto e di Enrico V, che fu il suo primo film “shakespeariano”, del 1944,  in piena Seconda Guerra Mondiale,  quando egli prestava servizio nell’Aereonautica. Osserva l’Autore: “La pellicola si configura come un’importante opera di impegno civile, filmata sotto i bombardamenti tedeschi ed adoperata dagli alleati come simbolo di vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Olivier si esprime così al riguardo: “Avevo una missione […] Il mio paese era in guerra; sentivo Shakespeare dentro di me e il cinema dentro di lui. Sapevo ciò che volevo fare e quello che lui avrebbe fatto”. Shakespeare, quindi, usato come sprone e incitamento, in funzione antinazista!

È toccato all’Autore illustrare più adeguatamente altri aspetti del suo denso saggio, arricchendo l’esposizione con aneddoti e con informazioni interessanti e, soprattutto, supportandola con citazioni dei testi e con la proiezione di spezzoni di film accuratamente scelti: dal Prologo iniziale del già ricordato film Enrico V alla scena del primo incontro dei due giovani nel Romeo e Giulietta zeffirelliano del 1968 (rimarcando l’importanza del contributo di Nino Rota per le musiche e della creazione del testo della canzone “Ai giochi addio” scritto appositamente da Elsa Morante); dal monologo iniziale del Riccardo III di Al Pacino del 1996, costruito su continui cambi di scena, al famosissimo monologo di Amleto nell’interpretazione di Kenneth Branagh, dello stesso anno del film di Pacino.
Sono state così trascorse due ore in compagnia di Shakespeare, autore inesauribile; due ore che ci si augura abbiano un’eco ulteriore in ciascuno spettatore e lo invoglino sia a leggere il libro di Panizzi che a leggere (o rileggere) Shakespeare e ad andare a teatro a vedere le sue opere.
E, perché no?, anche al cinema, a vedere alcune delle pellicole citate, perché Shakespeare –  a differenza di molti altri autori teatrali – si presta molto bene ad essere rappresentato anche nel più moderno linguaggio cinematografico.