Pistoia, un lembo di Galizia in Toscana

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GIANCARLO BARONI

Pistoia ha forme e colori tipicamente toscani, ma ne ammorbidisce le gradazioni. Ci troviamo in una Toscana “minore”, dove l’aggettivo non ha significati riduttivi e non intende sottovalutare la città, al contrario vuole rimarcarne la bellezza un poco schiva, dimessa nel senso di senza fronzoli, sussurrata più che gridata, che va scoperta e non si esibisce. Qui non siamo sovrastati da un eccesso di arte e di bellezza, non corriamo il rischio di ammalarci della sindrome di Stendhal. Pistoia ci invita a non accelerare, ad assecondare un ritmo che rallenta, a godere della sua eleganza fatta di autenticità. C’è un perfetto equilibrio, né troppo né poco, fra il suo raccolto centro storico e le opere d’arte che conserva e che  ammiriamo.

Sostare in Piazza Duomo dall’aspetto prevalentemente medievale e indugiare con lo sguardo sulla Cattedrale, sul Campanile che s’innalza di fianco e sul Battistero in marmo bianco e verde, procura un piacere legato più alla rilassatezza che all’eccitazione. Dalla piazza si raggiunge comodamente l’Ospedale del Ceppo fondato negli anni Settanta del Duecento per accogliere, curare e dare conforto ai più deboli e bisognosi. Una leggenda racconta che l’edificio sorse nel punto in cui un tronco cavo di castagno fiorì in pieno inverno. Sopra il loggiato dell’antico ospedale cittadino, corre un  fregio di ceramica invetriata: una lunga striscia dai colori brillanti eseguita, a partire dal 1525 circa, quasi completamente da Santi Buglioni. Oltre ai bianchi e agli azzurri tipici della scuola dei della Robbia, nel cui ambito l’artista si era formato, spiccano le tinte vivaci e squillanti dei verdi, gialli, neri, viola. Le Sette Opere di Misericordia che il fregio illustra  (“Vestire gli ignudi”, “Albergare i pellegrini”, “Visitare gli infermi”, “Visitare i carcerati”, “Seppellire i morti”, “Dar da mangiare agli affamati” e “Dar da bere agli assettati”) si ispirano a questo brano del Vangelo di Matteo: “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”.

Uno dei cinque viandanti raffigurati nella seconda scena del fregio ha cucite, sull’ampio cappello che protegge da sole e pioggia, le tipiche conchiglie divenute simbolo ed emblema del pellegrinaggio jacopeo; un altro, forse proprio San Giacomo il Maggiore, protettore dei pellegrini, ha il capo circondato da un’aureola.

In una cappella della Cattedrale si possono ammirare sia il reliquiario che conserva un ossicino del Santo, sia l’Altare di S. Jacopo, capolavoro di oreficeria creato tra fine Duecento e metà Quattrocento. Seduto in trono l’Apostolo occupa la parte centrale dell’Altare. Alcuni riquadri descrivono episodi della sua vita, fra cui  il trasporto per mare del corpo a Compostela. Nella “Legenda Aurea”, il domenicano Jacopo da Varagine narra: “…dopo la morte di Iacopo, i suoi discepoli…deposero il corpo del santo su di una nave e…salirono anch’essi su quella nave senza nocchiero, l’angelo del Signore li fece approdare sani e salvi in Galizia”.

Come mai san Giacomo (a Pistoia, Jacopo o Iacopo) è da secoli il santo protettore della città? come si spiega questo stretto legame con Compostela? A metà del XII secolo, il vescovo locale Atto ottenne da quello di Compostela un piccolo frammento osseo della testa del Santo, una reliquia di grande valore e richiamo che gli fu consegnata da due pellegrini pistoiesi, Baldo e Mediovillano.

Prima di lasciare la città, conviene  visitare l’appartata Pieve di Sant’Andrea: custodisce il pulpito marmoreo, dalla concitata energia espressiva, che Giovanni Pisano terminò a inizi Trecento. All’esterno della chiesa, i Re Magi scolpiti sull’architrave del portale maggiore sembrano invitarci a proseguire il viaggio; magari verso la  Galizia.

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Un miracolo lungo il Cammino

(verso Santiago di Compostela)

In fretta veniamo ricevuti
dal giudice mentre sta pranzando,
gli raccontiamo che nostro figlio

appeso alla forca da parecchi giorni
è vivo: le spalle del Santo
hanno impedito che soffocasse.

Se quello che dite è vero
il galletto dentro questo piatto
si alzerà cantando.

(La poesia fa parte della raccolta di versi “Le anime di Marco Polo”, Book editore 2015)

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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.

Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.