Cembali

cembali-001

GABRIELLA VERGARI.

La penna si muoveva agile e leggera, come in preda ad un raptus pittorico.
Si librava in alto per poi precipitare giù, a segnar diagonali smisurate che tranciavano il foglio del notes in metà asimmetriche. Volubile, si spostava ancora da un’estremità all’altra della pagina, solcandola con parallele sghimbesce che non si sarebbero incontrate mai, neppure all’infinito. Segni nervosi e imprecisi, tanto più nervosi e imprecisi quanto più noioso si faceva il conferenziere e greve il suo dire.
Ottuso Ottuso, Ottuso…  dipinse lieve, la penna, a lettere decrescenti, le une dentro le altre, come in un tentativo di tridimensionalità. Poi colorò la prima 0, la più grande, in blu; l’altra, la mediana, la lasciò in bianco e, infine, ancora in blu la terza, la più piccola.
Ma le linee sembravano ormai germinare da sole: ben presto la 0 grande si trasformò in una corolla tutta contornata da improbabili petali e i petali divennero, a loro volta, parte di altre figure che si intrecciavano e dividevano e tor­navano ad incontrarsi in forme pin armoniose e meno geometriche, più rotonde e maestose.
All’improvviso, sovrapponendosi ai disegni astratti, irruppe nella pagina un gioioso festone di bamboline che si tenevano per mano. Al­l’estremità della loro fila fece capolino un altro festone: Cretino, Cretino, Creti…  Le e diven­nero regine e furono incoronate da minuscole perline; le o guardie scozzesi in parata, coi loro bravi kilt, ciascuno diverso a seconda del clan di appartenenza.
La penna si staccò dal foglio, come sospesa, in cerca di ispirazione.
Fuori si indovinava un sole caldo e giocoso. Vero Lucignolo tentatore per i poveri Pinocchio, costretti a stare lì, a subire la violenza di un discorso insulso ed ampolloso.
Pinocchiopinocchiopino… si librò di nuo­vo la penna, risoluta.
Le parole, nella stanza, rimbombavano alle orecchie come frammenti acustici isolati, suoni disarmonici e primordiali, piombo fuso a Tavor, vacui proiettili spuntati, efficaci solo come incentivo alla noia ed al torpore.
Sssssssshhhh … ricamò la penna in un disperato anelito di Silenzio.
Disperato quanto vano.
Il Trombone inflava nota su nota, im­placabile, impietoso, inesorabile, instancabile, invincibile, inarrestabile, inesauribile, incredibile…
Che imbecille!
Al riflesso sempre più esteso dipinto dal sole sul pavimento della sala, si andava adesso via via unendo l’invito sbarazzino di un leggerissimo alito di vento tiepido.
Non c’era Fine.
La penna riprese col suo horror vacui.
Pensieri in libertà,  -ismi in libertà, segni in libertà, suoni e parole in libertà.
Amorteamorteamor…il nuovo festone si in­trecciò con quello delle bamboline, curvò in una parabola ascendente, affrontò spavaldo un giro della morte, piroettò e cabrò, poi si avvitò su se stesso e volò a bassa quota, quasi radente al suolo, per librarsi di nuovo verso l’alto, libero almeno lui, ma solo per un ultimo istante… il carburante-inchiostro era ormai giunto agli sgoccioli, la penna esausta, la mano sfinita.
Il Trombone, invece, procedeva a vele spie­gate verso un porto troppo troppo lontano!

Da: “Sirene, Chimere ed altri animali”, Solfanelli (Ch), 1993