Varietà

cop-varieta-sottocornolaCLAUDIO SOTTOCORNOLA.

Erano anni bellissimi. O forse solo intensi. Comunque in corsa.

Passavamo dagli studi di Canale 5 a Cologno Monzese alla Fonit Cetra di Milano, dallo storico Teatro Donizetti di Bergamo al Palazzo Grassi di Venezia e, sempre a Milano, dal Teatro Carcano al Nazionale, dalla Terrazza Martini al Rolling Stone, dalla Galleria Kodak in quel di Brera a Palazzo Marino… E, al telefono, si annullavano le distanze (ancora incolmate da un web solo imminente) e si parlava con Roma, Firenze, Bologna…

Incontravo i miti della mia infanzia (ero bambino negli anni ’60), e non solo. La Pavone e Morandi, Patty Pravo e Bobby Solo, Little Tony e le Kessler, ma anche Fossati e Ruggeri, Vittorio Sgarbi e Beppe Grillo, la Fracci e Manfredi, Raimondo Vianello e la Mondaini, Harari e Lattuada… E poi scrivevo, scrivevo, scrivevo. Sbobinavo dalle cassette registrate le lunghe interviste-ritratto che realizzavo in loco e, qualche volta, anche al telefono, e quindi riducevo, tagliavo, facevo – di necessità – sintesi, per riempire una, due, tre cartelle al massimo.

Sì, quella improvvisa attività giornalistica, nata in gran parte per un moto del cuore, allargava i miei orizzonti, integrando la mia attività di docente, prima di Materie Letterarie, poi di Filosofia e Storia, e facendomi spaziare nel mare magnum di canzone, televisione e spettacolo italiano in genere, con esplorazioni a latere, nell’ambito delle arti visive, della letteratura e del pensiero contemporaneo.

Ho parlato di moto del cuore, perché l’occasione spinta da cui partì l’infinita serie delle mie interviste, recensioni, approfondimenti, fu la notizia che l’idolo della mia infanzia, Rita Pavone, avrebbe tenuto un concerto al Teatro Carcano di Milano, nel mezzo della contestazione (peraltro motivata) che la cantante aveva mosso al meccanismo di selezione dei brani per il Festival di Sanremo in quel 1989. Scattò così in me un meccanismo difensivo e promozionale (sono sempre stato un paladino in lotta contro le ingiustizie), per cui chiamai un paio di quotidiani e chiesi se erano interessati a una intervista. Da parte dell’allora giovane e alternativo “Giornale di Bergamo Oggi” ricevetti una risposta affermativa.

Tramite un amico che la conosceva, mi presentai al Teatro Carcano di Milano (ovviamente anche per assistere a un concerto sensazionale) e incontrai Rita Pavone, con la quale nacque una prolungata amicizia. L’intervista che mi concesse fu splendida: critica, corrosiva, ma anche ironica e piena di speranza. E’ la prima che leggerete in questa silloge, ordinata in modo rigorosamente cronologico.

Da lì non mi fermai più e, oltre a varie interviste successive alla cantante torinese, anche nella sua casa di Lattecaldo in Svizzera, incominciai a frequentare conferenze stampa (lo stralunato e surreale Jannacci, una timidissima e non convenzionale Nannini, una vera manager di sé come Amanda Lear…), ma soprattutto a contattare i personaggi che mi incuriosivano o che, occasionalmente, risultavano raggiungibili dalla mia personale geografia.

La svolta che mi aprì molte porte venne da un contatto occasionale con due addette stampa Fininvest di quegli anni, Tania Sax e Karin Andreoli, simpaticissime e di grande disponibilità. Quest’ultima, in particolare, mi invitò a passare nei camerini degli studi di Cologno Monzese in occasione delle registrazioni dei programmi che raccoglievano in quel perimetro e nelle medesime ore il fior fiore dei personaggi televisivi e musicali del momento, da Mara Venier a Luca Barbareschi, da Gerry Scotti a Marco Columbro, da Massimo Boldi a Iva Zanicchi, da Gino Bramieri a Teo Teocoli, e poi Cristiano De André, Jo Squillo, Grazia di Michele, Rossana Casale, Orietta Berti, Patty Pravo, i Righeira, Bruno Lauzi, Maurizio Vandelli e Red Ronnie, Shell Shapiro e i Dik Dik… Mi informavo previamente dei personaggi che registravano e, dopo essermi ben documentato, preparavo domande ad hoc, nel tentativo di predisporre le condizioni per una intervista-ritratto che andasse oltre le esigenze di cronaca del momento. E, magari in una manciata di pomeriggi, inanellavo incontri e interviste che avrei impiegato poi settimane a sbobinare e a sintetizzare.

Ho sempre amato una ricerca anche linguistica, non oziosa o tecnicistica ma – se possibile – profondamente musicale. E questo mi viene dalla poesia, letta e scritta, coltivata come dato esistenziale ineludibile. Così, la elaborazione delle interviste, contratte ad entrare negli spazi predisposti, diventava anche un modo per distillare al meglio le caratteristiche, il lessico, l’immagine del soggetto ritratto, rifuggendo da ogni clamore o gossip, ma anche “messaggio”, e ricercandone invece la musicalità intrinseca, – diremmo aristotelicamente – la forma o – ermeneuticamente – la sua risonanza in me.

E la cosa funzionò perché Giacomo Mayer, allora caporedattore al Giornale di Bergamo Oggi, mi incoraggiò a continuare, e poi Luciana Frattesi (futura direttrice di “Visto”) scommise su di me, di fatto regalandomi spesso la Terza Pagina da riempire con ritratti d’epoca, percorsi artistici, tematiche di costume o musicali, rielaborando in chiave critica e un po’ speculativa il variegato mondo della cultura pop(ular). Lì aveva lavorato anche il futuro direttore di “Oggi”, Pino Belleri, lì si poteva incrociare un ancora esordiente Vittorio Feltri, e circolava un parterre di giovani cronisti d’assalto… Eppure, il passaggio dal formato tradizionale a quello tabloid, a mio giudizio, non aveva giovato alla qualità di interviste e approfondimenti che, a quel punto, andavano fortemente ridimensionati. Incominciai così, accanto ai contributi per la pagina degli spettacoli – da quel momento condivisa con le testate di Latina Oggi e Ciociaria Oggi –, che continuavano, a mandare pezzi anche all’Agenzia romana Nea, indicatami dal noto cronista e scrittore Renzo Allegri che avevo intervistato, fondata dal lungimirante Riccardo Forte con la collaborazione della efficientissima figlia Maria Pia Forte. I miei articoli, le mie interviste, cui dovetti dare un taglio forse un po’ più “popular”, piacquero molto, e mi ritrovavo con pezzi pubblicati in contemporanea dalle Alpi allo Stretto, su quotidiani come l’Arena, Il Gazzettino, Il Quotidiano, L’Eco di Bergamo, Il Giornale di Brescia, Il Dovere, Libertà, La Prealpina, La Gazzetta di Parma, ecc. Era una bella soddisfazione: i lettori aumentavano… e, dal 1991, ero ufficialmente iscritto all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti della Lombardia.

Soprattutto, incontrare personaggi scelti in gran parte da me e in parte confluiti per circostanze disparate e libere nella mia area di indagine, mi regalò una grande espansione psicologica e culturale, – sarei tentato di dire – spirituale. Perché dialogare con esseri umani sensibili o audaci, creativi o geniali, ricettivi e generosi, mi fece avvertire una leggerezza, una dinamica di gratuità, scambio e affinità per cui ancora oggi sono grato e riconoscente.

Non posso dimenticare, fra i tanti, incontri che mi hanno spalancato porte di libertà creativa o curiosità intellettuale, simpatia umana o disponibilità al dialogo. Per esempio, un Vittorio Sgarbi allora agli esordi della sua popolarità mediatica che, dopo una intervista telefonica non registrata per un banale disservizio, mi concesse un bis alla Fiera Campionaria di Milano, dimostrando interesse e curiosità per l’interlocutore, e smentendo il cliché del narcisista che di solito lo accompagna, un Nino Manfredi, in un hotel bergamasco, desideroso di raccontarsi al giovane cronista con una benevolenza e una generosità davvero senza pari, una Carla Fracci, col marito Beppe Menegatti, ricca di dettagli sulla propria biografia e dialogante con me sul mondo della scuola, avendomi scoperto insegnante ed essendo il figlio ancora studente liceale, ma anche un Raimondo Vianello che con delicatezza e profondità si lascia andare ad una intervista sincera e introspettiva, fra humour e riflessione esistenziale, una giovane Miss Italia come Rosangela Bessi, che spezza decisamente il  cliché del suo ruolo, e si dimostra grata per l’interesse anche intellettuale di cui è oggetto mediante le domande che le rivolgo, un folk singer come Donovan, che mi scandisce sorridendo in un delizioso inglese la sua poetica flower power, perché io – in assenza di registratore – possa scrivere con comodità il tutto, un Paolo Conte icastico, sincero e geniale, che mi rilancia una inattesa disponibilità, dopo lunghi e inutili tentativi per avvicinarlo fatti attraverso i suoi collaboratori,  e mi regala input emozionali dal valore lirico, una Mara Venier che si lascia un po’ analizzare annuendo dall’intervistatore e, nonostante le pressioni di colleghi appartenenti a ben più paludate testate, gli regala tempo narrandosi con lucidità e spregiudicatezza. E si potrebbe continuare, perché interrompendosi, lo diciamo, facciamo un torto a tutti quelli che non abbiamo citato.

Al contrario, come chiunque può immaginare, la vita in un contesto com’è quello della scuola, specie in Italia, tende inevitabilmente a doversi misurare con aspetti burocratici, ripetitivi e talvolta istituzionali, ove si considera prevalentemente ciò che è già storicizzato e, in qualche modo, museale, spesso tagliando fuori il divenire, l’attuale, il contemporaneo, e con ciò limitando non di rado creatività e sperimentazione. Ecco, incontrare artisti, musicisti, attori, scrittori, comici e show-man, nell’arco di tempo riassunto da questa antologia, che va dal 1989 al 1994, fra i miei trenta e trentacinque anni, mi ha davvero regalato fiato,  libertà interiore, una certa intraprendenza, rafforzando la mia disponibilità a uscire dagli schemi, che forse non avrei sviluppato in egual misura senza quegli incontri.

E difatti – anche se questa antologia lascia fuori numerose interviste ad altrettanti miti del teatro, della canzone e dello spettacolo da me incontrati, lacuna che sarà colmata se il tempo lo permetterà – è innegabile che, verso la metà degli anni ’90, e dopo aver incontrato parte cospicua del parterre dello spettacolo in Italia, decisi di passare dall’altra parte del vetro.

Tale attività giornalistica, che continua tutt’oggi con contributi a riviste cartacee e web, realizzando approfondimenti e dossier, dopo aver sperimentato anche collaborazioni con radio e Tv per cui tenevo rubriche, trasmettevo interviste o realizzavo programmi, in qualche modo si interruppe allora per un po’ o, meglio, si ridimensionò a fronte dell’esigenza di indagare maggiormente su me stesso e su nuovi bisogni creativi.

Ormai, dopo interviste inanellate con una straordinaria intensità per qualche anno, domande e risposte rischiavano di diventare prevedibili e scontate. Non c’era più sorpresa, novità, mentre, decidendo di entrare in sala di registrazione per studiare io stesso la canzone pop, rock e d’autore, soprattutto italiana, e reinterpretarne i brani simbolo a modo mio, nuotavo in una sorta di oceano inesplorato. Avevo avvicinato e interpretato un mondo con la parola e il pensiero, ora era il momento di dare spazio alla voce e alle emozioni.

Nel frattempo, la mia attività di insegnamento passava dalla Letteratura alla Filosofia, e anche questa, congiuntamente alla Storia, materia imparentata nell’ordinamento italiano, mi predisponeva ad un maggior raccoglimento, ad una indagine più introspettiva ed esistenziale, di cui io divenivo gradualmente protagonista. Mentre la carta stampata incominciava ad entrare in crisi, sollecitata dalla velocità di nuovi media e tecnologia, che avrebbero irrimediabilmente trasformato – e in parte banalizzato – il modo di fare giornalismo…

E così, ma siamo dentro un’altra storia e, forse, un altro mondo, musica e filosofia mi hanno orientato e plasmato in una direzione decisamente ermeneutica, ove sempre più centrale, nella mia attività, è diventato “interpretare”, cioè conoscere facendo sintesi di emozioni, sentimento, pensiero, in forma olistica e globale. Quanto questo mondo, che mi sforzo di materializzare oggi nelle mie produzioni fra musica, poesia e immagini, sia rivelativo di valori che trascendono la mia persona lo può stabilire solo chi legge i miei libri o articoli, segue le mie lezioni concerto e conferenze o la mia attività didattica, ascolta i miei Cd o Dvd, naviga nelle mie opere multimediali.

Ma questo taccuino giornalistico a cavallo degli anni ’80 e ’90, fra interviste, recensioni, ritratti, presentazioni e approfondimenti (dal valore storico peraltro innegabile: alcune di queste star, da Mia Martini a Wanda Osiris, da Nino Manfredi ad Alberto Lattuada e Bruno Lauzi, non sono più fra noi), è un po’ una genesi, racconta il momento della scoperta di un mondo che poi sarebbe diventato anche il mio. Il mondo della cultura pop(ular) contemporaneo che ancora oggi, magari con altri strumenti, non mi stanco di indagare con immutato affetto, convinto che occulti in sé – come fu per le pop star Omero, Shakespeare e Mozart? – rivelazioni anche più significative di quelle che a volte ci propongono i luoghi paludati ma spesso effimeri della cosiddetta “cultura alta”.

Infine vorrei concludere con una precisazione: il noi usato in esordio di introduzione (“Passavamo dagli studi di Canale 5…”) non è un plurale maiestatis, ma un vero plurale. In quelle scorrerie fra camerini, teatri e studi televisivi ero quasi sempre con mia sorella Astra, complice instancabile di tante ricerche, che tuttora mi affianca (scommettendo sulla “bontà” del mio vagare…), e che anche qui ringrazio per la generosità e condivisione, con l’affetto di sempre.

(C. Sottocornola, Introduzione, in “Varietà”, Marna 2016).

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Inizia con questo articolo la collaborazione con Margutte del professore Claudio Sottocornola, “il filosofo del pop”.
Ordinario di Filosofia e Storia, giornalista pubblicista e docente di Storia della canzone e dello spettacolo presso la “Terza Università” di Bergamo, si caratterizza per una forte attenzione alla categoria di “interpretazione”, alla cui luce indaga il mondo del contemporaneo. Come filosofo, utilizza musica, poesia e immagine per parlare a un pubblico trasversale, nelle scuole, nei teatri e nei più svariati luoghi del quotidiano.
È autore di opere poetiche (“Giovinezza… addio. Diario di fine ’900 in versi”, “Nugae, nugellae, lampi”) e di percorsi artistici multimediali (“Eighties/laudes creaturarum’81” e “Il giardino di mia madre e altri luoghi”).
Ha pubblicato saggi a tematica filosofico-teologica, nei quali indaga la crisi del sacro nella società contemporanea (“The gift”, la quadrilogia “Il pane e i pesci”, “I trascendentali traditi”, “Stella polare”, “Effatà”).
Ha fatto di un approccio olistico e interdisciplinare al sapere la sua personale metodologia di ricerca. Nel 2016 pubblica “Varietà”, raccolta di interviste ai divi del pop italiano, realizzate fra gli anni ’80 e ’90.
La stampa italiana lo ha soprannominato “il filosofo del pop”, per sottolineare il suo interesse per la cultura contemporanea e l’utilizzo di modalità espressive legate al mondo dello spettacolo, attraverso le sue numerose e affollatissime performance live sul territorio. Dal 2012 è un collaboratore onorario di “Contemporary Literary Horizon”.
Margutte pubblicherà regolarmente sue interviste e poesie.